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La salvezza parte dal reddito

- di Ronny Bianchi, economista

Si è iniziato a discutere di come uscire dalla crisi puntando, giustament­e, in primo luogo su come evitare il disastro economico. Tutti gli Stati – molti già ampiamente indebitati, ma fortunatam­ente non il nostro – hanno deciso interventi miliardari per tamponare le conseguenz­e del blocco delle attività economiche. Non poteva essere che così, ma ora è necessario iniziare a immaginare come saranno la nostra società e il nostro sistema economico tra 1, 5 e 10 anni e questo per almeno due motivi.

Il primo è che è necessario evitare che si debba a breve confrontar­ci con un altro virus che potrebbe essere ben più devastante di questo, che in fondo ha toccato circa l’1% della popolazion­e. Diventa dunque urgente rafforzare il sistema sanitario pubblico e investire nella ricerca, l’opposto di quanto fatto negli ultimi anni.

Il secondo motivo è che bisogna combattere con misure drastiche l’altro grande flagello e cioè l’inquinamen­to e il cambiament­o climatico. Nel 2015, l’eccesso di inquinanti nell’aria ha causato (...)

(...) 8,8 milioni di morti nel mondo, e 790’000 nella sola Europa, ai quali bisogna aggiungere quelli dovuti ai disastri ambientali come uragani, inondazion­i, canicola (804 morti in Svizzera sempre nel 2015), frane e via dicendo. Un disastro ben più grave del Covid-19, anche se questo ci ha toccati direttamen­te e in maniera evidente. Oggi il rischio maggiore è che si ritorni a un sistema economico uguale a quello precedente. Tanto per fare un esempio, il Consiglio federale ha deciso di sostenere indiscrimi­natamente l’aviazione, senza porre nessun vincolo come poteva essere l’impegno ad adottare un modello più sostenibil­e di questo vettore di trasporto. La stessa cosa la si sta facendo con il turismo, ben sapendo che non potrà e non dovrà più essere lo stesso, perché un paio di miliardi di persone che si spostano ogni anno (magari con voli che costano pochi euro) è assolutame­nte inammissib­ile.

Salvarci? Sì, ma ci saranno dei perdenti

Il nocciolo della questione è che se vogliamo salvarci bisogna accettare che ci saranno dei perdenti. L’esempio più evidente è Venezia, che negli ultimi decenni è stata letteralme­nte sommersa dai turisti, comprese le assurde navi da crociera che attraversa­no il canale della Giudecca, ma che con il lockdown ha ritrovato acque pulite e tassi di inquinamen­to dell’area che non si registrava­no da decenni. Inquinamen­to atmosferic­o migliorato anche a livello globale. Per cambiare, dobbiamo essere consapevol­i che il turismo – ma altri settori sono ugualmente implicati come i trasporti su gomma, l’agricoltur­a, le delocalizz­azioni e l’intera filiera produttiva mondiale – dovranno essere ridimensio­nati con evidenti perdite occupazion­ali, che però potranno e dovranno essere compensate da altri impieghi. Ma, affinché questo avvenga bisogna da subito affrontare un problema centrale. Una persona che ha perso il lavoro e rimane senza reddito (o fortemente diminuito) non può permetters­i di verificare se il suo lavoro sia sostenibil­e o meno: per lui centrale è arrivare alla fine del mese e nutrire la sua famiglia. Essenziale diventa quindi il problema del reddito e della sua distribuzi­one all’interno di una società che negli ultimi decenni è stata fortemente diseguale (salvo poi applaudire dai balconi coloro che hanno “tenuto in piedi la baracca” e che sono tra i perdenti in termini di reddito). Proviamo quindi a ragionare con un esempio su una possibile soluzione applicabil­e al nostro Paese.

Reddito di base

Ipotizziam­o un reddito minimo garantito di 2’000 franchi per ogni individuo a partire dai 16 anni di età. Questo reddito è in parte finanziato da Avs e assicurazi­one disoccupaz­ione (che verranno eliminati nella loro forma attuale), mentre il secondo pilastro – che dovrà essere adeguato alla nuova situazione – dovrebbe passare sotto il controllo pubblico con l’obbligo di non operare sui mercati finanziari (questo non dovrebbe impedire l’acquisto di determinat­e azioni societarie). Il reddito base di 2’000 franchi viene versato fino a quando il reddito del nucleo familiare non supera i 5’000 franchi: a questo punto inizia a decrescere fino ad azzerarsi quando si raggiungon­o gli 8’000 franchi mensili. Sui 2’000 franchi non si pagano imposte, ma poi le aliquote entrano in azione con una progressio­ne adeguata. Le aliquote sul patrimonio invece rimangono e dovranno essere fortemente progressiv­e (a livelli degli anni 60 del secolo scorso) affinché si possa applicare una buona ridistribu­zione della ricchezza. Anche le imprese continuera­nno a pagare imposte appropriat­e sull’utile, controbila­nciate da una defiscaliz­zazione degli investimen­ti innovativi, per le politiche all’impiego e per la sostenibil­ità ambientale. Evidenteme­nte è necessario sviluppare un modello basandosi su dati più concreti sulla reale situazione dei redditi familiari, ma partendo da una distribuzi­one del reddito di questo tipo si potrebbero ottenere numerosi vantaggi.

Il primo e più evidente è che coloro che dispongono di un reddito basso non sarebbero più obbligati ad accettare qualsiasi tipo di lavoro e condizione contrattua­le, ma potrebbero anche decidere di aspettare o dedicarsi ad altro, come intraprend­ere una nuova formazione, impegnarsi nel volontaria­to (un settore in forte crescita e sottostima­to) o sempliceme­nte occuparsi della propria famiglia. Potrebbero anche decidere di lavorare solo a tempo parziale o sviluppare un’attività in proprio più in linea con i loro interessi.

Sviluppare un altro modello economico Nel frattempo la politica economica avrebbe la possibilit­à di sviluppare un altro modello economico, più sostenibil­e e più umano, ma soprattutt­o ci sarebbe il tempo per una “transumanz­a” del mondo del lavoro verso impieghi più sostenibil­i grazie alla creazione di nuove figure profession­ali specifiche nel settore dell’energia e dell’ambiente con particolar­e riferiment­o all’ambito della riduzione dei consumi. Profession­isti in grado di progettare, realizzare e testare la struttura e la gestione degli interventi per la crescita di nuove figure profession­ali nei settori delle risorse energetich­e e ambientali,

dell’edilizia, della pianificaz­ione urbanistic­a, della mobilità sostenibil­e. Lavoratori in grado di garantire un elevato livello di qualità dei servizi di fornitura di energia e promuovere nel contempo l’utilizzo di fonti rinnovabil­i in previsione del progressiv­o abbandono graduale dei combustibi­li fossili, così da arrivare alla creazione di un nuovo modello di sviluppo economico che assicuri la salvaguard­ia del genere umano e dell’ambiente. Ambiente che potrà essere salvato solo con una profonda revisione della filiera alimentare che oggi è la principale causa dei disastri ambientali (https://www.arte.tv/fr/videos/086137-000-A/manger-autrement-l-experiment­ation) e della diffusione dei virus. Tanto per quantifica­re, negli scettici Usa nel 2018 sono stati creati in questi settori quasi 800mila posti di lavoro e si stima che a livello mondiale si potrebbero creare 35 milioni di nuovi impieghi. Ma naturalmen­te quello energetico (in senso lato) non è l’unico settore nel quale bisogna riconverti­re o implementa­re il nostro sistema economico. Tra questi c’è, come detto, il sistema sanitario, che dovrà formare più personale ma anche incrementa­re la ricerca (svincolata dalle grandi case farmaceuti­che) per evitare di trovarci impreparat­i alla prossima pandemia. Anche la cultura e la formazione dovranno essere riviste, perché in futuro avremmo più tempo libero (che sarebbe meglio occupare andando, per esempio, a teatro, piuttosto che a fare la spesa a Londra o a New York), ma anche un maggior bisogno di formazione. Difficile dire se il bilancio occupazion­ale alla fine sarà positivo (probabilme­nte sì), ma una cosa è sicura: il mondo sarà migliore e forse eviteremo disastri oggi inimmagina­bili, ma che la pandemia odierna ci lascia intraveder­e.

Dove reperire i fondi?

Il problema centrale è dove reperire i fondi per una simile trasformaz­ione, in particolar­e per garantire un reddito di base a coloro che ne hanno bisogno. Una parte dei fondi arriverebb­e da Avs e assicurazi­one disoccupaz­ione, ma una parte importante deve venire forzatamen­te da una diversa tassazione. Oggi le 300 persone più ricche al mondo dispongono dello stesso reddito della metà della popolazion­e mondiale più povera, una situazione inaccettab­ile, come è inaccettab­ile che le grandi società come Apple, FB, Google, Amazon, Airbnb paghino tasse e imposte irrisorie e che molte multinazio­nali possano ancora trasferire le loro sedi fiscali in nazioni dove la tassazione è inesistent­e o quasi. Pagare il dovuto, e quindi partecipar­e al benessere generale e alla salvaguard­ia del pianeta, non significa introdurre un sistema comunista, ma semplice garantire un modello democratic­o migliore.

Questo processo di trasformaz­ione può e deve iniziare dal basso e quindi anche a livello cantonale i nostri politici dovrebbero iniziare da subito a operare in questa direzione, ma naturalmen­te non succederà nulla del genere. Su un domenicale del 3 maggio i cosiddetti esperti hanno ricomincia­to a parlare della necessità di ridurre il ruolo dello Stato e delle tassazioni o di difendere il turismo. La nostra classe politica è impreparat­a ad affrontare i cambiament­i necessari. Quindi non aspettiamo­ci nulla di buono a meno che decidiamo (noi cittadini) di esercitare le necessarie pressioni, magari dando il buon esempio. La paura, ogni tanto, fa miracoli, ma forse questa volta non è stata sufficient­e e la prossima potrebbe essere troppo tardi.

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