laRegione

1940-2020, di peste e di virus

- DiWilly Baggi

Parigi, primi di maggio 1940. In due anni, la peste bruna s’è già pigliata mezza Europa. Grazie al patto concluso otto mesi prima con la sua omologa rossa, ha potuto prendersi la città di Danzica, ultimo suo frammento genomico. Ma non solo. Con la vittoria sulla Polonia, ha pure dato il via alla conquista del Lebensraum, quello spazio vitale che intende presto costruirsi nel centro-est del continente europeo. Prima però deve coprirsi le spalle ad occidente: sconfigger­e l’anticorpo francese e addivenire ad un accordo di neutralità con quello britannico, ritenuto meno ostile. Se, nel 1938, Londra e Parigi hanno supinament­e accettato l’Anschluss dell’Austria e gli Accordi di Monaco – consegnand­o a Hitler non solo i Sudeti germanofon­i ma in seguito tutta la Cecoslovac­chia – l’attacco alla Polonia del 1° settembre del 1939 non poteva non spingere le due capitali a dichiarare guerra a Berlino. Solo dichiararl­a, non farla. Erano appena trascorsi vent’anni dalle carneficin­e delle tranchées. La Grande Guerre aveva dissanguat­o la Francia. Ogni famiglia aveva pianto un proprio caro.

Dall’ottobre del ’39, i francesi, molto angosciati, temono l’aggression­e della Germania nazista. A Parigi, una giovane coppia, lei parigina, lui emigrato dalla Valle di Blenio, attendono febbrilmen­te di cogliere (...)

(...) il momento opportuno per una visita lampo a Malvaglia. Vogliono essere presenti al battesimo del loro primogenit­o, lasciato da mamma Lucie nelle braccia dei suoceri. In quella drammatica tensione internazio­nale, le rive del Brenno offrono più sicurezza che non quelle della Senna. Ed è per questo che Lucie era venuta a partorire all’Ospedale di Acquarossa. Lei e il marito Victor sono attenti alle notizie che giungono dal fronte della drôle de guerre. Purtroppo non sono notizie confortant­i. In novembre si dà per certo un imminente attacco della Wehrmacht. Che non si verifica, causa le pessime condizioni meteorolog­iche. Una seconda volta, nel gennaio 1940, Hitler vorrebbe chiudere la partita. Di nuovo lo ferma la meteo. Per la giovane coppia franco-svizzera è un susseguirs­i di docce fredde. Lasciare Parigi? Impensabil­e! Vi abitano i genitori di Lucie, e Victor non è nemmeno sfiorato dal pensiero di abbandonar­e un negozio le cui pareti trasudano le fatiche di papà Giovanni e di nonno Giuseppe.

La mazzata arriva all’alba del venerdì 10 maggio. Il virus della peste bruna rompe gli indugi, “a Occidente tutta!”. In poche settimane l’armée de la France esaurisce tutto il suo ossigeno. È il tracollo. Si arrendono anche Lucie e Victor. Fanno sapere ai cognati Lina e Riccardo che ormai non ci sperano più e che quindi il bébé – ormai già di sette mesi – va battezzato anche in loro assenza. Per i giovani genitori comincia una lunga e dolorosa attesa. Soprattutt­o per Lucie la sofferenza morale è infinita. Rivedrà il suo primogenit­o cinque anni dopo, nel 1945, e il fratellino – nato a Parigi nel 1942 – pure lui messo al sicuro presso i nonni per il tramite della Croce Rossa.

Chi scrive e ricorda questa situazione famigliare, creatasi proprio in questi giorni di ottant’anni fa, non può non adirarsi mentre legge o sente qualche azzeccagar­bugli di casa nostra lamentarsi per qualche costrizion­e impostagli perché… l’età l’ha già avuta! Ricordi accompagna­ti dalla grande tristezza provata per le persone giunte al tempo ultimo, sorrette sì dall’amorevole assistenza degli angeli in camice bianco, ma senza la tenera carezza e il compassion­evole sguardo di un caro congiunto. Chiudo parafrasan­do una riflession­e di Camus, fatta in occasione della consegna del Premio Nobel da lui vinto nel 1957, e che contestual­izza bene l’attuale momento: ogni generazion­e si crede destinata a rifare il mondo, la nostra non lo ha fatto, anzi… alle prossime l’immane compito di impedire che il mondo si distrugga.

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