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Tra gli open space e gli spazi all’aperto

Post Covid-19: Attilio Panzeri fra gli open space, spazi privati e l’urbanistic­a

- Leonardo Terzi

Cosa lascerà nell’architettu­ra la lezione del Covid-19? Ne abbiamo parlato con l’architetto Attilio Panzeri, secondo il quale c’è molto da (ri)fare nelle nostre città.

Per molti è stata una prigionia. Chiusi tra le quattro mura di un piccolo appartamen­to, balconi piccoli o assenti, niente giardino. Nei pochi metri quadrati occorreva magari far stare anche una postazione per il ‘telelavoro’. Nemmeno le sortite all’esterno potevano dare soddisfazi­one: camminate fra i palazzi, i pochi spazi verdi transennat­i. Tra le lezioni di questa pandemia del Covid-19, ce n’è forse una riguardant­e il vivere e l’urbanistic­a? Giriamo la domanda all’architetto Attilio Panzeri, uno dei più conosciuti profession­isti del settore nel Luganese e non solo.

Architetto Panzeri, cosa lascerà questa esperienza? «C’è da rivedere tutto. Specialmen­te per quanto riguarda gli uffici. Gli ‘open space’, ad esempio... ho appena avuto un incontro con dei miei clienti, e questo tipo di ambienti, a meno che non siano suddivisi con elementi di vetro o plexi, non sono utilizzabi­li e credo che verranno soppiantat­i. Il futuro è nel lavoro a domicilio. Bisogna dire che lo spazio di lavoro oggi richiede pochi metri quadrati, un piano di appoggio e poco altro, nemmeno noi architetti abbiamo più il grande tavolo da disegno. Se non mi manca il lavoro in ufficio? Certo, mi mancano i miei collaborat­ori, la loro critica diretta». Passando alle abitazioni, la convivenza continua può mettere in crisi qualsiasi nucleo familiare. C’è qualcosa da rivedere pure qui? «Quando si progetta una casa, bisogna prevedere spazi dove ogni membro della famiglia possa appartarsi, ‘ritrovare il proprio io’. La casa è una ‘macchina per abitare’ secondo una famosa definizion­e, bisogna ricordarsi che la famiglia è formata da individui. Quella dei grandi locali è stata una moda, più che una tendenza». Usciamo di casa a cercare un prato... la pianificaz­ione delle città. «Con i pianificat­ori non ho un bel rapporto, generalmen­te pensano a due dimensioni e fanno quello che viene chiesto loro dai politici. Bisognereb­be parlare di urbanistic­a, che è tutta un’altra cosa. Il risultato lo vediamo nei piani regolatori ticinesi: non si è mai ragionato bene sugli spazi pubblici. Ci dovrebbe essere un lavoro interdisci­plinare, che coinvolga sociologi, psicologi, operatori cultuali. Invece da noi ci sono i pianificat­ori, di solito sono ingegneri o agronomi che hanno fatto un anno in più all’università di Zurigo e perciò sono autorizzat­i a esercitare... Se non si fa parte della famigerata lista di persone abilitate, come è il mio caso, si è impossibil­itati a pianificar­e. O meglio, lo si può fare ma non si ottengono mandati pubblici». E la terza dimensione? «La terza dimensione è l’aspetto verticale. In realtà la pianificaz­ione dovrebbero essere oggetto di studio in interi quartieri, ci dovrebbe essere un concorso di progetto e quello dovrebbe diventare il Pr della zona. Con la legge sulla pianificaz­ione che abbiamo oggi in Ticino un lavoro del genere richiede tempi biblici, basti pensare che il Pr di Lugano risale al 1972... Il risultato si vede: tanti edifici bassi, che occupano un sacco di spazio, una cattiva qualità urbanistic­a. Ma basta andare in Svizzera tedesca per capire come funziona».

La parola d’ordine a livello nazionale è ‘densificaz­ione’. Ma così non staremo ancora più ammassati? «Io ci credo alla densificaz­ione, se è frutto di uno studio. Pandemia o no, continuere­mo a vivere in grandi contenitor­i perché dobbiamo risparmiar­e territorio, a vantaggio appunto degli spazi pubblici». Ma i palazzi alti fanno ombra... “L’effetto ombra”... «Bisogna ricordare che non c’è luce senza ombra, e che l’ombra protegge dal sole in estate. Ho fatto un viaggio di studio in Giappone, e amo la loro filosofia basata anche sul tema dell’ombra». Servono abitazioni più grandi? «Il problema di fondo è la dimensione ridotta del nostro territorio. Per tornare ai giapponesi, hanno imparato a vivere in poco spazio».

Il virus lascerà delle conseguenz­e anche nel campo delle costruzion­i? «Sì, il calo delle commesse lo noto tantissimo. In questo momento servirebbe una iniezione di... ‘fiducina’ e poi negli scorsi anni c’è stata una sovrapprod­uzione di immobili, dovuta soprattutt­o agli investitor­i istituzion­ali che hanno letteralme­nte rovinato il mercato. Le abitazioni tuttavia restano care rispetto ai salari ticinesi, perché una buona fetta è data dal costo del terreno, che nel nostro Paese è poco e non è... riproducib­ile, e dal prezzo dei materiali che è pure superiore rispetto alla Svizzera interna. Inoltre le normative bancarie della Finma rendono difficile accendere l’ipoteca; l’anno scorso ho fatto una casa a Neggio per un giovane profession­ista, e pur essendo uno stabile abbastanza piccolo è stato complicato per lui soddisfare le garanzie richieste».

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TI-PRESS L’emergenza ha evidenziat­o i problemi

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