laRegione

De-globalizza­zione

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Le elezioni negli Stati Uniti suscitano come sempre parecchio interesse. La previsione congiunta dei risultati dell’elezione presidenzi­ale, della Camera e di un terzo del Senato è un esercizio di rara difficoltà. Invece di concentrar­si sull’impatto immediato del voto è allora meglio riflettere sulle tendenze di fondo della politica americana, quelle condivise a Washington e nell’opinione pubblica. La Cina non ha amici negli Usa e il contenimen­to della sua ascesa continuerà a caratteriz­zare la politica estera americana nei prossimi anni. La limitazion­e dei trasferime­nti di tecnologia ridurrà alla lunga il potenziale di crescita della grande economia asiatica, in misura critica la politica d’embargo sarà probabile adottata dagli alleati degli Stati Uniti. In un mondo polarizzat­o, gli Usa privileger­anno una buona dose d’indipenden­za economica, sia per ragioni strategich­e, che per proteggere l’economia nazionale dagli effetti negativi della globalizza­zione. Piena occupazion­e, evoluzione dei salari e inuguaglia­nze fanno ormai parte dell’agenda politica, non solo negli Stati Uniti. La scelta americana di dare priorità all’economia domestica sarà verosimilm­ente imitata altrove, a cominciare dall’Ue. Iniziata con la fine della guerra fredda, l’espansione degli scambi internazio­nali si è arrestata con la crisi finanziari­a del 2008-2012, il superament­o del picco di crescita in Cina e la fine del boom dei mercati delle materie prime. Il mondo entra ora in una fase di bassa crescita e de-globalizza­zione. Più che le economie avanzate particolar­mente aperte come la Germania o la Svizzera, penalizzer­à in primo luogo la Cina e l’insieme degli altri Paesi emergenti, più fragili struttural­mente e dipendenti dalle esportazio­ni di materie prime e prodotti a basso valore aggiunto.

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Giovanni Rickenbach Strategist­a

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