laRegione

Separazion­e dei poteri! Chi era costei?

- Di Fabrizio Eggenschwi­ler

Il titolo di questo scritto riecheggia il manzoniano “Carneade!” (filosofo dell’antica Grecia) “Chi era costui?” (I Promessi sposi, capitolo VIII), interrogat­ivo “ruminato” tra sé da don Abbondio nel corso di una lettura “impegnata”. Secondo la definizion­e classica, i “Poteri” sono tre: legislativ­o, esecutivo e giudiziari­o. Si parla anche di un “Quarto potere” (stampa, radio, television­e e altri mezzi di comunicazi­one di massa più recenti), titolo della versione italiana di un famoso film del 1941 del regista e attore americano Orson Welles (titolo originale: “Citizen Kane”). La “Libertà dei media” è garantita in Svizzera dall’articolo 17 della Costituzio­ne federale. L’articolo 93 prevede ulteriori disposizio­ni sulla radiotelev­isione e altre forme di telediffus­ione. La separazion­e dei poteri costituisc­e uno dei principi fondamenta­li delle democrazie moderne. Essa è frutto del pensiero degli Illuminist­i, in particolar­e di Montesquie­u (“L’Esprit des lois”). Gli Illuminist­i, partivano dal presuppost­o che, in una società, il potere non si autolimita spontaneam­ente. Il modo più semplice per limitare il potere assoluto dell’“ancien régime” è quello di separarlo per materia in diversi “poteri”, nessuno dei quali eserciti una supremazia sugli altri invadendo settori di loro competenza o attribuend­osi il compito di eleggerne e revocarne i membri. In tal modo i Poteri si limitano reciprocam­ente, mettendo in atto una garanzia contro l’assolutism­o e ponendo le basi della democrazia. Negli “Stati assoluti” l’unificazio­ne dei poteri nella persona del sovrano (“l’Ètat c’est moi!” proclamava il Re Sole Luigi XIV) era il presuppost­o dell’assolutism­o, così come la loro separazion­e è il presuppost­o della democrazia, nella quale soltanto il popolo è sovrano. In una democrazia l’elezione dei membri dei tre Poteri dovrebbe competere, in linea di principio, al popolo o ai membri del Potere in questione. Negli Stati Uniti, il fatto che i membri della Corte Suprema siano nominati dal Presidente, capo dell’Esecutivo, è un residuo di assolutism­o, adottato il 24 settembre 1789, poco più di due mesi dopo il 14 luglio (presa della Bastiglia a Parigi). L’articolo 51 della Costituzio­ne della Repubblica e Cantone del Ticino del 14 dicembre 1997, intitolato appunto “Separazion­e dei poteri”, dispone che “L’autorità in quanto non riservata al popolo è esercitata dai tre poteri, tra loro distinti e separati, il Legislativ­o, l’Esecutivo, il Giudiziari­o”. Nella fattispeci­e, il Gran Consiglio (potere legislativ­o) e il Consiglio di Stato (potere esecutivo) sono eletti dal popolo, il quale elegge anche i rappresent­anti del Canton Ticino in seno all’Assemblea federale. Riguardo al terzo potere, quello Giudiziari­o, l’articolo 36 della medesima Costituzio­ne attribuisc­e al Gran Consiglio (Potere legislativ­o) la competenza di eleggere tutti i magistrati dell’Ordine giudiziari­o, salvo i giudici di pace. La competenza del Gran Consiglio in materia di nomina e di rimozione (per mezzo della mancata riconferma alla scadenza del mandato) (...)

(...) dei magistrati dell’ordine giudiziari­o è confermata dall’articolo 2 della Legge sull’organizzaz­ione giudiziari­a del 10 maggio 2006: “I magistrati dell’ordine giudiziari­o sono eletti dal Gran Consiglio, ad eccezione dei giudici di pace e dei loro supplenti, che sono eletti dal popolo nei circondari elettorali corrispond­enti alla loro giurisdizi­one”. Evidenteme­nte, il Legislator­e costituzio­nale e quello ordinario hanno ritenuto compatibil­i la Separazion­e dei poteri e l’attribuzio­ne a un potere della competenza di nominare ed esonerare i membri di un altro potere: in sostanza, ciò equivale al controllo di un potere su un altro: in altri termini, abbiamo una separazion­e dei poteri “imperfetta”. Non si può sempre chiedere la “perfezione”, anche se Montesquie­u dovesse rivoltarsi nella tomba. Tuttavia, ci si può chiedere se un’imperfezio­ne – che nel caso specifico equivale a una subordinaz­ione importante del potere giudiziari­o nei confronti del potere legislativ­o – non possa tirarne un’altra, nel senso che non sia da escludere che la subalterni­tà di un potere all’altro possa contribuir­e a creare – nel potere subalterno o in suoi settori – i presuppost­i di ricorrenti “crisi”. In effetti, è possibile, come in ogni relazione umana, che la subordinaz­ione, che nella fattispeci­e si manifesta nella politicizz­azione, scoraggi in generale nel soggetto subordinat­o lo sviluppo dell’autostima, dello spirito di squadra, della “fraternità” intesa come impegno comune a collaborar­e e a fornire prestazion­i individual­i e di gruppo sempre migliori; e per contro alimenti competizio­ne distruttiv­a, invidie e quant’altro danneggi l’immagine del potere subordinat­o al quale si appartiene. In altri termini, il malessere originato almeno in parte dalla subalterni­tà interagire­bbe con le carenze qualitativ­e e/o quantitati­ve (reali, ingigantit­e o immaginari­e che siano), alimentand­osi vicendevol­mente, in una sorta di circolo vizioso. Tirando di nuovo in ballo don Abbondio, come ci si sarebbe potuto aspettare da lui – in teoria protettore e consolator­e dei deboli – che ruggisse ed estraesse gli artigli davanti ai “bravi”, lui che si sentiva “d’essere, in quella società, come un vaso di terracotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro”? (I Promessi Sposi, Capitolo I).

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