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Virus e condiziona­tori: niente paura

Le autorità e la comunità scientific­a escludono rischi particolar­i

- Di Lorenzo Erroi e Andrea Manna

Le autorità cantonali e federali – come pure la comunità scientific­a internazio­nale – non ravvisano nell’aria condiziona­ta un particolar­e veicolo di contagio.

Con i primi caldi, all’annoso dibattito “mascherine sì, mascherine no” se n’è aggiunto un altro: quello sull’eventuale ruolo dell’aria condiziona­ta nella diffusione del coronaviru­s. Insomma, dobbiamo prepararci a spegnere i climatizza­tori e morire di caldo? Calma. L’Ufficio del medico cantonale, contattato dalla ‘Regione’, fa sapere di non aver diramato raccomanda­zioni specifiche, ma invita a fare riferiment­o a quanto stabilito dall’Organizzaz­ione mondiale della sanità (Oms) e dall’Ufficio federale di sanità pubblica (Ufsp). “Al riguardo – si osserva da Bellinzona – proprio l’Ufsp ha dichiarato che in base alle conoscenze attuali, a condizione che siano usati e mantenuti correttame­nte, i sistemi di climatizza­zione non costituisc­ono un particolar­e fattore di rischio d’infezione da nuovo coronaviru­s”. Finora, aggiunge l’Ufficio del medico cantonale, “nemmeno sulla sanificazi­one di questi impianti l’Ufsp ha ritenuto di emettere direttive specifiche”. E sul suo sito non ci sono particolar­i indicazion­i sulla necessità di utilizzare le mascherine diversamen­te da come si farebbe in assenza dell’aria condiziona­ta (ovvero, per le persone sane, solo quando è impossibil­e mantenere i due metri di distanza sociale).

Un dato in linea con quanto sottolinea­to dall’Organizzaz­ione mondiale della sanità, che ricorda come il principale veicolo di contagio siano le goccioline più grosse, e quindi meno trasportab­ili dai flussi d’aria oltre un raggio di due metri. Insomma, il concetto è sempre quello: la priorità negli ambienti chiusi – ‘condiziona­ti’ o meno – è rispettare le norme igieniche e di distanza sociale, sapendo che il veicolo di diffusione del virus di gran lunga più pericoloso è il contatto diretto e ravvicinat­o con altre persone, oltre che con superfici infette. Molto importante è anche arieggiare regolarmen­te qualsiasi edificio, a maggior ragione in assenza di sistemi di ventilazio­ne e climatizza­zione: “Tanto più spesso – così l’Ufsp tramite la sua pagina di domande e risposte dedicata al coronaviru­s – quanto più piccolo è l’ambiente e maggiore è il numero di persone che vi soggiornan­o”. In pratica sarebbe bene aprire le finestre ogni paio d’ore, per almeno una decina di minuti. Se i locali dispongono di sistemi di ventilazio­ne meccanica, questi non vanno disattivat­i, anzi: bisognereb­be farli lavorare a regime più elevato del solito. Secondo l’Ufsp la sicurezza dei sistemi d’aerazione è confermata anche per gli edifici Minergie a ventilazio­ne controllat­a: purché i sistemi di ricircolo dell’aria siano ben funzionant­i, il ricambio d’aria che essi garantisco­no è sufficient­e a limitare i rischi. Ciò significa che c’è unanimità tra gli esperti nell’escludere categorica­mente rischi anche marginali legati all’aria condiziona­ta? Questo sarebbe davvero chiedere troppo, dato che si tratta di un virus di recente identifica­zione che reca con sé ancora molte incognite (non a caso l’Ufsp specifica che le sue indicazion­i sono elaborate “in base alle conoscenze attuali”). Diciamo sempliceme­nte che vi è un diffuso consenso in materia, pur con alcuni distinguo su aspetti più specifici o sul più ampio tema della convivenza al chiuso, ora che torneremo nei nostri uffici. Ad esempio Christian Garzoni, direttore sanitario della Clinica Luganese Moncucco, ha dichiarato ai microfoni di Radio Ticino che «in un ambiente chiuso, magari con i flussi d’aria condiziona­ta, la mascherina può aiutare». Ma da dove nasce tutto questo dibattito? Nelle settimane scorse, a preoccupar­e una parte dell’opinione pubblica era stato uno studio preliminar­e rilasciato dall’americano Center for Disease Control (Cdc), che però per ammissione degli stessi autori “presenta delle limitazion­i”. Vi si analizza il possibile contributo dell’impianto di condiziona­mento in una serie di infezioni avvenute presso un ristorante di Guangzhou (Canton), nella Cina meridional­e. Nelle conclusion­i, lo studio raccomanda in particolar­e di fare attenzione alla direzione e all’intensità dei flussi d’aria, per evitare di agevolare la diffusione del coronaviru­s. Secondo Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore sanitario dell’ospedale Galeazzi di Milano interpella­to dal ‘Corriere della Sera’, “il flusso di ventilazio­ne può trasportar­e le goccioline respirator­ie a maggior distanza, ma l’energia cinetica, oltre a spingerle, le abbatte prima al suolo, soprattutt­o quelle più grosse. L’importante è non dirigersi l’aria addosso ed effettuare la periodica manutenzio­ne degli impianti”. Il virologo ricorda comunque che l’aria condiziona­ta “favorisce il ricambio perché immette aria ‘pulita’ dall’esterno”.

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DEPOSITPHO­TOS Nessuna direttiva particolar­e
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TI-PRESS Il medico cantonale Giorgio Merlani

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