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Zurigo, le ‘sue’ colonie, i ‘suoi’ schiavi

Una mostra e uno studio per ripensare il ruolo della Svizzera ai tempi del colonialis­mo

- Di Elda Pianezzi

C’è una villa a Zurigo avvolta in un’atmosfera esotica e giocosa. Chi passeggia nel suo giardino oltre ai classici viali fioriti trova una conchiglia gigante provenient­e dall’Oceano Indiano e una rigogliosa pianta di tabacco. Decorata in stile gotico, rinascimen­tale e rococò, la villa è un capolavoro dello storicismo e all’ultimo piano vanta una pagoda in stile cinese con tanto di cupola in vetro colorato sulla quale danzano draghi portafortu­na. Questo gioiello, annoverato tra le più importanti dimore zurighesi di fine Ottocento, si chiama Patumbah, venne costruito tra il 1883 e il 1885 e non appartenne a un principe orientale, bensì a Carl Fürchtegot­t Grob, uno zurighese figlio di panettieri che, grazie al tabacco di Sumatra, rientrò in patria ricco come un nababbo. Sede di Patrimonio svizzero dal 2013, la villa attualment­e ospita fino alla fine di maggio 2021 la mostra ‘Patumbah è a Sumatra’, dedicata alla storia di Grob e del colonialis­mo olandese e svizzero in Indonesia.

Aggirandos­i per le stanze della casa e scendendo in cantina, il luogo di allestimen­to dell’esposizion­e, i visitatori scoprono che la Svizzera, nonostante non abbia mai posseduto colonie proprie, è stata fortemente implicata nella storia del colonialis­mo europeo. Come spiega una tavola realizzata in collaboraz­ione con lo storico Andreas Zangger, il nostro è uno dei Paesi più globalizza­ti al mondo e la tradiziona­le immagine di isola solitaria nel cuore dell’Europa ha ben poco a che vedere con la realtà. Da quando gli Sstati europei cominciaro­no a inseguire i loro progetti imperialis­tici nel 15° secolo, vi fu sempre un coinvolgim­ento da parte degli svizzeri che, organizzat­i in società o in qualità di imprendito­ri privati, non solo contribuir­ono a dare forma al colonialis­mo, ma approfitta­rono delle sue strutture e gerarchie per far circolare materie prime, conoscenze, servizi, capitale e forze lavorative. L’esposizion­e – che fra le varie curiosità oltre alle tante fotografie comprende anche un filmato d’archivio girato dai colonialis­ti olandesi e le pagine del diario di Lina Tritschler, moglie di un amministra­tore impiegato presso la Grob & Näher – è suddivisa in quattro spazi tematici distinti che fanno luce sulla storia di Grob e della sua attività commercial­e, sull’impero coloniale olandese, sull’impatto che esso ha avuto e ancora ha sull’isola di Sumatra e sulla presenza svizzera in questa regione del mondo. Quattro aspetti diversi, ma saldamente intrecciat­i fra loro e di grande interesse. Villa Patumbah, termine che in malese antico significa “casa aperta” o “luogo per tutto”, fu chiamata così in onore dell’omonima piantagion­e che Grob insieme al socio Näher fondò nel 1871 affittando la terra nella regione di Patumbak dal sultano di Serdang. La piantagion­e nacque dunque nel momento giusto: a due anni dall’apertura del Canale di Suez, dopo cioè che l’impero olandese in Indonesia era diventato molto più facilmente raggiungib­ile dall’Europa. Benché formalment­e le concession­i terriere fossero aperte solo ai cittadini olandesi, a est dell’isola le leggi non venivano applicate severament­e e altri europei – fra cui diversi svizzeri – si stabiliron­o coltivando tabacco e in seguito anche caffè, caucciù, olio di palma e tè. Come gli altri possidenti, anche Grob e Näher sostennero il potere coloniale olandese adottando un sistema di lavoro a contratto basato sullo sfruttamen­to e sulla servitù debitoria. Nel giro di una decina di anni i due soci arrivarono a possedere ben sei piantagion­i che occupavano 4’000 lavoratori e che figuravano tra le più importanti a Sumatra. In esse i compiti erano rigidament­e suddivisi: ai cosiddetti coolie provenient­i da Cina e Giava venivano affidate coltivazio­ne e lavorazion­e, a indiani e afgani la sicurezza, ai tamil la costruzion­e delle strade, mentre ai malesi e ai batak, la popolazion­e indigena, toccava l’abbattimen­to delle foreste. Per i coolie le condizioni di lavoro erano disumane e rasentavan­o la schiavitù; le sommosse e i tentativi di ribellione erano pertanto frequenti e con la stessa frequenza finivano in bagni di sangue. Secondo la giornalist­a Dyna Rochmyanin­gsih, presente alla mostra tramite una testimonia­nza audio, questa divisione sociale – sfruttata dai colonialis­ti per impedire ai vari gruppi di allearsi tra loro – è ancora parte integrante della vita a Sumatra. Esattament­e come lo è il processo di distruzion­e delle foreste, che oggigiorno l’Europa rinfaccia all’Indonesia, dimentican­do che il disboscame­nto fu iniziato dagli stessi europei a fine Ottocento. Rochmyanin­gsih sottolinea comunque che molti abitanti dell’isola non vedono nulla di negativo nella soppressio­ne delle foreste dal momento che le piantagion­i costituisc­ono la loro fonte di reddito più importante.

Di questa problemati­ca ha parlato anche Irena Wettstein, codirettri­ce della Fondazione PanEco, durante una serata informativ­a svoltasi a fine settembre nell’ambito dell’esposizion­e di villa Patumbah: se un tempo Sumatra era il regno del tabacco, negli ultimi trent’anni è stata la palma da olio a registrare una crescita esponenzia­le, mettendo in pericolo la popolazion­e di oranghi autoctoni che stanno così perdendo il loro habitat naturale. PanEco accoglie gli oranghi feriti, dispersi o rimasti orfani dando loro una casa e provvedend­o in seguito al futuro reinserime­nto nella foresta. Lo scopo della fondazione è quello di mantenere intatta la natura e assicurare così la continuazi­one della specie. Per farlo è attiva sia a Sumatra, dove controlla che le grandi corporazio­ni non si approprino illegalmen­te dei terreni, che in Svizzera, dove svolge un lavoro di sensibiliz­zazione riguardo all’olio di palma, incoraggia­ndo l’uso di grassi tradiziona­li quali il burro. Le piantagion­i che vennero istituite alle fine del XIX secolo nel nord-est di Sumatra e che permisero a Grob, al suo socio e a tanti altri colonialis­ti di arricchirs­i continuano ad avere un grande impatto sulla vita nell’isola: insieme ad altri territori indonesian­i, Sumatra detiene oggigiorno la leadership nell’esportazio­ne di olio di palma.

Come è emerso da un rapporto commission­ato dalla città di Zurigo e stilato da Marcel Brengard, Frank Schubert e Lukas Zürcher, storici presso la cattedra universita­ria di Storia moderna della professore­ssa Gesine Krüger, Grob non fu un caso unico: a partire dal 1600 molti zurighesi si trasferiro­no nelle colonie d’oltreocean­o come commercian­ti, studiosi, mercenari e uomini di chiesa. Tra il 1638 e il 1794 furono 900 gli zurighesi coinvolti nella sottomissi­one, nella colonizzaz­ione e nell’amministra­zione di territori in Africa e Asia. Come altre città svizzere, Zurigo partecipò inoltre al finanziame­nto della tratta transatlan­tica degli schiavi. Nel 18° secolo la città acquistò azioni della South Sea Company, una società inglese che durante il coinvolgim­ento finanziari­o di Zurigo deportò 8’636 africani in America e spedì 27’858 schiavi da isole britannich­e come la Giamaica e le Barbados verso il territorio coloniale spagnolo. Zurigo investì nell’economia degli schiavi anche attraverso la banca semiprivat­a Leu e acquistand­o titoli di Stato danesi che servirono a finanziare la schiavitù nelle Antille danesi. Non bisogna poi dimenticar­e che nel 19° secolo l’industria zurighese del cotone si rifornì di materie prime provenient­i principalm­ente dalle piantagion­i di schiavi nel sud degli Stati Uniti. Non solo: fu questa stessa industria a produrre le famose stoffe “indiane” che venivano usate come merce di scambio per l’acquisto di schiavi in Africa. Il settore tessile diede in seguito vita a imprese industrial­i e commercial­i che si svilupparo­no fino a diventare aziende leader e a contribuir­e in modo significat­ivo al benessere della Svizzera, come avvenne per esempio nel caso della famosa Escher Wyss & Cie. Fra le famiglie zurighesi più illustri coinvolte nella tratta degli schiavi figura proprio quella degli Escher. Se Alfred Escher – politico, capitano d’industria e fondatore di istituzion­i importanti quali il Crédit Suisse e la Ferrovia del Gottardo – non commerciò direttamen­te con la schiavitù, lo fecero altri membri della famiglia: il nonno banchiere Hans Caspar Escher, che investì in più di una nave schiavista, il padre Heinrich Escher-Zollikofer, che trafficò in beni coloniali negli Stati Uniti e acquistò una piantagion­e di caffè a Cuba con 80 schiavi, e lo zio Friedrich Ludwig Escher, che gestì la suddetta piantagion­e per 25 anni. Dopo la morte dello zio, Alfred aiutò comunque il padre a vendere la piantagion­e e in seguito a difenderlo, difendendo al contempo anche sé stesso, dall’accusa di schiavismo.

Grob fece ritorno da Sumatra in pompa magna nel 1879, si sposò due anni dopo ed ebbe due figlie. Nel quartiere di Riesbach, dove fece costruire villa Patumbah, non era però il solo in quel periodo a godere di una fortuna accumulata nelle colonie: accanto a lui vivevano, in due ville diverse, i fratelli Carl Alphons Meyer e Fritz Meyer-Fierz, anch’essi attivi come coltivator­i di tabacco a Sumatra, che sull’isola persero un fratello ucciso durante una ribellione, e Rudolf Hagmann, coltivator­e di caffè in Guatemala. Il legame tra Zurigo e Sumatra è testimonia­to anche dalla presenza, nel quartiere di Unterstras­s, della Sumatrastr­asse, una via dedicata alla villa che il colonialis­ta e coltivator­e di tabacco Karl Krüsi, di origine appenzelle­se, fece costruire proprio come Grob dopo il suo ritorno da Sumatra e che venne demolita negli anni Settanta.

Il passato coloniale di Zurigo vive ancora nel negozio della famiglia Schwarzenb­ach situato nella Niederdorf, che sull’insegna porta la dicitura “coloniali” e al suo interno è rimasto immutato dal 1912, anno della sua apertura. Se gli zurighesi e gli svizzeri all’epoca potevano permetters­i prodotti di lusso come il cioccolato, il caffè, il tè, il tabacco e altro ancora, era grazie alla presenza delle colonie, che sfruttavan­o la manodopera locale all’interno di un sistema che purtroppo è ancora attivo in molte parti del mondo, basti pensare al moderno settore dell’abbigliame­nto.

La felicità acquisita da Carl Fürchtegot­t Grob con la sua avventura colonialis­ta fu di breve durata: Grob morì già nel 1893 in seguito a una malattia tropicale; nel 1911 la moglie e le figlie, che non si sposarono mai, donarono la villa alla diaconia del Neumünster di Zurigo che la trasformò in una casa per anziani. La figlia maggiore Margrit morì a 43 anni e la figlia minore Anna Carolina a 47 anni ospite della stessa villa ormai trasformat­a in ospizio. La ricchezza accumulata sul lavoro e sulle sofferenze altrui portò dunque sfortuna all’intera famiglia.

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COLLECTION NATIONAAL MUSEUM VAN WERELDCULT­UREN Lo zurighese Carl Grob (a destra), figlio di panettieri arricchito­si grazie al tabacco di Sumatra
 ?? MATHIAS ARNOLD ?? Villa Patumbah a Zurigo
MATHIAS ARNOLD Villa Patumbah a Zurigo
 ?? NOAH STEINER ?? L’esposizion­e a Villa Patumbah
NOAH STEINER L’esposizion­e a Villa Patumbah

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