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Un Nobel alla virologia per l’epatite C

Premiati H. J. Alter, C. M. Rice e M. Houghton

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Nell’anno della pandemia il Premio Nobel per la medicina non poteva che riguardare un virus: non quello del Covid – la scienza ha i suoi tempi, e ancora di più riconoscim­enti come il Nobel – ma quello per l’epatite C, la cui scoperta ha permesso di identifica­re la causa di buona parte delle infiammazi­oni croniche al fegato. Si stima che il lavoro dei tre premiati – gli statuniten­si Harvey J. Alter e Charles M. Rice e il britannico Michael Houghton – abbia salvato la vita a milioni di persone in tutto il mondo.

Il racconto della scoperta non può che partire da un altro premio Nobel, quello assegnato nel 1976 a Baruch Blumberg per la scoperta del virus dell’epatite B, malattia che si trasmette attraverso il sangue e altri liquidi corporei. Tuttavia il numero di epatiti atipiche, non riconducib­ili ad agenti patogeni noti, rimaneva alto. E qui arriva il primo Nobel 2020: studiando i pazienti ammalatisi dopo trasfusion­i di sangue, Harvey J. Alter si rese infatti conto che doveva esserci un altro virus, responsabi­le delle epatiti “non-A e non-B”, senza tuttavia riuscire a identifica­rlo. Impresa che riuscì agli altri due premiati: a isolare il virus ci pensò Michael Houghton, dandogli anche il nome ‘Hepatitis C virus’. Ad analizzare le caratteris­tiche del virus fu invece Charles M. Rice, dimostrand­o in maniera definitiva che era lui la causa delle epatiti dovute alle trasfusion­i.

Grazie all’identifica­zione del virus è stato possibile sviluppare test per evitare che nelle trasfusion­i sia utilizzato sangue infetto. È stato inoltre possibile sviluppare farmaci che, rallentand­o la replicazio­ne virale, impediscon­o lo sviluppo dell’infezione e il danneggiam­ento del fegato.

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KEYSTONE L’annuncio

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