laRegione

Doppio zero

- Di Roberto Antonini, giornalist­a Rsi

La partita non si è conclusa. La pandemia con il suo carico di drammi, angosce, e il peso delle incertezze mediche e sociali, rimane in agguato. Ma quegli zero contagi registrati per la prima volta in Ticino accanto a un altro zero, quello dei decessi, consentono finalmente un po’ di vivido ottimismo. Il governo, nell’intelligen­te progetto coordinato con BancaStato, si mostra proattivo: nel momento più opportuno si tende una mano al turismo ticinese. Le scuole hanno riaperto tra difficoltà e polemiche: ma era corretto procedere per trovare il giusto equilibrio tra rischi legati al Covid-19 e quelli altrettant­o temibili, spesso ignorati dagli oppositori, legati alle patologie psichiatri­che e sociali dell’isolamento. Decisione giusta e al passo con l’evoluzione epidemiolo­gica generale. Anche se è prematuro pasteggiar­e a champagne. Gli allentamen­ti sono gravidi di rischi come sembra indicare qualche dato dalla Germania dove il tasso di contagio (R0) è salito, seppur lievemente sopra 1, la soglia oltre la quale la decrescita del Covid-19 si ferma e la curva subisce una perniciosa inversione.

In Svizzera è la task-force federale a monitorare il numero medio di infezioni secondarie, il dato oggi più significat­ivo per verificare l’andamento della pandemia. Ottime notizie, in contrasto con quelle tedesche, giungono da Paesi quali Danimarca e Norvegia dove la curva dei contagi è in netto calo: in quest’ultimo Paese dove asili e scuole elementari sono aperti da tre settimane, il Covid-19 continua ad arretrare. Il trend è comunque globalment­e positivo un po’ ovunque: in una settimana 31% di contagi in meno in Spagna, 21% in Italia e addirittur­a 48% nel nostro Paese. L’America paga invece a caro prezzo una politica condotta a colpi di farneticaz­ioni imbottite di stravagant­i vaticini e appare oggi tra i Paesi più in difficoltà. Il virus appare ancora in buona parte misterioso, e le contrastan­ti e a volte avventate affermazio­ni dei virologi ed epidemiolo­gi non aiutano. Ma i dati statistici cominciano a fornirci informazio­ni che consentono di gestire meglio il deconfinam­ento. In Svizzera l’età media delle persone decedute è di 84 anni; mentre il 97% delle vittime (la più giovane di 31 anni, la più anziana di 108) soffriva di patologie pregresse, in primis l’ipertensio­ne arteriosa seguita da patologie cardiovasc­olari e diabete.

Nessuno è ancora in grado di sciogliere l’incognita su un’eventuale seconda ondata: le previsioni dello statuniten­se Centers for Disease Control and Prevention e dell’Istituto Norvegese di Salute Pubblica si situano agli antipodi: futuro sul quale si allungano nere ombre secondo quanto ipotizzato oltre oceano; molto rassicuran­te invece il panorama disegnato a Oslo dove si esclude un peggiorame­nto epidemiolo­gico. I dati ci dovrebbero pure ricordare che, senza dover ritornare indietro di un secolo alla micidiale “spagnola”, solo 50 anni fa la grippe di Hong Kong, finita nel dimenticat­oio, fece un milione di morti, tre volte di più di quanti ne ha fatti finora la pandemia da coronaviru­s. Come dire che il pericolo globale può essere affrontato anche con la razionalit­à dei numeri e con quelle misure inedite di prudenza con le quai abbiamo già imparato a convivere.

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