Così il Covid-19 non entra in oncologia
Meno pazienti. Forse per paura. Il primario: ‘Rigide misure finché non ci sarà un vaccino’.
A marzo i nuovi pazienti oncologici sono calati del 20% allo Iosi forse per timore del contagio. Il primario Gillessen ci spiega come in reparto viene tutelata la loro sicurezza.
Mentre il Ticino si avvia verso una sorta di normalità con negozi, ristoranti e scuole che riaprono, dopo un periodo di attività a regime ridotto anche l’Istituto oncologico della Svizzera italiana (Iosi) nelle sedi degli ospedali Eoc riprende la sua attività a pieno regime con un’attenzione estrema all’applicazione di rigide regole antiCovid-19, per garantire le cure oncologiche a chi ne ha bisogno in tutta sicurezza. Un delicato esercizio di equilibrismo. Da una parte va ridotto il rischio di contagio e dall’altra occorre garantire la continuità terapeutica per pazienti ad alto rischio. La professoressa Silke Gillessen Sommer è la direttrice medico scientifica e primario di Oncologia medica di un Istituto, lo Iosi, che, abitualmente, conta 30mila visite l’anno, quasi 700 pazienti con tumore a settimana. Stiamo parlando di una malattia che per sua natura può indebolire il sistema immunitario (il sistema di difesa naturale del corpo contro le infezioni) rendendo i pazienti affetti da tumori esposti a sviluppare forme più gravi di infezioni durante una pandemia. Finché non ci sarà un vaccino, le misure anti-Covid-19 allo Iosi restano elevate.
La priorità è la sicurezza dei pazienti “Allo Iosi, i consulti e le visite necessarie sono continuati in sicurezza anche nella fase acuta della pandemia. Nel mese di marzo abbiamo osservato una riduzione circa del 20% del numero di nuovi pazienti, ma ad aprile le prime visite sono ritornate ai valori medi abituali, a testimoniare il fatto che l’Istituto, così come l’intero ospedale multisito, nelle sue varie sedi, non ha mai smesso di prendere in carico i pazienti con nuova diagnosi di malattia tumorale. Con il consenso delle autorità federali e delle casse malati, abbiamo potuto dilazionare alcune cure su tempi più lunghi. Inoltre, quando possibile, abbiamo introdotto consulti via telefono o Skype, per ridurre gli accessi ospedalieri e i rischi di contagio”, spiega la professoressa.
Il suo appello è chiaro: “Non sappiamo ancora dire se la pandemia porterà con sé ritardi nella diagnosi di nuovi tumori, lo vedremo in futuro. Consigliamo a chi manifesta dei sintomi di non aspettare e contattare un professionista. La nostra priorità – ribadisce – è la sicurezza dei nostri pazienti, che sono particolarmente a rischio”.
Non facciamo incrociare i pazienti “Confrontandoci con l’esperienza dei colleghi in
Cina e in Italia, abbiamo potuto attivarci molto presto allo Iosi per aumentare la sicurezza, contattando tutti i pazienti oncologici il giorno prima della visita”, spiega il primario.
Da mesi, la quotidianità allo Iosi è stravolta: igiene e distanze sociali sono la norma, gruppi di curanti si alternano tra reparto e telelavoro, gli accompagnatori aspettano fuori, i pazienti seguono percorsi separati per non incrociarsi. “Con l’attuazione di tutte queste nuove regole, i tempi si allungano e abbiamo esteso gli orari dei nostri servizi ambulatoriali, contando su una solida collaborazione interdisciplinare, tra medici, personale infermieristico e amministrativo. Questa emergenza ha anche rafforzato il nostro lavoro di squadra”, spiega.
Tamponi per chi fa cicli di chemioterapia Si cerca di ridurre al massimo il rischio di contagio. “Facciamo il tampone ai pazienti nuovi che si sottopongono a cicli di chemioterapia, a chi riceve cure che abbassano le difese immunitarie e a chi viene ricoverato in reparto. È una procedura per proteggere il paziente e per evitare che diventi un veicolo di infezione in ospedale”, aggiunge. La maggioranza dei test dei pazienti oncologici asintomatici è risultata negativa al Sars-CoV-2: “Abbiamo dovuto ritardare l’inizio della chemioterapia solo in singoli pazienti. Comunque, abbiamo un piano per curare in isolamento pazienti oncologici che risultano positivi al Covid-19 e che hanno bisogno di un trattamento urgente, non rinviabile. Fortunatamente non abbiamo dovuto attivarlo”, precisa. Guardando avanti chiediamo al primario se è pronta ad un’eventuale seconda ondata. “Certo, lo siamo. Non abbiamo ancora abbassato la guardia, seguiamo gli stessi protocolli che avevamo durante il picco pandemico. Finché non ci sarà un vaccino non potremo tornare alla normalità”.
‘Lontana da mio marito per i pazienti’ Medici e infermieri sono coscienti che l’emergenza durerà mesi e per impedire il rischio di contagio hanno adottato rapidamente le norme di comportamento e igiene necessarie, anche se adattarsi a tenere sempre le distanze tra colleghi e tra curante e paziente non è sempre facile, la mascherina rende più difficile mostrare le emozioni e la distanza diventa anche emotiva. “A volte è davvero difficile, manca il contatto fisico di una stretta di mano, ma abbiamo imparato a sorridere con gli occhi e ce la mettiamo tutta per far sentire ai pazienti la nostra vicinanza”, ci spiega la dottoressa Sara De Dosso, caposervizio Oncologia medica e responsabile dell’ambulatorio di Bellinzona.
Curare pazienti molto fragili durante una pandemia richiede un’attenzione continua e anche qualche sacrificio personale. “Anche mio marito è medico e si è occupato di pazienti Covid-19. Per un periodo siamo stati lontani. Solo cosi potevo garantire la mia presenza in reparto tutelando i miei pazienti. Siamo medici anche fuori dall’ospedale e le nostre scelte contano”, precisa la dottoressa.
Allo Iosi, fino ad ora, nessun medico è risultato positivo al tampone. “Siamo molto rigorosi, ci comportiamo tutti come se fossimo positivi, mantenendo le distanze e rispettando le regole. Non si mangia più insieme come prima e le pause, anche per un caffè, sono gestite con molta attenzione. Cerchiamo, quando possibile, di lavorare in due team, uno lavora da casa e l’altro nell’ospedale, così da avere sempre un ricambio in caso di contagi”, precisa il primario Gillessen.