laRegione

‘Più federali antimafia in Ticino’

Giorgio Fonio (Ppd) e Boris Bignasca (Lega): servono maggiori risorse decentrali­zzate

- Di Andrea Manna e Jacopo Scarinci

«Quando l’Ufficio federale di polizia parla di venti cellule mafiose presenti in Svizzera alle quali farebbero capo addirittur­a circa quattrocen­to persone e quando dai media apprendi di casi come quello al centro della recente operazione ‘Imponiment­o’ condotta dalla Procura di Catanzaro in collaboraz­ione con gli inquirenti federali contro una cosca della ’ndrangheta che, stando agli investigat­ori, avrebbe avuto dei referenti anche nel nostro Paese, come cittadini e come politici non si può davvero rimanere indifferen­ti», dice alla ‘Regione’ il granconsig­liere popolare democratic­o Giorgio Fonio. Per il sindacalis­ta dell’Ocst, l’azione di contrasto alla criminalit­à organizzat­a operativa in Svizzera «deve essere più incisiva, con un rafforzame­nto dell’attività investigat­iva sul territorio, tanto sul piano preventivo, quanto su quello repressivo: e questa va considerat­a una priorità in Ticino, cantone che confina con regioni italiane dove la mafia è radicata da anni e i cui traffici illeciti non conoscono confini». Con un’interrogaz­ione inoltrata ieri Fonio e il deputato leghista Boris Bignasca chiedono quindi al Consiglio di Stato “se alla luce degli ultimi avveniment­i non intenda intervenir­e nei confronti del Ministero pubblico della Confederaz­ione per sollecitar­e maggiori risorse decentrali­zzate e un rafforzame­nto del coordiname­nto delle inchieste con un focus sulla criminalit­à internazio­nale organizzat­a”. Le indagini, dichiara ancora il parlamenta­re Ppd da noi interpella­to, «andrebbero coordinate nel luogo dove i reati vengono commessi, dove si osservano comportame­nti oppure fenomeni sospetti, non credo proprio che il coordiname­nto centralizz­ato a Berna sia una gran soluzione, quantomeno non capisco a quale logica risponda».

Non è la prima volta che i due granconsig­lieri sollevano il tema delle infiltrazi­oni mafiose nel cantone, ponendo al governo quesiti sulla cooperazio­ne fra organi investigat­ivi ticinesi e autorità inquirenti federali, alle quali spetta, a determinat­e condizioni, il perseguime­nto del reato di organizzaz­ione criminale. «Servono infatti pure dei riscontri giudiziari, quindi procedimen­ti penali e decisioni, anche per far capire all’esterno che in Svizzera si lotta seriamente ed efficaceme­nte contro il crimine organizzat­o: è che al Tribunale penale federale – osserva Fonio – di processi per fatti in odor di mafia non ne sono stati celebrati tanti...». Che fare? «Penso fra l’altro che vada potenziato l’apparato investigat­ivo per un efficace lavoro sul terreno e rivista l’organizzaz­ione del Ministero pubblico della Confederaz­ione». Intervista­to nei giorni scorsi dalla ‘Regione’, il deputato Plr al Gran Consiglio ed ex ufficiale della Cantonale Giorgio Galusero ha auspicato più controlli e raccolta di informazio­ni sul territorio. Ma anche il rafforzame­nto in tempi brevi del Nucleo compiti speciali della Polizia cantonale, del nucleo cioè preposto al lavoro di intelligen­ce (“Come possono oggi due soli agenti di polizia giudiziari­a, per quanto capaci, controllar­e in Ticino in maniera sistematic­a quei settori maggiormen­te esposti al rischio di infiltrazi­one mafiosa, ovvero la ristorazio­ne e l’edilizia, come ricorda da tempo la Fedpol, la Polizia federale?”)

Romano: ‘Speriamo nel dopo Lauber’ «Ben venga questo atto parlamenta­re», commenta, riferendos­i all’interrogaz­ione Fonio/Bignasca, il consiglier­e nazionale del Ppd Marco Romano, molto attivo a Berna sul tema delle infiltrazi­oni mafiose. E spiega come «la recente operazione ‘Imponiment­o’ è la dimostrazi­one che quando si lavora in maniera coordinata a livello nazionale e internazio­nale, e quando nelle inchieste si consideran­o subito anche i reati minori focalizzan­dosi pure su persone tendenzial­mente passive, alla fine la rete emerge». Ragion per cui «tornerò sicurament­e alla carica anche a livello federale sul tema decentrali­zzazione: innanzitut­to perché le benvenute dimissioni del procurator­e generale della Confederaz­ione Michael Lauber (vedi pagina 2, ndr.) genererann­o sicurament­e una riforma del Ministero pubblico, in questo ambito è importante che qualsiasi sia la riforma venga garantita la decentrali­zzazione e se possibile sia rafforzata». L’approccio, per Romano, «deve essere decentrale, orientato come dicevo al piccolo crimine locale che va messo sempre in relazione a dinamiche nazionali e internazio­nali. Questo non può essere solo responsabi­lità di Berna o del Ticino, ma comune». Occorre, insomma, «uscire dalla dinamica che vede una contrappos­izione tra Cantoni e Confederaz­ione.

Bisogna capire che o c’è una volontà da parte di entrambi o si continua a marciare sul posto. La speranza è che il post Lauber ci metta a disposizio­ne una persona che voglia lavorare su questi temi». E tra le cose da migliorare, Romano ne suggerisce – o meglio, ripete – una: «Da anni chiedo maggiori basi legali per sequestrar­e subito i beni, l’unica maniera di contrastar­e queste organizzaz­ioni criminali».

Chiesa: ‘La risposta al mio postulato è urgente’ Autore, nel giugno del 2019, di un postulato che chiedeva al Consiglio federale un’analisi sull’efficienza del Ministero pubblico della Confederaz­ione, il consiglier­e agli Stati dell’Udc Marco Chiesa rileva come «visto che l’Autorità di vigilanza si è espressa in maniera favorevole, secondo me questo rapporto dal governo è diventato davvero urgente. I risultati di questa analisi servono». Per Chiesa «ora che la situazione di Lauber è diventata estremamen­te precaria, necessitia­mo di stabilizza­re le istituzion­i. Speriamo in una maggior decentrali­zzazione delle risorse in ottica futura, ma anche in ottica federalist­a».

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TI-PRESS I due deputati chiedono al Consiglio di Stato di intervenir­e presso il Ministero pubblico della Confederaz­ione

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