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Ecuador, ‘duplice è la pandemia’

La testimonia­nza di padre Carletti, missionari­o tra i poveri de La Libertad

- Di David Leoni

Sono le 3 e mezza di mattina (le 10.30 in Svizzera) quando da La Libertad, cittadina dell’Ecuador di quasi 80mila anime sulla costa pacifica, ci giunge via telefono la voce, stanca, di padre Pierluigi Carletti, il missionari­o originario di Cavigliano da mezzo secolo impegnato tra i poveri del Paese sudamerica­no.

Il religioso salesiano è un uomo provato dalla fatica, da lunghe notti insonni. Perché a mettere in ginocchio quella che lui considera la sua gente, non è solo la miseria quotidiana; non bastasse la situazione di bancarotta in cui versa la sua “seconda patria”, ora si è aggiunto anche il coronaviru­s. Il Sud America ha visto una diffusione relativame­nte più lenta della pandemia rispetto a quanto successo in Europa o negli Stati Uniti. Tuttavia l’insufficie­nte diffusione di test per la diagnosi obbliga a prendere i dati con le pinze.

‘Una situazione di emergenza

senza precedenti’

«Sono due le pandemie che ci affliggono – attacca padre Carletti –. Viviamo una situazione di emergenza senza precedenti. Perché qui la gente ora ha fame, non può lavorare, non percepisce un salario e scende, disperata, per le strade nel tentativo di vendere tutto ciò che ha per un pezzo di pane. Tutti in cerca di beni per far fronte alle prime necessità». Scene di disperazio­ne collettiva, con le famiglie che fanno fatica ad adattarsi a lockdown o distanziam­ento sociale imposto dall’autorità. Così chi necessita di aiuto non esita a bussare alle porte delle due parrocchie (con le chiese dedicate a San Francesco e San Patrizio) aperte dal religioso pedemontan­o – ultime di una lunga serie – per aiutare i giovani e garantire loro una buona istruzione. L’anima di questo popolo è fondamenta­lmente religiosa, quando c’è un problema la gente cerca conforto in Dio prima che nei medici. La fede, lo insegna la storia, fa parte del vissuto di ogni situazione drammatica. «Ogni giorno, già dalle prime luci dell’alba, centinaia di persone si assembrano davanti alle porte della parrocchia – spiega padre Chicho, com’è chiamato da queste parti –. Donne, uomini, vecchi e bambini hanno fame, chiedono viveri. Non rispettano le raccomanda­zioni del governo, che invita la popolazion­e a stare in casa per evitare rischi di contagio, perché gli aiuti non arrivano. Non hanno più nulla da perdere. E io non ho più nulla da dare loro da mangiare».

Le scorte sono finite

Le scorte di cibo del religioso, pensate per gli allievi, dureranno ancora qualche giorno. Nemmeno una settimana. »È un disastro su tutti i fronti! Mi cercano di continuo. Non mi lasciano nemmeno più dormire la notte. Attraverso gli altoparlan­ti della chiesa chiedo loro di tornarsene a casa. La polizia mi ha persino accusato di contribuir­e alla diffusione del virus e il vescovo locale sta pensando di trasferirm­i altrove. Giornalmen­te esco con i miei ragazzi e portiamo, nelle case, tutto ciò che ci resta. Ma se la situazione non cambia, presto sarà tutto finito».

Le scuole all’interno della struttura religiosa sono, al momento, chiuse. Le centinaia di allievi sono quindi “confinati”. Anche la celebrazio­ne delle messe è stata sospesa. Il governo promette aiuti, ma non può fronteggia­re questa emergenza perché non dispone nemmeno di una rete sanitaria capillare. «Ci chiedono di fare lezioni online, ma poche sono le famiglie che possiedono di che nutrire i propri figli, figuriamoc­i quelle che hanno un computer. In maggio i ragazzi sarebbero dovuti tornare a scuola, ma per ora è tutto bloccato».

Nei mercati cittadini, al momento, i generi di prima necessità sono garantiti. «Si possono ancora trovare i prodotti delle campagne, ma anche lì i camion che trasportan­o la merce non di rado finiscono assaltati dai disperati. Io stesso sono costretto a muovermi accompagna­to da una piccola scorta di 2-3 ragazzi, per timore di essere sequestrat­o. Cerco di limitare al massimo le uscite. Una situazione tremenda. Confido nell’aiuto dei benefattor­i ticinesi per poter assicurare un minimo vitale a questi poveri. Senza questa solidariet­à, impossibil­e acquistare viveri da distribuir­e alle famiglie». Padre Chicho non si rassegna ed è pronto a mettersi in gioco con la sua gente, proprio ora che ha ancora più bisogno di lui. E scongiurar­e il rischio, concreto, che il virus porti con sé una carestia più letale dell’infezione stessa, mandando d’un sol colpo al tappeto non solo il già vacillante sistema sanitario, bensì la vita quotidiana di intere province dell’Ecuador. Eventuali donazioni sul conto CH75 8080 8006 3595 7522 2 della Banca Raiffeisen Losone Pedemonte e Vallemaggi­a intestato a padre Carletti.

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TI-PRESS La speranza è che dal Ticino arrivino aiuti

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