Tre racconti del Lockdown
Letture consigliate, e non consigliate, per chi cerca di dare un senso alla pandemia
Le librerie si stanno popolando di libri legati alla pandemia; evidentemente, quando si tratta di trovare, o dare, un senso ai caotici eventi che ci hanno travolto, i libri rimangono oggetti privilegiati. Una ricerca di senso che non riguarda solo il nuovo coronavirus e le malattie trasmissibili in generale, anzi: a guardare quanto arrivato in libreria negli ultimi mesi, il tema più che il virus è l’umanità. Così, a fianco di saggi vecchi e nuovi a tema scientifico – qui vogliamo ricordare ‘Le grandi epidemie’ dell’ottima Barbara Gallavotti (Donzelli 2019), oltre allo scontato ‘Spillover’ di Quammen (Adelphi 2017) e ai libri dei “virologi mediatici” come Guido Silvestri e Roberto Burioni – troviamo riflessioni sul Lockdown e su quelle che potremmo definire le sue conseguenze esistenziali.
Restando alla Svizzera italiana, troviamo tre recenti pubblicazioni che si distinguono per approccio e stile: Carlo Silini, ‘Dizionario minimo del coronavirus’ (ebook gratuito di Gabriele Capelli); Andrea Bertagni, ‘Covid Reporter’ (Ulivo) e Gianluca Grossi, ‘Lockdown’ (Fontana). A questi vanno aggiunti ‘Pandemia - Covid 19’ di Marco Bazzi e Andrea Leoni, in uscita per Dadò, e l’interessante ‘In occasione della pandemia’ dello scrittore Francesco M. Cataluccio, pubblicato a maggio da Casagrande (vedi intervista all’autore pubblicata sul ‘laRegione’ del 28 maggio scorso).
Iniziamo dal ‘Dizionario minimo del coronavirus’ che raccoglie, a mo’ di dizionario, i contributi che il giornalista ha scritto per una rubrica del ‘Corriere del Ticino’. Testi che potevano funzionare nell’immediatezza di un quotidiano, ma che letti settimane o mesi dopo in un libro perdono senso e lasciano quella fastidiosa impressione di avere sotto gli occhi qualcosa di semplicemente superfluo. Più interessante l’operazione di Bertagni: non una semplice riproposizione o rielaborazione del suo lavoro giornalistico – questa volta per ‘IlCaffè’ –, ma piuttosto il racconto di quello che in un reportage non può trovare spazio. “Qui, sono io. Non il cronista” scrive Bertagni nell’introduzione, prima di ripercorrere con la penna dello scrittore i primi timori, quando il coronavirus ancora non era arrivato in Ticino, poi il confinamento, i reparti di cure intense, la solidarietà dei volontari. Una lettura interessante, dalla quale emerge il lato umano della pandemia, per quanto a volte si ecceda – ma è comprensibile – con la retorica. Il limite di ‘Covid Reporter’, piuttosto, è che si ferma al ricordo delle settimane del Lockdown, senza fornire chiavi per leggere e dare un senso a quel periodo strano e intenso.
La strana guerra di Gianluca Grossi Arriviamo così al libro di Gianluca Grossi. Quello, lo confesso, che ho letto con maggior timore: perché conosco Gianluca, conosco e stimo enormemente il suo lavoro, ma al contempo temevo che il suo occhio di fotoreporter di guerra fosse il meno adatto a raccontare la pandemia in Ticino. Non certo per le ottime fotografie dell’autore e di Resy Canonica che marcano il percorso del libro, ma perché sono convinto che quella della guerra – termine che campeggia oltretutto in copertina – sia una cattiva metafora per raccontare e pensare quel che è accaduto e continua ad accadere. Perché – riassumendo in poche righe un dibattito ben più ampio – certo pensare a un conflitto armato contro un nemico esterno può aiutare in termini di mobilitazione e solidarietà, ma il coronavirus non è l’esercito di uno Stato ostile, chi diventa contagioso non è un agente del nemico, negli ospedali non si combattono battaglie ma si curano le persone e così via.
Quella bellica è una cattiva metafora perché evidenzia gli aspetti sbagliati della pandemia e ci prepara alle reazioni sbagliate; ma Gianluca Grossi conosce i due estremi della metafora, sa cosa è la guerra e sa cosa è la pandemia perché le ha osservate, e fotografate, entrambe. Si rende conto di quello che la metafora della guerra nasconde – e che con le sue immagini riporta alla luce, evitando le “scene di morte, distruzione e sofferenza” – e di quello che può mostrare: la condizione umana. “La guerra ci rende trasparenti – scrive Gianluca Grossi in una delle prime riflessioni che sostengono il libro –. In guerra è possibile guardare dentro gli altri e a noi stessi”.
Durante l’emergenza Covid-19, si legge più avanti, “abbiamo toccato la nostra fragilità, l’abbiamo osservata, come un bel vaso messo su un tavolo del salotto”. E iniziamo a intravedere un senso, un possibile senso in questa pandemia.