Vettel-Ferrari, le ragioni dell’addio
Rapporti tesi, la ‘Sindrome Alonso’, questioni contrattuali (e di denaro) all’origine
Il corridoio di Maranello da sempre è per certi versi più ostico e insidioso della pista. Essere campioni del mondo con la tuta rossa, oltre che un onore che rende indimenticabili, è anche frutto di una capacità di galleggiamento non comune. La separazione tra Vettel e la Ferrari annunciata per la fine del 2020 era nell’aria e le ragioni sono molte, alcune conosciute, alcune razionali, altre disegnabili. Sergio Marchionne definì in tempi non sospetti Vettel un tedesco emotivo, in realtà usò un’altra parola molto più colorita ma non ripetibile. Aveva ragione. Il tedesco quattro volte campione del mondo ha una capacità di velocità e performance fuori dal comune, ma un lato nervoso meno forte che lo rende capace di errori grossolani e perdite di controllo per mancanza di calma. Questa è un’accusa che Ferrari gli ha spesso mosso per i risultati che non arrivavano. A sua volta ‘Seb’ ha spesso pensato – senza mancare di dirlo all’interno e mai comunicandolo con il grande pubblico o i media – che invece fossero le Rosse a essere sempre in ‘gap’ di prestazione. Un primo conflitto nasce qui: identico a quello patito da Alonso, da Prost. Se la macchina non va è colpa dell’uomo, se vince è merito del marchio. È nel Dna della Ferrari, lo voleva da sempre lo stesso Enzo Ferrari. A lui interessava il titolo costruttori contro i garagisti inglesi, quello piloti gli dava quasi fastidio. Utile qui rammentare lo stile di Maranello quando Lauda ebbe il famoso incidente del Nürburgring e fu subito preso Reutmann, mentre l’austriaco lottava tra la vita e la morte, prima del grande rientro di Monza. I piloti per Ferrari, Villeneuve escluso, contavano meno delle sue monoposto.
Secondo motivo del divorzio il denaro: Vettel costava molto, chiedeva un rinnovo almeno biennale, la Ferrari offriva un solo anno e molto, molto denaro in meno. Rifiutare è quasi stata una scelta di dignità. Vabbè Covid-19, vabbè le perdite milionarie del mercato, ma il tedesco residente in Svizzera ha ritenuto che il divario fosse troppo grande e non rispettoso della tanta fatica fatta e dedizione avuta senza mai perdere lo stile.
Un terzo elemento è che il 32enne si sta domandando cosa fare del suo futuro post coronavirus. È un ragazzo, un marito, un padre molto sensibile, deciso nel tutelare la sua privacy, ma anche molto legato a valori della vita che oggi lo portano a chiedersi se abbia ancora senso continuare a correre. E in che modo. Non ha un manager, non un aereo, ha vicino Britta, la fida portavoce dai tempi Red Bull che anche lei ha scelto di vivere in Svizzera vicino a Kreuzlingen come lui. Si fida del papà e di pochi altri, non mira a essere testimonial, ambasciatore di marche. È una persona semplice, finita nel team tritatutto per eccellenza.
Quarto elemento, quella che spesso chiamo “Sindrome di Alonso”: è arrivato in Ferrari assolutamente nella forma per divenire campione del mondo, ma non ha mai e poi mai avuto davvero la monoposto perfetta che guidava invece un certo Hamilton. Con conseguente frustrazione, a cui si sono aggiunti problemi con Todt per lo stress sui regolamenti e per il tentativo di permettere alla Rossa di essere vendibile con risultati decenti. Perché, che piaccia o meno, la F1 è la Rossa. Mica per niente “zio Bernie” le ha sempre riconosciuto un assegno speciale e unico.
Il quinto elemento si chiama Charles Leclerc: Ferrari punta su di lui, contratto lungo quanto mai proposto in precedenza a un giovane, che oggettivamente è dannatamente veloce in pista, arguto, scafato, intelligente. Insomma un futuro campione del mondo. Dura stare in un team come quello rosso che se ti gira le spalle sviluppa le due monoposto a regimi diversi in mille piccole cose, non sostanziali, all’apparenza non visibili, ma che si traducono in modeste sfumature, parole, suoni, odori che su una persona con il carattere di Vettel fanno la differenza e portano a una perdita di sicurezza e fiducia. E all’errore.
Una stagione da gregario e poi?
A questo punto ci si chiede come sarà un’annata già nata male, difficile e in salita, in cui un pilota del valore di Vettel da ieri è un gregario, professionista, ben pagato, ma gregario. La gestione dei pesi e delle tensioni diviene ora molto complessa, ben oltre le dichiarazioni da “vogliamoci tutti bene”. Se il pilota tedesco dovesse trovare un nuovo sedile per la stagione successiva, come potrebbe la Ferrari garantirgli tutte le più recenti soluzioni della monoposto di quest’anno, con il rischio che vengano poi svelate alla concorrenza in barba a eventuali accordi contrattuali poco dimostrabili? Un bel dilemma, che potrebbe comunque in parte risolversi nel caso in cui il quattro volte campione del mondo (2010-2014 con la Red Bull) decidesse di mettere fine alla sua carriera.
Avrebbe senso andare avanti a correre solo per denaro e qualche misero risultato? Fare la fine di Alonso in tutto e per tutto? Dovesse essere sì la risposta che si darà, le possibilità non mancano. Wollf è stato ieri chiarissimo: un cambiamento del mercato così importante non può lasciare indifferente la Mercedes-Benz, che ovviamente vorrebbe di nuovo un pilota tedesco anche per questioni di marketing. I tempi poi coinciderebbero con il probabile ritiro del team in 1-2 anni. Peccato che il cartellino di Bottas sia di proprietà di Toto. Red Bull grazie al sempre ilare Marko (quello che voleva far ammalare di Covid-19 tutti i piloti) ha detto peste e corna su un possibile ritorno. Restano quindi McLaren e Renault, ma non siamo certi che stimolino a sufficienza Sebastian.
Un’altra domanda che sorge spontanea è chi sarà il sostituto alla Ferrari. Al 90 per cento Carlos Sainz Jr., al 10 Ricciardo. Lo spagnolo costa poco, si è rivelato capace e motivato alla McLaren nella stagione 2019, sa essere sicuramente strutturato per Maranello. Un grande padre vicino lo consiglierà su come resistere nei gelidi corridoi di cui parlavo in apertura di questo articolo. Ricciardo ha minori possibilità per i costi necessari per liberarsi dal contratto Renault e anche per una questione anagrafica (30 anni contro i 25 di Sainz). Quel che è certo è che con l’annuncio della separazione tra Vettel e la Ferrari si è chiuso un (ennesimo) capitolo della storia della scuderia di Maranello, iniziato con il tedesco che disse che Von Tripps era il suo idolo in rosso, a dimostrare competenza e amore per il marchio del Cavallino Rampante. Ora se ne apre un altro, con la definizione di un prima e un dopo Covid-19 che segnerà un confine importante delineando il futuro della Circus, dalle sue spese folli allo smarrimento del valore dei piloti rispetto all’ubriacatura di ingegneri e aerodinamiche. In questo senso c’è da attendersi molte sorprese.