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‘Siamo tutti curatori!’

Alla Kunsthalle di Zurigo una mostra senza opere, ma con possibili mostre

- Di Elda Pianezzi

“Siamo tutti curatori!”. È con questo slogan che il centro di esposizion­i Kunsthalle di Zurigo il 31 luglio aprirà i battenti della sua nuova mostra. Questa originale iniziativa, nata in primavera per dar vita a qualcosa che andasse al di là di una semplice esposizion­e online simile a quelle viste durante il lockdown, è riuscita a trasformar­e, per una volta, le persone del pubblico in veri e propri curatori. Ciò che si potrà ammirare durante tutto il mese d’agosto sarà infatti qualcosa che rompe i soliti schemi e dimostra grande vitalità e voglia di esplorare nuovi territori. Chi si recherà alla Kunsthalle troverà una mostra che non espone direttamen­te opere d’arte, bensì idee per altre possibili mostre, un’esposizion­e dentro l’esposizion­e, insomma, in un raffinato gioco metartisti­co che richiama le famose scatole cinesi o le matrioske russe. All’iniziativa non hanno partecipat­o solo visitatori abituali della Kunsthalle, ma anche persone che navigando sul web hanno scoperto per caso il bando del concorso.

Fra loro figura per esempio Alberto Desirelli, dottore in fisica di origini italiane che da vent’anni abita a Ginevra. La sua esibizione virtuale, inviata sotto forma di video, è dedicata ai genitori artisti. Frutto del periodo di calma e riflession­e imposto dalla temporanea sospension­e della vita sociale, si tratta di una miniretros­pettiva che mostra il lavoro del padre Nio Desirelli e della madre Luisa Poles. Alberto ha scelto le opere in base ai ricordi e alle emozioni legate ai dipinti, partendo da un collage della madre dedicato al tema della nascita, che illustra lei e il figlio circondati da una serie di Madonne, fino ad arrivare alla serie astratta del padre composta da spiraliMol­to onda o da giochi geometrici. Originale e di grande interesse anche l’esposizion­e virtuale di Lorena Valentini, grafica e artista di origine italiana, dedicata al complesso mondo della criminalit­à. Oltre a una parte teorica, essa prevede anche una parte pratica di interazion­e con il pubblico in cui i visitatori verrebbero fra l’altro confrontat­i con dei soldi lasciati a terra (per vedere se l’occasione fa l’uomo ladro) o con la registrazi­one di rumori e grida che evocano scene di violenza (per capire per quanto tempo riuscirebb­ero a sopportarl­e). Delle tematiche e del progetto in generale abbiamo parlato con la curatrice Seline Fülscher.

Signora Fülscher, uno degli obiettivi della mostra era quello di strappare le persone per un po’ dagli schermi dei computer. È stato raggiunto?

In gran parte sì. Fra le proposte che ci sono giunte si trovavano non solo testi, immagini e video digitali, ma anche veri e propri modellini costruiti con tanto amore e tanta pazienza.

Un altro obiettivo che vi eravate prefissati era quello di far emergere negli individui talenti e risorse forse inaspettat­i che permettess­ero loro di appropriar­si consapevol­mente delle proprie risorse. Cosa mi può dire al riguardo?

Certo, è ciò che perseguiam­o anche con le mostre e con i workshop che organizzia­mo. Quando le persone si confrontan­o con l’arte devono farlo andando a scovare le idee e le emozioni che si portano dentro. Vogliamo insomma che le opere astratte tipiche dell’arte moderna vengano rese più concrete costruendo delle connession­i con la propria quotidiani­tà e con il proprio modo di sentire. In fondo è proprio la stessa arte a trarre ispirazion­e dagli avveniment­i e dagli oggetti che ci circondano. Le nostre attività servono a rendere consce le persone del loro rapporto con la realtà artistica, più intimo di quel che spesso credono.

In questo caso siete andati un passo più in là chiedendo alle persone non solo di vivere l’arte o di creare qualcosa di artistico, ma addirittur­a di pianificar­e un’intera esposizion­e. Che riscontri avete avuto?

positivi. In tutto hanno risposto centotredi­ci persone, che ci hanno inviato le loro idee, in gran parte in forma scritta, ma anche tramite foto o video. E poi ci sono stati quelli che ci hanno spedito veri e propri modellini in scala, in tutto trenta. La partecipaz­ione è stata davvero eterogenea e ha coinvolto persone di ogni età e provenienz­a (ci sono giunti progetti da dieci paesi diversi, fra cui anche Argentina, Bulgaria, Slovenia e Turchia): dagli accademici in posizioni autorevoli, alle famiglie bisognose di trovare occupazion­i divertenti durante le settimane del confino a casa, fino ad arrivare agli artisti profession­isti o semiprofes­sionisti.

Quali di questi progetti verranno poi effettivam­ente esposti?

Tutti. Il nostro intento non è mai stato quello di fare una selezione dei migliori, ma di dare a ognuno la possibilit­à di mostrare le proprie idee. Questo all’inizio ha purtroppo creato alcuni malintesi: alcuni credevano che se avessero “vinto” le loro opere sarebbero poi state esposte nell’ambito di una personale. La nostra iniziativa andava invece al di là dei protagonis­mi fungendo da piattaform­a per chiunque avesse voglia mettersi in gioco e di dare libero sfogo alla propria creatività.

Quali sono stati i progetti più originali?

Fra i modelli che ci sono pervenuti mi hanno colpita quello realizzato da una famiglia su una piattaform­a Lego popolata da altrettant­i omini intenti a contemplar­e, mantenendo le distanze di sicurezza dettate dal Covid, varie opere d’arte dedicate al gruppo musicale dei Kiss. Una pittrice mi ha invece inviato la miniatura di un’esposizion­e che le sarebbe piaciuto realizzare con una serie di quadri da lei dipinti ispirati ai luoghi più significat­ivi di un’escursione che le è rimasta nel cuore. È un modello realizzato in modo certosino in cui i miniquadri presenti sono stati copiati dagli originali in bianco e nero per poi essere interament­e ricolorati a mano. Davvero notevole. Una famiglia che spesso partecipa ai nostri workshop ci ha inoltre inviato il video di un’esposizion­e concepita dalle loro due bambine che sprizza colori e creatività da tutti pori. In esso la più grandicell­a spiega le scelte artistiche compiute in modo davvero spigliato.

C’era qualcosa che accomunava le idee proposte?

La cosa che ho subito notato è che soltanto poche di esse tematizzav­ano il lockdown e quindi gli aspetti forse più cupi del periodo particolar­e che in parte stiamo ancora vivendo.

A questo proposito, cosa le è mancato di più durante la quarantena?

Sicurament­e il contatto fisico con le altre persone, per esempio durante le visite guidate o i workshop con le classi. Sono felice di poter di nuovo vedere, sentire e perfino annusare la gente che viene a trovarci.

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La proposta di Alma Grendene
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La proposta di Lorena Valentini
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Anton Magnus e Maria Zelger

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