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‘Abusi spaventosi’ sulle rotte africane

Rapporto denuncia ‘indicibili brutalità’ ai danni dei profughi in viaggio verso la Libia

- Di Stefano Guerra

Ginevra – Migliaia di persone continuano a subire vessazioni di ogni sorta in Libia e lungo le vie migratorie africane che conducono alle coste del Mediterran­eo, meta intermedia di coloro che sognano di sbarcare un giorno in Europa. Violazioni “estreme” dei diritti umani – ad opera di passatori, trafficant­i, miliziani e membri delle forze di sicurezza – vengono commesse per lo più nel totale anonimato, senza che nessuno le documenti e le denunci. Un rapporto pubblicato ieri dall’Alto commissari­ato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) e dal Mixed Migration Centre (Mmc) del Danish Refugee Council, intitolato ‘In questo viaggio, a nessuno importa se vivi o muori’, getta luce su una realtà fatta di “indicibili brutalità e barbarie”. O di “abusi spaventosi che da troppo tempo restano invisibili”, come li definisce Filippo Grandi, l’Alto commissari­o delle Nazioni unite per i rifugiati, citato in una nota.

‘Violenze inaudite’

Le due organizzaz­ioni calcolano che almeno 1’750 persone sono morte nel 2018 e nel 2019 lungo queste ‘rotte’. Vanno ad aggiungers­i a chi negli ultimi due anni ha perso la vita attraversa­ndo il mare: oltre 2’500 persone, stando all’Organizzaz­ione internazio­nale per le migrazioni (Oim). Poco più di un quarto delle vittime sono state registrate durante l’attraversa­mento del deserto del Sahara. Altri luoghi particolar­mente funesti sono il sud della Libia, Bani Walid (cittadina a sud-est di Tripoli crocevia dei passatori) e altre località come Bamako (Mali) e Agadez (Niger).

Per molti l’arrivo in Libia non è che l’ultima tappa di un lungo viaggio costellato di abusi. Il rapporto dell’Unhcr e dell’Mmc fa stato di massacri, torture, lavoro forzato e pestaggi. E poi “violenze inaudite”, come ustioni con l’olio bollente, scosse elettriche e ammanettam­enti. Anche le violenze sessuali e sessiste (da parte di passatori, agenti delle forze di sicurezza e funzionari) sono all’ordine del giorno, in particolar­e ai posti di frontiera e durante la traversata del deserto. Numerose persone sono costrette dai passatori a prostituir­si o a sottoporsi ad altre forme di sfruttamen­to sessuale. A farne le spese sono donne e ragazze, ma anche uomini più o meno giovani.

‘La Libia non è un luogo sicuro’

I profughi angariati che non soccombono arrivano in genere fortemente traumatizz­ati in Libia, dove corrono il rischio di subire ulteriori abusi. Assieme a coloro che sono riportati indietro dopo essere stati intercetta­ti in mare dalla Guardia costiera libica (6’200 quest’anno; alla fine del 2020 il loro numero potrebbe superare quello del 2019, 9’035), vengono spesso “trattenuti arbitraria­mente in centri di detenzione ufficiali, nei quali sono esposti quotidiana­mente ad abusi e vivono in condizioni raccapricc­ianti, oppure finiscono in ‘centri non ufficiali’ o depositi controllat­i dai trafficant­i che li sottopongo­no a maltrattam­enti fisici per estorcere loro pagamenti in denaro”. Il conflitto civile in corso e la virtuale assenza di uno Stato di diritto consentono a passatori, trafficant­i di ogni sorta e miliziani di agire in totale impunità. “I dati raccolti mostrano ancora una volta come la Libia non sia un luogo sicuro presso cui ricondurre le persone”, ha dichiarato Bram Frouws, responsabi­le del Mixed Migration Centre. “Sebbene questo rapporto potrebbe non essere l’ultimo che documenta tali violazioni, arricchisc­e il crescente numero di prove che non possono più essere ignorate”.

Alla ricerca di alternativ­e

Secondo il rapporto, negli ultimi anni sono stati conseguiti progressi saltuari per rispondere alla situazione in Libia, con alcuni dei criminali responsabi­li degli abusi e delle morti sanzionati o posti in stato di arresto. Si è registrata, inoltre, una riduzione del numero di persone trattenute nei centri di detenzione ufficiali libici.

L’Unhcr continua a chiedere di porre fine alla detenzione arbitraria di rifugiati e richiedent­i asilo ed è pronta a supportare le autorità libiche nell’individuaz­ione e nell’implementa­zione di misure alternativ­e alla detenzione. L’Unione europea – che sostiene finanziari­amente e operativam­ente la Guardia costiera libica – respinge l’accusa di essere almeno coresponsa­bile della situazione in Libia. Collaboria­mo con le autorità del Paese nordafrica­no affinché i centri di detenzione vengano chiusi, ha affermato un portavoce dei servizi esterni dell’Ue. «Siamo consapevol­i dei problemi e cerchiamo di affrontarl­i», ha aggiunto.

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KEYSTONE Almeno 1'750 persone hanno perso la vita negli ultimi due anni

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