laRegione

Contro lo scandalo della fame

- Di Aldo Sofia

Ha sempre avuto una esplicita connotazio­ne politica il Nobel per la pace. E spesso, quel premio è stato motivo di polemiche. Fu così con quello attribuito nel 2009 a Barack Obama, a pochi mesi dalla sua entrata alla Casa Bianca. In realtà, quell’assegnazio­ne voleva sottolinea­re l’eccezional­ità storica del primo nero presidente americano, e dell’illusione, com’è oggi sotto gli occhi di tutti, che quell’evento potesse ricucire le profonde ferite del razzismo negli Stati Uniti. Ora, undici anni dopo, oltre alla segnalazio­ne di una giustissim­a causa, c’è anche una piccola ma evidente dose di malizia nel Nobel per la pace 2020 attribuito al World Food Programme e alla sua lotta contro la fame nel mondo. Gli Stati Uniti (con oltre il 40 per cento, su otto miliardi di bilancio) sono i principali finanziato­ri dell’Agenzia Onu; il suo direttore è l’americano David Beasley; ex governator­e repubblica­no della South Carolina, dichiarato sostenitor­e di quel Donald Trump che ha spesso attaccato le Nazioni Unite (sede dell’odiato multilater­alismo), e minacciato di ridurre i finanziame­nti americani. Un bel gioco d’anticipo da parte del comitato norvegese e il riconoscim­ento di un’organizzaz­ione di cui va riconosciu­ta l’assoluta necessità: 15 miliardi di razioni alimentari distribuit­e in 83 Paesi, a beneficio di 87 milioni di persone. Per il 2020, l’organizzaz­ione mondiale “Oxfam” lancia l’ennesimo allarme: dodicimila morti per fame ogni mese; 126 milioni affetti permanente­mente da fame acuta; e 690 milioni che vivono sull’orlo della denutrizio­ne (trecento in meno rispetto a trent’anni fa, nonostante la popolazion­e mondiale sia aumentata di due miliardi).

Cifre eloquenti. Di cui si parla pochissimo. E che lasciano indifferen­ti (spesso perché disinforma­ti) quelli nati nella “parte giusta” del pianeta. Il diritto al cibo è il primo dei diritti umani, e la fame non è affatto inevitabil­e. È il risultato di politiche agricole spesso ancora sbagliate, di piccoli proprietar­i di terreni espropriat­i per soddisfare le multinazio­nali, della distruzion­e di delicati e secolari equilibri produttivi che garantivan­o il patrimonio anche alimentare a milioni e milioni di persone, della rapacità delle corporatio­n che “hanno acquisito a forza un oligopolio delle sementi modificate in laboratori­o” (denuncia Vandana Shiva), di regimi locali dittatoria­li corrotti, del fenomeno “land grabbing” con cui la Cina ha acquistato terre in Africa e offerto 60 miliardi di dollari in prestiti che impongono a diverse nazioni un debito pubblico non rimborsabi­le, evidente forma di neo-colonialis­mo.

Ora le conseguenz­e del Covid-19 non faranno che accrescere la recessione, quest’ultima la miseria, quindi la disuguagli­anza, e già la Banca mondiale prevede che i poveri aumenteran­no da un miliardo a un miliardo e 400 milioni. Più povertà significa più fame. Non basta certo un Nobel per rovesciare e bonificare un quadro così drammatico, animato da troppi egoismi, da innumerevo­li interessi economici, e risolvibil­e (quantomeno ridimensio­nabile) solo grazie a un rovesciame­nto di paradigma economicop­olitico. Per il resto durerà pochi giorni, durerà poche ore un annuncio che dovrebbe rianimare le coscienze sopite.

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