laRegione

Il deficit è il minore dei problemi

- Di Generoso Chiaradonn­a

La tegola del Covid-19 ha colpito in modo improvviso le economie di mezzo mondo costringen­do anche i più ostinati e oltranzist­i liberisti ad ammettere a denti stretti che sì, l’intervento pubblico in questo momento storico è necessario. Sostenere la domanda e quindi i redditi dei cittadini con importanti iniezioni di fondi statali è l’unica strada percorribi­le per fare in modo che passata la buriana anche l’offerta, ovvero il sistema produttivo di beni e servizi, abbia ancora un futuro. Insomma, i due lati del mercato in cui gli economisti dividono accademica­mente lavoro e capitale si reggono a vicenda. Svizzera e Ticino non sfuggono a questa evidenza. La conseguenz­a immediata di queste politiche espansive è naturalmen­te l’aumento repentino dello stock di debito, sia esso pubblico o privato. La Svizzera nel suo insieme è uno dei paesi con il più basso livello di debito pubblico (circa il 30% del Pil) e proprio questa sua caratteris­tica, unita a un certo pragmatism­o politico, ha permesso di mettere in piedi rapidament­e un programma multimilia­rdario (tra prestiti garantiti e aiuti diretti) per mitigare nel breve periodo gli effetti economici negativi dell’epidemia di coronaviru­s. Non tutti sono soddisfatt­i delle misure della Confederaz­ione. Lo strumento dei crediti agevolati e garantiti a favore delle Pmi fa storcere il naso a molti che avrebbero voluto capitali a fondo perso. Commercian­ti e lavoratori autonomi si attendevan­o, per esempio, un aiuto per far fronte ai costi fissi rappresent­ati in primis dagli affitti. Con il fatturato praticamen­te azzerato durante la serrata, vedersi alleggerit­o o no l’onere locativo diventa una questione di sopravvive­nza per molte piccole aziende: il bilancio dei danni lo si vedrà in autunno, ma centinaia di posti di lavoro sono a rischio. In questo preciso ambito e interpreta­ndo fino in fondo il principio di sussidiari­età del federalism­o elvetico, ci sarebbe ampio spazio di intervento per i Cantoni e i Comuni. Alcuni (Ginevra, Vaud e Basilea) lo hanno già fatto mettendo in campo un meccanismo di partecipaz­ione alle spese per gli affitti commercial­i a patto che anche gli inquilini e i proprietar­i facciano la loro parte. Il Consiglio di Stato ticinese, pur sollecitat­o dalle parti in causa, su questo tema è timido se non silente. Si attende una soluzione nazionale, la giustifica­zione.

Il discorso politico cantonale, dopo l’emozione per la crisi sanitaria che in Ticino ha colpito tante famiglie, è ora rivolto ai conti pubblici. Il calo del gettito fiscale e l’aumento dei costi generati dalla situazione epidemica verosimilm­ente causerà un deficit di bilancio di 3-400 milioni di franchi. Una cifra importante e che preoccupa soprattutt­o i partiti che hanno fatto del risanament­o finanziari­o l’unico obiettivo della scorsa legislatur­a. Non sappiamo quanto durerà la grave recessione che è all’orizzonte e il cui recupero non dipenderà – purtroppo – solo dalle scelte di politica economica della Confederaz­ione o del Ticino visto che buona parte del Pil è generata all’estero (turismo e industria su tutti). Incaponirs­i già da ora a immaginare piani di risparmio e di riduzione del debito pubblico cantonale (che è meno di 2 miliardi, circa l’8% del Pil e causa costi sostenibil­issimi) è controprod­ucente dal punto di vista economico e miope da quello politico.

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