L’incerta necropoli di Arkadi Zaides
Una coreografia senza danza, un corpo ammutolito di fronte al massacro più grande del quale siamo spettatori da troppi anni. Questo è ‘Necropolis’, lavoro di ricerca di Arkadi Zaides, presentato al Lac come anteprima domenica sera all’interno della programmazione del Fit, il Festival internazionale del teatro e della scena contemporanea.
La tragedia di cui stiamo parlando è quella di rifugiati e migranti nel Mediterraneo, di quel numero infinito di morti sparsi in tutta Europa nel tentativo di trovare una nuova patria. ‘Necropolis’, la città dei morti, la racconta attraverso un elenco di decessi reso noto da United for Intercultural Action, una rete di centinaia di organizzazioni antirazziste di tutta Europa. Un immenso sito commemorativo virtuale costituisce questa necropoli globale, città invisibile che si estende in tutte le direzioni attraverso lo spazio e il tempo. Lo spettatore si trova di fronte a una gigantesca schermata di Google Earth, sulla quale navigherà guidato da Arkadi stesso – che nei suoi lavori si è sempre dedicato a problematiche sociali e politiche. Due terzi dello spettacolo si viaggia quindi virtualmente per i luoghi di sepoltura (dal Lac a Lampedusa, passando per Belgio e Spagna). L’umanità di queste vite spezzate ancora una volta non viene rispettata: veniamo a conoscenza solo di dati anagrafici e del motivo della morte. Ogni tomba è filmata da un ricercatore, in un cammino che insieme a lui percorriamo sentendo i passi sulla ghiaia, il vento, gli uccelli. Poi sul palco inizia l’azione. Da un carrello vengono deposti su un tavolo anatomico resti umani – si tratta di sculture, ma nel loro simbolismo sono estremamente realistiche – che andranno a comporre un corpo in decomposizione. A rappresentare quegli stessi arti che per anni vengono pescati dal mare e ai quali si fatica a dare un proprietario. Sarà questo il corpo che Zaides alla fine muoverà virtualmente per immagini sul grande schermo. Siamo di fronte a qualcosa simile a quel teatro documento che nasce con Peter Weiss e che conosciamo con Milo Rau, ma ‘Necropolis’ necessita forse di ulteriore sviluppo perché se si tratta di una denuncia giusta, fatica però a trovare una resa artistica. Una difficoltà ammessa dallo stesso coreografo che ha sempre centralizzato nell’uso e nella ricerca del corpo il dibattito critico, e che qui, appunto, rimane paralizzato e sostituito dal movimento virtuale.