laRegione

Dove sono gli invisibili

Parlo con Vera, viene dall’Est

- Di Massimo Daviddi

Mentre sul balcone prendo un caffè, una macchina entra nel posto riservato agli ospiti. Il cielo rinnova il suo azzurro e un parapendio scende dal Generoso. Il primo che vedo. Riconosco l’auto per il colore. Esce la signora Vera, che da un po’ di mesi si occupa della pulizia del condominio: una signora gentile, sorridente. Viene da un Paese dell’Est. Indossa la mascherina, portando qualche strumento di lavoro con sé. Abbiamo parlato della sua terra d’origine, degli studi universita­ri di economia e della scelta di partire per l’Italia. Nei minuti che passano tra la pulizia del primo e secondo piano le chiedo come si sente e se un lavoro così diverso dagli studi fatti non le crei un po’ di disagio. Vera – lo dice con serenità – è abbastanza contenta, nonostante tutto si è adattata e cerca di tirare fuori il meglio da questa situazione. Cura gli spazi che attraversi­amo su e giù dalle scale, fino ai corridoi semibui delle cantine e nella lavanderia, dove a giorni alterni si va per il bucato. Nei condomini esiste una curiosa geografia, gli appartamen­ti salgono con una spinta verticale, ambiziosa e quanto è nell’ingresso la rimette in gioco, quasi fosse una piazza dove si snodano vie, vicoli, strade senza uscita. La casa, le case, le persone che Vera incontra e vede, la conoscenza che si forma in rituali che pensiamo meno importanti di altri, anch’essi alla base della vita. Conta ricevere un sorriso, un saluto, misurarsi con la pazienza che il lavoro richiede se fatto bene; angoli, stipiti, pareti.

Vera è un piano inclinato, lo percorri senza accorgerti, ed è seguire la sua storia immaginand­o le radici, il Paese che ha lasciato. Nell’oscillazio­ne c’è tutta la follia liberatori­a che scegli senza pensare al dopo: ti vedo, vieni ogni settimana, sfiori porte chiuse, senti voci, ti interroghi. Cosa pensi di noi? Mi piace parlare con te anche per poco sapendo che siamo qui, nel corso della vita. Ruoli di vertice e secondari, persone invisibili, il foglio su cui indichiamo un centro riconoscib­ile. La carriera, il successo. Ma, con un salto d’immaginazi­one, sospendend­o le nostre paure, i timori, al di là di quel centro così potente si aprono luoghi sconosciut­i, persone che rivelano doti mirabili. Lei, parte dai dettagli, suggerisce come potrebbe migliorare l’aspetto della casa, ne esplora l’architettu­ra. Allora, accanto al dolore, alla lontananza dai nostri cari, la mappa della vita porta nuova luce. Dare volto a una persona, ricevere il suo sguardo, è tentare una riconcilia­zione con l’anima ferita che ci abita. Senza esitare parlo con Vera, non è tempo rubato a lei o a me, è la stella polare verso cui tentiamo di spingerci, ogni giorno. La signora delle pulizie, la badante, chi fa la notte per alleviare un ammalato, dimorano ai margini di quel foglio bianco dove il centro occupa grande spazio. Eppure, la pluralità dei volti presi nel loro generare cura mentre intorno si fa silenzio, è il luogo del possibile che sta dinanzi a noi. Se dovessi parlare di Vera, del suo compito, sarei senz’altro contento, ma la misura di questo va oltre la sola prestazion­e. Sta nei gesti, quando saluta sorridendo o chiede come stiamo, adesso. Sta nel fare, agire, un fare per cui troviamo parole che dicono, “è come se ti avessi già incontrato. Non dispongo di altre verità, sono qui con te. Cerco”. Mi capita di perdere il conto dei giorni, a volte li confondo. Arrivo a dire che questo mi dà un sottile piacere, il caos nel caos; a maggio il calendario presenta nuovi colori, qualche appunto scritto. Dalle finestre vedo più gente camminare, credo siano istanti luminosi. Nel disordine della casa alcuni oggetti restano fedeli al loro posto, salvano il possibile e devo a questi il fatto di mantenere le cose come sono.

Da diverse notti dormo nello studio, un remoto bisogno d’altrove; se sporgo in avanti la testa il primo libro sullo scaffale è ‘Furore’, di John Steinbeck, così penso all’odissea della famiglia Joad e alle nostre. Forse, Vera ha cambiato giorno perché non ho ancora visto la sua macchina. Intanto scendo giù, esco. Bisogna avere qualcuno accanto per passare le strade del mondo e capita di farlo con chi, improvvisa­mente, sentiamo parte di noi. “Sorelle, a voi non dispiace/ch’io segua anche stasera/la vostra via?”, scriveva Antonia Pozzi; una via che accarezza le tenebre e le scioglie.

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Dentro luoghi sconosciut­i, oltre le nostre paure, persone che rivelano doti mirabili

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