Ecuador, ‘duplice è la pandemia’
La testimonianza di padre Carletti, missionario tra i poveri de La Libertad
Sono le 3 e mezza di mattina (le 10.30 in Svizzera) quando da La Libertad, cittadina dell’Ecuador di quasi 80mila anime sulla costa pacifica, ci giunge via telefono la voce, stanca, di padre Pierluigi Carletti, il missionario originario di Cavigliano da mezzo secolo impegnato tra i poveri del Paese sudamericano.
Il religioso salesiano è un uomo provato dalla fatica, da lunghe notti insonni. Perché a mettere in ginocchio quella che lui considera la sua gente, non è solo la miseria quotidiana; non bastasse la situazione di bancarotta in cui versa la sua “seconda patria”, ora si è aggiunto anche il coronavirus. Il Sud America ha visto una diffusione relativamente più lenta della pandemia rispetto a quanto successo in Europa o negli Stati Uniti. Tuttavia l’insufficiente diffusione di test per la diagnosi obbliga a prendere i dati con le pinze.
‘Una situazione di emergenza
senza precedenti’
«Sono due le pandemie che ci affliggono – attacca padre Carletti –. Viviamo una situazione di emergenza senza precedenti. Perché qui la gente ora ha fame, non può lavorare, non percepisce un salario e scende, disperata, per le strade nel tentativo di vendere tutto ciò che ha per un pezzo di pane. Tutti in cerca di beni per far fronte alle prime necessità». Scene di disperazione collettiva, con le famiglie che fanno fatica ad adattarsi a lockdown o distanziamento sociale imposto dall’autorità. Così chi necessita di aiuto non esita a bussare alle porte delle due parrocchie (con le chiese dedicate a San Francesco e San Patrizio) aperte dal religioso pedemontano – ultime di una lunga serie – per aiutare i giovani e garantire loro una buona istruzione. L’anima di questo popolo è fondamentalmente religiosa, quando c’è un problema la gente cerca conforto in Dio prima che nei medici. La fede, lo insegna la storia, fa parte del vissuto di ogni situazione drammatica. «Ogni giorno, già dalle prime luci dell’alba, centinaia di persone si assembrano davanti alle porte della parrocchia – spiega padre Chicho, com’è chiamato da queste parti –. Donne, uomini, vecchi e bambini hanno fame, chiedono viveri. Non rispettano le raccomandazioni del governo, che invita la popolazione a stare in casa per evitare rischi di contagio, perché gli aiuti non arrivano. Non hanno più nulla da perdere. E io non ho più nulla da dare loro da mangiare».
Le scorte sono finite
Le scorte di cibo del religioso, pensate per gli allievi, dureranno ancora qualche giorno. Nemmeno una settimana. »È un disastro su tutti i fronti! Mi cercano di continuo. Non mi lasciano nemmeno più dormire la notte. Attraverso gli altoparlanti della chiesa chiedo loro di tornarsene a casa. La polizia mi ha persino accusato di contribuire alla diffusione del virus e il vescovo locale sta pensando di trasferirmi altrove. Giornalmente esco con i miei ragazzi e portiamo, nelle case, tutto ciò che ci resta. Ma se la situazione non cambia, presto sarà tutto finito».
Le scuole all’interno della struttura religiosa sono, al momento, chiuse. Le centinaia di allievi sono quindi “confinati”. Anche la celebrazione delle messe è stata sospesa. Il governo promette aiuti, ma non può fronteggiare questa emergenza perché non dispone nemmeno di una rete sanitaria capillare. «Ci chiedono di fare lezioni online, ma poche sono le famiglie che possiedono di che nutrire i propri figli, figuriamoci quelle che hanno un computer. In maggio i ragazzi sarebbero dovuti tornare a scuola, ma per ora è tutto bloccato».
Nei mercati cittadini, al momento, i generi di prima necessità sono garantiti. «Si possono ancora trovare i prodotti delle campagne, ma anche lì i camion che trasportano la merce non di rado finiscono assaltati dai disperati. Io stesso sono costretto a muovermi accompagnato da una piccola scorta di 2-3 ragazzi, per timore di essere sequestrato. Cerco di limitare al massimo le uscite. Una situazione tremenda. Confido nell’aiuto dei benefattori ticinesi per poter assicurare un minimo vitale a questi poveri. Senza questa solidarietà, impossibile acquistare viveri da distribuire alle famiglie». Padre Chicho non si rassegna ed è pronto a mettersi in gioco con la sua gente, proprio ora che ha ancora più bisogno di lui. E scongiurare il rischio, concreto, che il virus porti con sé una carestia più letale dell’infezione stessa, mandando d’un sol colpo al tappeto non solo il già vacillante sistema sanitario, bensì la vita quotidiana di intere province dell’Ecuador. Eventuali donazioni sul conto CH75 8080 8006 3595 7522 2 della Banca Raiffeisen Losone Pedemonte e Vallemaggia intestato a padre Carletti.