Virus e condizionatori: niente paura
Le autorità e la comunità scientifica escludono rischi particolari
Le autorità cantonali e federali – come pure la comunità scientifica internazionale – non ravvisano nell’aria condizionata un particolare veicolo di contagio.
Con i primi caldi, all’annoso dibattito “mascherine sì, mascherine no” se n’è aggiunto un altro: quello sull’eventuale ruolo dell’aria condizionata nella diffusione del coronavirus. Insomma, dobbiamo prepararci a spegnere i climatizzatori e morire di caldo? Calma. L’Ufficio del medico cantonale, contattato dalla ‘Regione’, fa sapere di non aver diramato raccomandazioni specifiche, ma invita a fare riferimento a quanto stabilito dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dall’Ufficio federale di sanità pubblica (Ufsp). “Al riguardo – si osserva da Bellinzona – proprio l’Ufsp ha dichiarato che in base alle conoscenze attuali, a condizione che siano usati e mantenuti correttamente, i sistemi di climatizzazione non costituiscono un particolare fattore di rischio d’infezione da nuovo coronavirus”. Finora, aggiunge l’Ufficio del medico cantonale, “nemmeno sulla sanificazione di questi impianti l’Ufsp ha ritenuto di emettere direttive specifiche”. E sul suo sito non ci sono particolari indicazioni sulla necessità di utilizzare le mascherine diversamente da come si farebbe in assenza dell’aria condizionata (ovvero, per le persone sane, solo quando è impossibile mantenere i due metri di distanza sociale).
Un dato in linea con quanto sottolineato dall’Organizzazione mondiale della sanità, che ricorda come il principale veicolo di contagio siano le goccioline più grosse, e quindi meno trasportabili dai flussi d’aria oltre un raggio di due metri. Insomma, il concetto è sempre quello: la priorità negli ambienti chiusi – ‘condizionati’ o meno – è rispettare le norme igieniche e di distanza sociale, sapendo che il veicolo di diffusione del virus di gran lunga più pericoloso è il contatto diretto e ravvicinato con altre persone, oltre che con superfici infette. Molto importante è anche arieggiare regolarmente qualsiasi edificio, a maggior ragione in assenza di sistemi di ventilazione e climatizzazione: “Tanto più spesso – così l’Ufsp tramite la sua pagina di domande e risposte dedicata al coronavirus – quanto più piccolo è l’ambiente e maggiore è il numero di persone che vi soggiornano”. In pratica sarebbe bene aprire le finestre ogni paio d’ore, per almeno una decina di minuti. Se i locali dispongono di sistemi di ventilazione meccanica, questi non vanno disattivati, anzi: bisognerebbe farli lavorare a regime più elevato del solito. Secondo l’Ufsp la sicurezza dei sistemi d’aerazione è confermata anche per gli edifici Minergie a ventilazione controllata: purché i sistemi di ricircolo dell’aria siano ben funzionanti, il ricambio d’aria che essi garantiscono è sufficiente a limitare i rischi. Ciò significa che c’è unanimità tra gli esperti nell’escludere categoricamente rischi anche marginali legati all’aria condizionata? Questo sarebbe davvero chiedere troppo, dato che si tratta di un virus di recente identificazione che reca con sé ancora molte incognite (non a caso l’Ufsp specifica che le sue indicazioni sono elaborate “in base alle conoscenze attuali”). Diciamo semplicemente che vi è un diffuso consenso in materia, pur con alcuni distinguo su aspetti più specifici o sul più ampio tema della convivenza al chiuso, ora che torneremo nei nostri uffici. Ad esempio Christian Garzoni, direttore sanitario della Clinica Luganese Moncucco, ha dichiarato ai microfoni di Radio Ticino che «in un ambiente chiuso, magari con i flussi d’aria condizionata, la mascherina può aiutare». Ma da dove nasce tutto questo dibattito? Nelle settimane scorse, a preoccupare una parte dell’opinione pubblica era stato uno studio preliminare rilasciato dall’americano Center for Disease Control (Cdc), che però per ammissione degli stessi autori “presenta delle limitazioni”. Vi si analizza il possibile contributo dell’impianto di condizionamento in una serie di infezioni avvenute presso un ristorante di Guangzhou (Canton), nella Cina meridionale. Nelle conclusioni, lo studio raccomanda in particolare di fare attenzione alla direzione e all’intensità dei flussi d’aria, per evitare di agevolare la diffusione del coronavirus. Secondo Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore sanitario dell’ospedale Galeazzi di Milano interpellato dal ‘Corriere della Sera’, “il flusso di ventilazione può trasportare le goccioline respiratorie a maggior distanza, ma l’energia cinetica, oltre a spingerle, le abbatte prima al suolo, soprattutto quelle più grosse. L’importante è non dirigersi l’aria addosso ed effettuare la periodica manutenzione degli impianti”. Il virologo ricorda comunque che l’aria condizionata “favorisce il ricambio perché immette aria ‘pulita’ dall’esterno”.