Moncucco trova una via anti-Covid
Uno studio della clinica ipotizza una possibile soluzione terapeutica che arriverà all’Oms
Uno studio allestito dall’Unità di ricerca, con l’ausilio del Team delle cure intensive, della Clinica luganese Moncucco sull’ossigenazione sanguigna nei malati di Covid-19 arriverà sul tavolo dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Altri due lavori condotti dall’équipe medica, infermieristica e fisioterapica del servizio di cure intense dell’istituto sono stati presentati e premiati al congresso internazionale Lives 2020 dell’European Society of Intensive Care Medicine. La prima ricerca è stata realizzata dai medici delle cure intense durante l’ondata primaverile di coronavirus su 4’600 gasometrie (che permettono di valutare la funzione respiratoria di un paziente). Un numero rilevante di casi la cui analisi ha fatto emergere un elemento nuovo che potrebbe riservare sviluppi promettenti a livello terapeutico, aprendo nel contempo strade di ricerca innovative sul meccanismo d’azione del virus.
Il virus attaccherebbe l’emoglobina I medici, spiega la dottoressa Alessandra Franzetti Pellanda, primario di radioterapia, responsabile dell’Unità di ricerca scientifica che presiede il Comitato scientifico, «hanno notato, per la prima volta, una dissociazione nei parametri che vengono esaminati per valutare l’ossigenazione dei pazienti. I parametri normalmente sono abbastanza coerenti ma risultati dissociati nei pazienti affetti da Sars-Cov-2, che peraltro hanno spesso problematiche respiratorie (polmoniti e infezioni delle vie respiratorie). Questo aspetto, confrontato con altri dati della letteratura scientifica forniti ai ricercatori che hanno studiato i meccanismi di diffusione del virus, ha consentito di formulare una delle ipotesi, secondo cui il Covid-19 attaccherebbe l’emoglobina, ossia la molecola che trasporta l’ossigeno. Nell’ottica di trovare soluzioni terapeutiche, questo aspetto potrebbe rappresentare una pista per agire». Tanto che Wiley, uno dei più importanti e storici editori del mondo scientifico, ha proposto agli autori dello studio “Haemoglobin oxygen affinity in Covid-19 patients: shift of mind or shift of the curve?” realizzato alla Moncucco e sottoposto alla rivista British Journal of Hematology di condividere i risultati ottenuti con l’Oms, valutando i contenuti di particolare interesse per lo studio della pandemia in corso. «L’azione verso il miglioramento delle cure passa attraverso la raccolta e l’analisi di dati a disposizione. È chiaro che nell’emergenza vissuta la scorsa primavera, il tutto è stato reso molto più complicato del solito e ha rappresentato una grossa sfida – prosegue la responsabile dell’Unità di ricerca –. Perciò, abbiamo affiancato il Team dei medici curanti con quello che in realtà esisteva già in clinica, ossia l’Unità di ricerca, affinché si potesse raccogliere una serie di informazioni sui pazienti, di analizzarle quando è stato possibile in tempo reale, oppure a posteriori, cercando di capire ciò che stava succedendo in un contesto in cui nessuno sapeva granché. Tutto questo rispettando in maniera severa le regole etiche e di Good Clinical Practice della ricerca abbiamo cercato il consenso informato dei pazienti per poter fare gli studi». Sarà poi eventualmente l’Oms a valutare altri approfondimenti.
Due applicazioni nella cura quotidiana Nel contempo, nell’approccio di cura dei pazienti, il Team di cura dei medici assieme a fisioterapisti e infermieri hanno portato avanti due studi più clinici nell’applicazione della presa a carico. Nel primo, si è compreso che la posizione prona del paziente intubato (a pancia in giù) consente una migliore ossigenazione con la ventilazione assistita. Una posizione che però pone problemi – osserva Franzetti Pellanda –. Il paziente è più impegnativo da seguire siccome esige la messa in atto di un processo di cura da parte di fisioterapisti e infermieri che devono intervenire più volte al giorno per mobilizzarlo. Una complicazione che tuttavia ha mostrato una diminuzione della serie di complicanze che i pazienti intubati hanno indipendentemente dalla loro posizione migliorando la riabilitazione una volta estubati». Il secondo lavoro premiato, in cui sono stati in prima linea i fisioterapisti e i logopedisti, ha messo in evidenza gli ottimi risultati dati da alcuni protocolli multidisciplinari attuati sui pazienti affetti da Covid-19 che sviluppano una grossa difficoltà a deglutire (disfagia). Ebbene, questi interventi, hanno consentito loro nella fase post-intubazione di recuperare dalla disfagia molto più rapidamente evitando una serie di ulteriori scompensi. «Questi due lavori hanno permesso un’applicazione concreta nella presa a carico dei pazienti», sottolinea la responsabile dell’Unità di ricerca clinica.