Separazione dei poteri! Chi era costei?
Il titolo di questo scritto riecheggia il manzoniano “Carneade!” (filosofo dell’antica Grecia) “Chi era costui?” (I Promessi sposi, capitolo VIII), interrogativo “ruminato” tra sé da don Abbondio nel corso di una lettura “impegnata”. Secondo la definizione classica, i “Poteri” sono tre: legislativo, esecutivo e giudiziario. Si parla anche di un “Quarto potere” (stampa, radio, televisione e altri mezzi di comunicazione di massa più recenti), titolo della versione italiana di un famoso film del 1941 del regista e attore americano Orson Welles (titolo originale: “Citizen Kane”). La “Libertà dei media” è garantita in Svizzera dall’articolo 17 della Costituzione federale. L’articolo 93 prevede ulteriori disposizioni sulla radiotelevisione e altre forme di telediffusione. La separazione dei poteri costituisce uno dei principi fondamentali delle democrazie moderne. Essa è frutto del pensiero degli Illuministi, in particolare di Montesquieu (“L’Esprit des lois”). Gli Illuministi, partivano dal presupposto che, in una società, il potere non si autolimita spontaneamente. Il modo più semplice per limitare il potere assoluto dell’“ancien régime” è quello di separarlo per materia in diversi “poteri”, nessuno dei quali eserciti una supremazia sugli altri invadendo settori di loro competenza o attribuendosi il compito di eleggerne e revocarne i membri. In tal modo i Poteri si limitano reciprocamente, mettendo in atto una garanzia contro l’assolutismo e ponendo le basi della democrazia. Negli “Stati assoluti” l’unificazione dei poteri nella persona del sovrano (“l’Ètat c’est moi!” proclamava il Re Sole Luigi XIV) era il presupposto dell’assolutismo, così come la loro separazione è il presupposto della democrazia, nella quale soltanto il popolo è sovrano. In una democrazia l’elezione dei membri dei tre Poteri dovrebbe competere, in linea di principio, al popolo o ai membri del Potere in questione. Negli Stati Uniti, il fatto che i membri della Corte Suprema siano nominati dal Presidente, capo dell’Esecutivo, è un residuo di assolutismo, adottato il 24 settembre 1789, poco più di due mesi dopo il 14 luglio (presa della Bastiglia a Parigi). L’articolo 51 della Costituzione della Repubblica e Cantone del Ticino del 14 dicembre 1997, intitolato appunto “Separazione dei poteri”, dispone che “L’autorità in quanto non riservata al popolo è esercitata dai tre poteri, tra loro distinti e separati, il Legislativo, l’Esecutivo, il Giudiziario”. Nella fattispecie, il Gran Consiglio (potere legislativo) e il Consiglio di Stato (potere esecutivo) sono eletti dal popolo, il quale elegge anche i rappresentanti del Canton Ticino in seno all’Assemblea federale. Riguardo al terzo potere, quello Giudiziario, l’articolo 36 della medesima Costituzione attribuisce al Gran Consiglio (Potere legislativo) la competenza di eleggere tutti i magistrati dell’Ordine giudiziario, salvo i giudici di pace. La competenza del Gran Consiglio in materia di nomina e di rimozione (per mezzo della mancata riconferma alla scadenza del mandato) (...)
(...) dei magistrati dell’ordine giudiziario è confermata dall’articolo 2 della Legge sull’organizzazione giudiziaria del 10 maggio 2006: “I magistrati dell’ordine giudiziario sono eletti dal Gran Consiglio, ad eccezione dei giudici di pace e dei loro supplenti, che sono eletti dal popolo nei circondari elettorali corrispondenti alla loro giurisdizione”. Evidentemente, il Legislatore costituzionale e quello ordinario hanno ritenuto compatibili la Separazione dei poteri e l’attribuzione a un potere della competenza di nominare ed esonerare i membri di un altro potere: in sostanza, ciò equivale al controllo di un potere su un altro: in altri termini, abbiamo una separazione dei poteri “imperfetta”. Non si può sempre chiedere la “perfezione”, anche se Montesquieu dovesse rivoltarsi nella tomba. Tuttavia, ci si può chiedere se un’imperfezione – che nel caso specifico equivale a una subordinazione importante del potere giudiziario nei confronti del potere legislativo – non possa tirarne un’altra, nel senso che non sia da escludere che la subalternità di un potere all’altro possa contribuire a creare – nel potere subalterno o in suoi settori – i presupposti di ricorrenti “crisi”. In effetti, è possibile, come in ogni relazione umana, che la subordinazione, che nella fattispecie si manifesta nella politicizzazione, scoraggi in generale nel soggetto subordinato lo sviluppo dell’autostima, dello spirito di squadra, della “fraternità” intesa come impegno comune a collaborare e a fornire prestazioni individuali e di gruppo sempre migliori; e per contro alimenti competizione distruttiva, invidie e quant’altro danneggi l’immagine del potere subordinato al quale si appartiene. In altri termini, il malessere originato almeno in parte dalla subalternità interagirebbe con le carenze qualitative e/o quantitative (reali, ingigantite o immaginarie che siano), alimentandosi vicendevolmente, in una sorta di circolo vizioso. Tirando di nuovo in ballo don Abbondio, come ci si sarebbe potuto aspettare da lui – in teoria protettore e consolatore dei deboli – che ruggisse ed estraesse gli artigli davanti ai “bravi”, lui che si sentiva “d’essere, in quella società, come un vaso di terracotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro”? (I Promessi Sposi, Capitolo I).