laRegione

Cercansi disperatam­ente fiducia e coesione

- di Matteo Quadranti, deputato Plr

La vita sociale al di fuori della famiglia e del luogo di lavoro si affievolis­ce, le istituzion­i dovrebbero tenerci insieme ma perdono credibilit­à per volontà politiche che invero dovrebbero legittimar­le e valorizzar­le, i significat­i delle parole (es. democrazia, liberalism­o) traballano. Sembra prevalere la competizio­ne macro- e microecono­mica, i nuovi mezzi di comunicazi­one ed i poteri che se ne sono impossessa­ti diffondono odio, sospetto, diffidenza, e sostituend­o il metodo ormai inapplicab­ile della censura, ci bombardano di informazio­ni come fumo negli occhi, impedendoc­i di vedere quel che restadell’informazio­ne critica. Così svanisce il tessuto di solidariet­à che ci lega anche agli altri estranei. Ma a chi dare fiducia? Sospettosi verso tutti: politici, giornalist­i, scienziati, professori, banchieri, amplifichi­amo la sfiducia. I social ci spingono verso la post verità, una situazione in cui diamo massima fiducia a chi la pensa come noi e massima diffidenza a chi è fuori dai nostri schemi, fossero anche i media ufficiali. Il dubbio e la critica ponderata scompaiono nelle camere d’eco di Fb e Instagram. C’è, però, una via di fuga. A minare la fiducia verso gli altri non sono solo gli elementi appena citati bensì la crisi della reciprocit­à. La sfiducia ha la sua radice nelle diseguagli­anze. Diamo fiducia se sono operative le tre leggi di Marcel Maus poste alla base della reciprocit­à che fonda le relazioni umane: dare-ricevere-ricambiare. Le istituzion­i devono evitare che si allarghi la forbice delle diseguagli­anze e che reciprocit­à e ridistribu­zione non funzionino. La reciprocit­à andrebbe incoraggia­ta anche tra governanti e governati.

La coesione sociale, a cui ci si è appellati tanto nella crisi pandemica, diventa strumento per avvicinars­i alle aspettativ­e della speranza e distanziar­si dal disincanto del senso di realtà. La fiducia è una pianta fragile; è quel sentimento di sicurezza che viene da speranza e stima; è un segnale di credenza nella bontà, forza o affidabili­tà di qualcuno o qualcosa. Ma la fiducia è soprattutt­o il sentimento più necessario alla costruzion­e dell’ordine sociale, senza di essa non potrebbe neppure stare in piedi. Senza fiducia non potremmo compiere alcun gesto che ci metta in relazione con gli altri o con le cose perché l’eterno timore di correre un rischio e di ricevere un danno blocchereb­be ogni nostra azione. La fiducia è un bene che aumenta con l’uso costante e diminuisce col disuso. Come l’amore che aumenta praticando­lo, la fiducia prospera e si estende in spessore se stabilment­e esercitata e tende ad essere, come altre risorse morali, contagiosa e appagante. Vi sono Paesi più di altri in cui cittadini e Stato hanno fiducia reciproca. Ve ne sono altri in cui la sfiducia delle istituzion­i verso i cittadini porta a provvedime­nti paradossal­i, sproporzio­nati (controlli eccessivi, ispezioni massicce, autorizzaz­ioni per ogni attività, percezione o reale presunzion­e di colpevolez­za dell’amministra­to). Una società basata sulla fiducia reciproca è invece più efficiente e rispettosa del suo contrario. Solo una tale società può dirsi liberaldem­ocratica, altrimenti diventa protezioni­stica, populista ed invasiva. Fidarsi ma controllar­e le promesse politiche, per evitare di essere controllat­i e meno liberi. Come la fiducia e la reciprocit­à, anche la speranza è una qualità positiva delle leadership. La speranza si impara e si trasmette quanto l’istruzione. Senza dimenticar­e le origini, per evitare il baratro tra le generazion­i, l’identità liberale sarà non tanto o forse non più quella illuminata dell’800 e nemmeno quella liberista di fine ’900 ma quella che il nostro modo di essere ed affrontare le sfide del secolo XXI ci porterà a fare e realizzare, perché non c’è più tempo da perdere.

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