‘Felici basta esserlo’, chi era Monica Paglia
Gli ultimi tre anni di Monica Paglia, morta di tumore a 15 anni, ripercorsi dal padre
Nel volume edito da Casagrande da oggi in libreria, il padre Christian ripercorre la storia della quindicenne morta nel marzo del 2019 per un tumore.
Monica è morta il 13 marzo 2019. Aveva 15 anni; 13 quando le venne diagnosticato il tumore osseo che dopo tre anni di operazioni, chemioterapia, esami l’ha uccisa. “Monica era una persona di cuore e di azione” scrive il padre di Monica, Christian Paglia, nella prefazione del libro che ripercorre gli ultimi tre anni di vita della figlia. Un libro scritto per “condividere il nostro cammino”. E per dare un po’ di speranza: “Bisogna sempre guardare alla vita. Anche quando tutto e tutti la negano”. Pubblichiamo un estratto da Felici basta esserlo (Edizioni Casagrande) da oggi in libreria.
Il viaggio a New York: una delle vacanze più belle. Siamo di ritorno negli Stati Uniti dopo dodici anni. All’arrivo a Manhattan, Vanessa spiega a Monica come usare alcune applicazioni. Le sorelle si divertono con i cellulari. Servizi fotografici, riprese e chat con le amile che. Mentre scendono dal taxi, la fretta e la stanchezza fanno loro dimenticare sul sedile dell’auto un apparecchio appena acquistato. Inutili le lunghe telefonate nella speranza di recuperarlo. Un po’ di rabbia iniziale e qualche breve polemica. Poi l’altezza dell’albergo e i grattacieli iniziano a far dimenticare l’accaduto. La metropoli è una novità troppo stimolante.
[…] La visita a Ground Zero, dopo l’abbattimento delle Torri gemelle, è toccante. Fa impressione vedere cadere di continuo l’acqua ai lati degli enormi quadrati neri scavati nel terreno. Come impressionante è stato l’attacco al World Trade Center. In quel periodo vivevamo laggiù. Due mesi prima dell’attacco avevo visitato le Torri. Poi tutto distrutto. Volare era diventato molto difficile e l’aeroporto di Newark nel New Jersey, in genere frequentato da migliaia di persone al giorno, era quasi deserto. Molti militari con la mitragliatrice. Nessuno o quasi volava più. I controlli erano severissimi.
Il Central Park è una meta obbligata. Percorrendolo, ci sentiamo in un film. Trafficato e diverso da come si può immaginare. Il flusso di pedoni, ciclisti e pattinatori è regolato in parte dai semafori. Comunque una piacevole esperienza.
[…] Poi il volo, quasi vuoto, verso Miami. Nell’ultima parte del viaggio, un temporale ci accompagna a distanza. Un fulmine improvviso in lontananza incute paura. Ma l’avvicinamento all’aeroporto proprio la notte del 4 luglio ci permette di vedere i fuochi d’artificio salire verso di noi ed esplodere in sfere luccicanti nel cielo. È la Festa d’Indipendenza.
Il caldo umido si sente nel petto. Abbiamo la sensazione di essere in un altro mondo. L’auto a noleggio fischia con tutti i suoi sensori e allarmi. Partiamo lungo le autostrade tortuose che si accavallano su più livelli.
[…] Prima di raggiungere Cape Canaveral ci fermiamo a Daytona Beach: un’immensa distesa di sabbia e un ampio bagnasciuga, dove circolano pure alcuni mezzi. Il mare si alza lentamente al largo e le onde possono prendere una forma perfetta e ricadere verso la spiaggia. Monica si distende sulla sabbia; con le mani le copriamo le gambe a formare una coda di sirena. Nel mare ci sono molti milioni di pesci, ma lei è una sirena.
[…] L’estate passa in un baleno, l’autunno e l’inverno si avvicinano. Una sera, prima di addormentarsi, Monica mi dice: «Papi, mi fa mail ginocchio». È quello destro. Un dolore improvviso. Le rispondo che può essere causato dalla crescita; un muscolo o un’articolazione. La invito a frizionare e a riscaldare la zona che le fa male. Da ragazzo, durante lo sviluppo, per un periodo ho patito forti dolori all’addome. Pensavo a qualcosa di simile. Poco dopo le chiedo se sta meglio. Mi risponde di sì. Mi tranquillizzo e ci addormentiamo. Il mattino tutto regolare. I giorni trascorrono, la neve cade. Fra un gioco e l’altro in giardino con il cane e il pupazzo andiamo a sciare con Vanessa. Neve stupenda. Poca gente. Dopo un paio di discese il dolore a entrambe le gambe di Monica ci fa rallentare. L’aspetto. Penso a una mancanza di allenamento. A fine mattinata si ferma con la mamma nella stazione in alto, al ristorante. Nel tardo pomeriggio scende nuovamente con noi.
Intanto si avvicina il test di pattinaggio che permette di accedere a un corso di livello superiore e ottenere una seconda stellina. Dopo dolori puntuali in tarda serata, si prepara alla prova sul ghiaccio. È il suo turno. Entra in pista. Davanti agli esperti inizia a fare gli esercizi, seguita dalla maestra. Alcuni minuti. Ci pare tutto svolto al meglio. Più tardi ci dice che si è esibita con il dolore alla gamba. Dopo qualche giorno decide di recarsi dalle sue amiche vicine di casa. Due ragazze simpatiche più piccole di lei, con le quali ama trascorrere del tempo. Infila i pattini a rotelle e percorre la via di accesso all’abitazione. Un avvallamento la fa cadere. Picchia il ginocchio sull’asfalto. La strada percorsa tante volte di corsa, con i pattini, in bicicletta o a piedi all’improvviso la ferma. L’indomani il dolore cresce. Fatica a scendere le scale. Deve quasi trascinarsi sul pavimento. La situazione e l’imminente partenza per Amsterdam ci impongono una radiografia. In attesa dei risultati si sposta con le stampelle e un tutore alla gamba di colore blu.
La Venezia del Nord ci appare un’accogliente capitale. Canali di notevoli dimensioni sono attraversati da ponticelli. Biciclette a raffica, malgrado il clima un po’ rigido. Il museo di Van Gogh e le sue opere ci colpiscono. In particolare i quadri meno conosciuti, ma con intensità di luci e di espressioni umane fuori dal comune. Un genio incompreso in vita. Come altri. Mi ritrovo a pensare che per alcuni è difficile ammettere la magnificenza di altri per paura di svelare la propria inconsistenza. Non siamo abituati a scavalcare le code ai musei. Ma questa volta accade per via delle stampelle di Monica. È comunque un vantaggio, soprattutto quando evitiamo la lunga fila alla casa di Anne Frank. «A volte è comodo avere delle stampelle nel baule dell’auto!», esclama ridendo Vanessa. È un’esperienza emozionante, d’altri tempi, ma le ripide scale da percorrere sono una fatica indimenticabile per Monica. Non vuole rinunciare al Museo degli orrori. Entra in una bara posta in posizione verticale e finge di essere morta. Prima di ripartire, una fermata al Museo dei tulipani e del formaggio: uno arancione, ma non meno squisito del nostro. Un’ultima mangiata a un ristorante nelle vie del centro: costine con patatine e ketchup. Uno dei menù da lei preferiti. Nel frattempo dall’ospedale cercano di raggiungerci, senza successo.
Una sera, di rientro dal lavoro, sono in auto, verso casa. Ricevo una chiamata. È mia moglie: dobbiamo recarci a Zurigo, in un ospedale specializzato, per eseguire un prelievo dal femore. Sono sorpreso. Mi sembra esagerato. Le piccole fessure che avevano osservato e che avrebbero dovuto rimarginarsi in poco tempo destano maggiori preoccupazioni. La data dell’appuntamento ci viene comunicata tramite una busta che porta l’intestazione del reparto di oncologia pediatrica. Le lievi preoccupazioni si convertono in angoscia.
Lontano da casa tutto sembra più complicato. Il vecchio corridoio e la gentilezza di parte del personale medico non fa che aumentare la tensione. Forse sono soltanto mie suggestioni. Vedere un bambino con il capo rasato mi raggela; tuttavia, il papà, al telefono, pare lavorare con tranquillità. Monica scrive il suo nome sulla lavagna del corridoio: mi colpisce la vista e il cuore. Rimugino. Non toccherà mica a lei, ora, avere un tumore?! Quella sera nella casa dei genitori accanto all’edificio mi corico, non sapendo bene cosa pensare. Sono talmente stanco che alla fine mi addormento. Il giorno seguente Monica viene addormentata; le prelevano un campione osseo. Due settimane di attesa prima di sapere qualcosa. Un tempo lungo, alternato da pensieri e speranza. Poi il verdetto: osteosarcoma di alto grado! Una parola sconosciuta alla nostra famiglia. L’oncologo rassicura noi genitori dicendo che si può guarire. Quando ci lascia un attimo nel suo ufficio, appoggio la testa sul tavolo e scoppio in un lungo pianto. E la vita si capovolge.