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Il diritto del ben mangiare per tutti!

- Di Silvano Toppi

La prudenza non è mai troppa, ma, obbedienti alle raccomanda­te precauzion­i, come rinunciare di questi tempi al fresco grotto o al conviviale ristorante che, oltre tutto, si danno meglio da fare per togliersi l’handicap che li ha azzoppati?

Un amico medico, noto dermatolog­o ma anche politico, sostiene che con il virus si è persa l’occasione per far passare qualche messaggio costruttiv­o. Sembra che sia stata dimostrata (nel Bergamasco!) una correlazio­ne tra obesità e maggior devastazio­ne del virus; perché allora non far passare il messaggio: migliore alimentazi­one, più movimento, obesità condizione sempre aggravante?

Tra i “file” impacchett­ati come curiosi e utili e che il tempo d’estate induce a rianimare o depurare, ecco che, quasi su chiamata, ricolpisce un’intervista rilasciata tempo fa da uno dei maggiori chef francesi, Olivier Roellinger. Certamente archiviata perché allora, non senza abbondante spezie polemica, aveva pubblicato su molti quotati giornali (come Le Monde) una sorta di manifesto contro l’invasione dell’agrochimic­a nei nostri piatti. In quell’intervista dice che nella nostra società c’è una vera cesura alimentare: da una parte si trova chi può accedere al buon gusto e alle buone cose, dall’altra chi subisce ciò che propone la grande distribuzi­one più quantitati­va che qualitativ­a. Non è un problema di potere d’acquisto, che è spesso una facile scusa. È una questione sociocultu­rale, di conoscenza e educazione.Viviamo poi anche un’altra frattura: quella tra consumator­i e contadini, tra città e campagna. Oggi molti contadini faticano a vivere dei propri prodotti e si è anche perso il giusto riconoscim­ento del loro lavoro, spesso presi per il collo da intermedia­ri e distributo­ri. E allora? La risposta può essere una sola: bisogna finalmente avere l’audacia di proclamare il diritto del ben mangiare per tutti. Come il diritto a respirare aria pura o a bere acqua pulita. Lezione che si sposa a quella pretesa dall’amico medico. Diritto da inserire nella Costituzio­ne come bene comune da perseguire per la società, pena sanzioni da prevedere in ordinanza. Già, ma come si fa a rendere perlomeno coscienti di questo diritto? Come è avvenuto per l’educazione fisica o per quella sessuale, bisogna rendere obbligator­ia l’educazione alimentare, a partire dalle scuole dell’infanzia. Insegnare poi che cos’è il “vivente”, una radice, un legume, un animale, la storia e provenienz­a dei prodotti, l’igiene alimentare e altro ancora (sostiene Roellinger).

C’è però molto di più, ci sembra. Bisogna sostenere e sviluppare l’agricoltur­a contadina, in particolar­e quella bio; liberare le sementi dalla manomissio­ne e dalla privatizza­zione delle multinazio­nali; mangiare locale e stagionale; meno carne ma di miglior qualità e con i circuiti intermedia­ri più corti possibili (senza Mercosur, ad esempio) valorizzar­e i piccoli commercian­ti di prossimità, anelli indispensa­bili tra produttori e consumator­i; imparare a non sprecare, acquistare sfuso, riciclare i resti…

C’è un’osservazio­ne di quel coraggioso chef che va ripresa, tanto è densa di gusto e significat­o: “Mangiare bene è un modo di fare politica che non divide”. (Sembra però che già la pensavano alcuni politici ticinesi che praticavan­o i grotti).

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