Vite in scacco tra i residui di guerra
Le bombe a grappolo sono uno dei principali temi affrontati nell’edizione in corso del Film festival diritti
umani Lugano (Ffdul). Assieme all’ambasciatore svizzero alla sede europea dell’Onu Félix Baumann, in prima linea nella causa del disarmo e tra gli ospiti al convegno pubblico dedicato alle conseguenze di tali ordigni devastanti (→ sabato 17, Palazzo dei Congressi Lugano), abbiamo cercato di inquadrare il grave problema umanitario e di capire quale ruolo svolge il nostro Paese.
Ogni sera a Vientiane, la placida capitale del Laos, il fiume Mekong inghiotte il sole in un languido tramonto rosso che pare riflettere la ferita del suo popolo aperta da oltre 50 anni. A raccontare la storia della sconosciuta tragedia dei laotiani esiste un posto in città chiamato Cope Center: varcata la soglia si viene accolti da una “pioggia” di bombe attaccate a un fitto insieme di fili pendenti dal soffitto; in uno spazio attiguo, allo stesso modo si trovano appese delle protesi di gambe, alcune raffazzonate, altre molto piccole. Il Centro – che ho visitato qualche anno fa – si occupa delle vittime, in continuo aumento, mutilate dalle bombe a grappolo lanciate dall'esercito statunitense tra il 1964 e il 1973 durante la guerra segreta condotta in parallelo a quella del Vietnam. Nelle prime fasi del conflitto i piloti Usa vi sganciavano gli esplosivi non utilizzati perché atterrare con essi a bordo era troppo pericoloso; in seguito i bombardamenti divennero sistematici con l'obiettivo di interrompere il Sentiero di Ho Chi Minh attraverso cui passavano i rifornimenti ai Vietcong. Il Laos risulta tuttora il Paese più bombardato al mondo in rapporto alla popolazione: si parla di una tonnellata di esplosivi per ciascun abitante, l'equivalente di una missione di bombardamento ogni 8 minuti per 9 anni, e si stima che 80 milioni di munizioni inesplose contaminino ancora vaste aree del territorio: dalla fine del conflitto esse hanno ucciso oltre 20'000 persone e altre 30'000 sono rimaste mutilate o prive della vista.
Ordigni camuffati
Félix Baumann, ambasciatore alla Missione permanente svizzera presso le Nazioni Unite a Ginevra e rappresentante permanente presso la Conferenza sul disarmo, spiega: “Le munizioni a grappolo sono armi subdole con conseguenze pesantissime per le popolazioni civili. Queste munizioni rilasciano una grande quantità di piccole bombe, dette submunizioni, su superfici molto vaste. Sono dunque armi imprecise, che non fanno distinzioni tra civili e combattenti – dati ufficiali indicano che le vittime per il 6% sono soldati, per il 94% civili, di cui 40% bambini. Il loro impatto umanitario è estremamente elevato anche perché le submunizioni spesso non esplodono subito e possono contaminare un terreno camuffandovisi anche per decenni e provocando così vittime pure molti anni dopo la fine di un conflitto; inoltre possono bloccare l'accesso a risorse e servizi fondamentali per la popolazione come riserve d'acqua, campi per l'agricoltura, scuole”. I bambini sono particolarmente colpiti perché hanno l'istinto di giocare con gli ordigni rinvenuti, che talvolta hanno forme accattivanti come i cosiddetti “pappagalli verdi” (quelli dell'omonimo libro di Gino Strada). Il Laos non è un caso isolato: nel mondo sono 27 i Paesi tuttora contaminati da residuati di munizioni a grappolo, tra essi ad esempio Vietnam, Cambogia, Afghanistan, Iraq, Siria, Ucraina e diverse aree della ex Jugoslavia.
Tentativi di soluzione
Nel 2010 è entrata in vigore la Convenzione sulle munizioni a grappolo, ad oggi ratificata da 110 Stati. Félix Baumann la definisce “una pietra miliare del diritto internazionale umanitario che contribuisce a salvare molte vite. Essa vieta l'utilizzo, la produzione, l'acquisto, il trasferimento e lo stoccaggio delle bombe a grappolo. Inoltre, gli Stati che vi aderiscono hanno l'obbligo di sminare le zone contaminate, assistere le vittime e distruggere gli stock in loro possesso. I risultati sono incoraggianti: più di 170 milioni di submunizioni sono stati distrutti e oltre 500 chilometri quadrati di terreno sono stati bonificati”. Sono però ancora molte le sfide da affrontare prima che la Convenzione possa dispiegare pienamente i suoi effetti, basti pensare che tra gli Stati firmatari non figurano i maggiori produttori e/o utilizzatori di tali ordigni come Stati Uniti, Israele, Russia, Cina, India, Pakistan, Brasile. “Aumentare il numero degli Stati parte è un obiettivo prioritario”, sottolinea l'ambasciatore: “Con l'aiuto delle organizzazioni della società civile, si lavora per convincere anche quelli più refrattari. Per il momento, però, le grandi potenze non inviano segnali incoraggianti. Bisognerà dunque persuadere altri Stati ad aderire, in modo da rafforzare la norma contro le munizioni a grappolo e stigmatizzarne sempre di più l'utilizzazione”. La Svizzera, il prossimo novembre a Losanna, presiederà la 2a Conferenza di revisione della Convenzione, un momento chiave in quanto, continua Baumann, “gli Stati riaffermano il proprio impegno politico a proibire questa categoria d'armi, fissando gli obiettivi da raggiungere nei prossimi 5 anni. È inoltre l'occasione per attirare l'attenzione della comunità internazionale sui risultati raggiunti. La presidenza elvetica è un tributo alla tradizione umanitaria del nostro Paese, fermamente convinto che le vittime civili possano e debbano essere evitate, e che quindi condanna in termini inequivocabili l'uso di munizioni a grappolo; la Svizzera ha distrutto i suoi ultimi stock nel 2018 e si impegna nella bonifica e nell'assistenza alle vittime in parecchi Paesi colpiti da questo flagello come Bosnia Erzegovina, Cambogia, Colombia e Sri Lanka”. Oltre al costo in termini di vite e sofferenza umane, vi è quello economico; il costo per produrre queste bombe è irrisorio, quello per l'opera di sminamento, rieducazione e riabilitazione è migliaia di volte più alto. Giornate come quella proposta dal Ffdul contribuiscono a sensibilizzare in modo trasversale la popolazione, compresi i parlamentari, chiamati a decidere sullo stanziamento dei finanziamenti per questo genere di attività, che mirano a rendere il mondo un posto più sicuro per tutti.