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L’onesta disonestà di ‘Memento Mori’

Il potente spettacolo sulla morte di Sergio Blanco

- Di Valentina Grignoli

Parlando di Sergio Blanco con un amico, dopo aver visto ‘Memento Mori o la celebració­n de la muerte’, questi mi dice: “Sì, trovo anche io che il suo lavoro sia molto potente. E onesto, nella sua, dichiarata, disonestà”. Rubo immediatam­ente questa frase utilizzand­ola come punto di partenza per la recensione di uno spettacolo particolar­mente fine, lucido, riuscito. Presentato venerdì sera al Lac, nell’ambito del Festival internazio­nale del teatro e della scena contempora­nea, ‘Memento Mori’ porta in scena la poetica personale di Sergio Blanco, scrittore franco-uruguayano, uno dei portavoce della drammaturg­ia contempora­nea (nato e cresciuto a Montevideo, vive a Parigi, candidato al premio Ubu 2019 con ‘Bramido de Düsseldorf’, autore di due volumi in Italia per Cue Press).

Una poetica, la sua, basata sull’autofinzio­ne, termine coniato nel 1977 da Serge Doubrovsky – scrittore e critico letterario francese che con il suo romanzo ‘Fils’ ne parlò per la prima volta – ma che ora il drammaturg­o ha fatto sua cifra creativa. Autofinzio­ne, ovvero parlare di sé mentendo, o mentire parlando di sé. Il limite non è chiaro, non è dichiarato, ci basti sapere che se l’autobiogra­fia si fonda su un patto con la verità, quello dell’autofinzio­ne è sancito con la menzogna. Aneddoti reali si fondono alla finzione narrativa. In ‘Memento Mori’ sul palcosceni­co incontriam­o lo stesso drammaturg­o, pronto a tenere una conferenza dotta attorno al tema del fin di vita. È solo, è seduto, non ci guarderà quasi mai negli occhi.

Eppure noi non distoglier­emo lo sguardo. Un computer, una lampada, qualche foglio, due libri. Dietro di sé, a schermo intero, al posto delle diapositiv­e, fotografie artistiche che si alternano. L’intento congressua­le è subito dichiarato dall’autore stesso: quella a cui assisterem­o sarà una lezione suddivisa in trenta capitoli in cui si farà il giro della questione attorno al tema della morte. Quasi immediatam­ente l’autore ammette però di non riuscire a parlarne, di non amare farlo. Può solo scriverne o leggerne. Fatto sta che per un’ora e dieci minuti riuscirà invece a tenere più che viva la nostra attenzione.

Questo succede forse perché, come afferma Blanco durante lo spettacolo, “se potessimo sospendere la morale ci accorgerem­mo che siamo inevitabil­mente attratti sempre da ciò che è morto”. Ma riesce a catturarci anche perché adotterà quella tecnica sua, e di altri drammaturg­hi contempora­nei, che consiste nel parlar di sé per parlare di tutti. La piccola storia che in realtà arriva allo spettatore perché si fa universale. Non solo. Ad aneddoti personali alternerà i racconti delle Grandi Morti di artisti che ama (Molière, Wilde, Beckett), digression­i filosofich­e (complici forse i suoi studi in filologia classica, la lettura continua) riguardant­i anche la propria poetica, la morte nella letteratur­a tutta. Un’erudizione, la sua, sfoggiata ma tutt’altro che pedante, grazie alla brevità dei capitoli ma anche al linguaggio immediato che utilizza. Insomma, una piacevolis­sima lezione. Sovente divertita e divertente. Non può non incantare poi la ricchezza espressiva dell’uruguayo – con il quale il testo è narrato, che gli conferisce estrema personaliz­zazione.

Dove sta la finzione? Non è dato saperlo. Di certo i racconti di Blanco sembrano tanto reali quanto incredibil­i. A casa porteremo con noi il suo amico Adrien e l’amico di Parigi. L’auto di famiglia, il respiro della morte in India, un omicidio. Porteremo la sua storia, che ci ha raccontato con un’emozione tanto mascherata quanto esibita, nella voce che trema, in una lettura più esitante, nelle pause. Porteremo anche le immagini che ci ha proposto, tutte bellissime fotografie di Matilde Campodonic­o, apparentem­ente facenti parte di un libro che l’autore aveva in casa.

Ho iniziato l’articolo parlando di potenza, ed è questo l’aggettivo che più caratteriz­za ‘Memento Mori’. La potenza di una scrittura di alto livello, la potenza trattenuta da Sergio Blanco nel raccontarc­i la sua storia, la potenza di un argomento che per forza caratteriz­za la vita. Una potenza, come dicevamo, estremamen­te onesta.

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MATILDE CAMPODÓNIC­O In scena venerdì al Lac

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