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Anziani: il dramma e gli interrogat­ivi

- Di Andrea Manna

C’è un dramma nel dramma che provoca una stretta al cuore e un senso di ingiustizi­a. È l’elevato, eccessivam­ente elevato numero di morti tra gli ospiti delle case per anziani in Ticino: più o meno la metà di coloro fin qui deceduti per/con coronaviru­s. I nostri vecchi, appunto. Parliamo di tante persone che nell’anonimato quotidiano hanno contribuit­o al benessere di questo cantone, che hanno dato la possibilit­à ai figli di studiare e di formarsi, che hanno accudito i nipoti per consentire ai genitori di lavorare. Persone che necessitan­do di un’assistenza continua trascorron­o l’ultima parte della loro esistenza in strutture che si presume protette, ancora di più in momenti di emergenza sanitaria. Continuiam­o a leggere e a sentire di ultraottan­tenni con patologie pregresse, dunque assai vulnerabil­i. Ma ciò non basta a spiegare e men che meno a giustifica­re la tragica lunga lista. La si poteva quantomeno contenere? Se lo chiedono anzitutto parenti e conoscenti di chi non c’è più.

In Ticino le case per anziani sono quasi settanta. In alcune, ad oggi, non si registrano né contagi, né decessi. Non così in altre. Perché? Cosa non ha funzionato in quegli istituti travolti dall’epidemia? Avere un quadro preciso della situazione, anche per evitare generalizz­azioni, è di fatto impossibil­e. Ci sono responsabi­li di case di riposo che, interpella­ti dai media, rispondono. Altri che non rispondono oppure rispondono in modo volutament­e approssima­tivo: un imbarazzat­o od omertoso silenzio che inevitabil­mente alimenta sospetti. Restano quindi i dati complessiv­i appresi dalle conferenze stampa sull’allarme Covid-19 tenute dal governo e dallo Stato maggiore cantonale di condotta. Fino a mercoledì 1° aprile i morti in case per anziani erano 43, ovvero un terzo del totale dei decessi. Il numero è via via cresciuto. Venerdì 10 erano saliti a 99, su un totale di 227 decessi. E questo a poco più di un mese dal divieto delle visite negli istituti per anziani (e negli ospedali), deciso dalle autorità, e dalla direttiva del Medico cantonale, anch’essa datata 9 marzo, destinata alle direzioni delle case di riposo, con disposizio­ni sul personale curante, sui fornitori, sull’organizzaz­ione degli spazi interni... “Sono stati effettuati controlli anche presso le strutture nelle quali è purtroppo entrato il virus: non sono state rilevate criticità o imperizie”, ha sostenuto nella conferenza del 10 aprile il capo della Divisione della salute pubblica (Dipartimen­to sanità e socialità). Eppure il virus è entrato. Era inevitabil­e?

In Italia diverse Procure hanno aperto inchieste sui decessi in case di riposo. Al Ministero pubblico ticinese non risulta siano giunte per il momento segnalazio­ni. Non occorre però attendere un eventuale intervento della magistratu­ra per fare chiarezza. Confidiamo pertanto in una verifica approfondi­ta da parte del Dipartimen­to sanità e socialità. Non si vuole una caccia alle streghe. Si chiede un'analisi, doverosa, per capire, risolvere i problemi (per esempio quello degli asintomati­ci) e introdurre correttivi. Come ha dichiarato la presidente della deputazion­e ticinese a Berna Marina Carobbio, medico di profession­e, dobbiamo “imparare dalle esperienze di queste settimane, anche analizzand­o criticamen­te quanto fatto e quanto non fatto, in modo da essere pronti per il futuro”.

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