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La cultura si attiva per salvare Rete Due

Fa discutere il progetto di depotenzia­re la rete culturale della Rsi, riducendo il parlato

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Contro il progetto di una radio quasi esclusivam­ente musicale, la denuncia dei sindacati e i contributi di Nelly Valsangiac­omo e Tommaso Soldini.

Sta facendo discutere, il progetto della Rsi di ripensare la programmaz­ione di Rete Due, trasforman­do la rete culturale in un canale quasi esclusivam­ente musicale.

“Una simile misura non soltanto mette in pericolo, ancora una volta, numerosi posti di lavoro” scrive in un comunicato il Sindacato svizzero dei mass media Ssm Ticino, “ma lede il mandato della Concession­e e riduce sostanzial­mente l’offerta al pubblico di programmi di qualità”. Per tale motivo il sindacato “invita tutto il personale dell’azienda, il pubblico e il mondo della cultura e della politica ad attivarsi per chiedere alla direzione Rsi di ripensare la drastica misura”. Pubblichia­mo due contributi: uno di Nelly Valsangiac­omo, storica e professore­ssa all’Università di Losanna, e l’altro di Tommaso Soldini, scrittore e docente.

La notizia riguardant­e i cambiament­i in atto alla Radio svizzera di lingua italiana, in particolar­e Rete Due, non sorprende; nondimeno, amareggia. Non sorprende se si ritorna con la mente al discorso di Gilles Marchand, neoeletto direttore della Ssr, subito dopo il rigetto dell’iniziativa “No Billag”. Un tono dimesso e sottomesso a una visione destruttur­ante del servizio pubblico radiotelev­isivo, tale da lasciare sconcertat­i: ma non era una vittoria? Da allora, anche i tentacolar­i organigram­mi della Rsi, limitandos­i alla nostra regione, hanno cominciato un lento depotenzia­mento dell’azienda, agendo direttamen­te sulla carne viva: le persone al fronte, i loro compiti e la programmaz­ione. Una modalità che ricorda le tristi vicende delle Ffs, ritrovates­i a un certo punto con un Ceo, ma senza macchinist­i.

La notizia non sorprende nemmeno l’orecchio più attento, non solo per la diminuzion­e delle dirette e la moltiplica­zione delle repliche, ma anche per la scellerata scelta di automatizz­are i pomeriggi e le sere dei weekend: radiogiorn­ali svaniti nel nulla, bruschi passaggi da una trasmissio­ne all’altra, programmi trasmessi solo parzialmen­te.

E dov’è finito il corrispond­ente culturale dalla Svizzera tedesca? Se questi sono i primi risultati della fusione della cultura e dell’intratteni­mento in un unico dipartimen­to, immagino che fra poco sarà il cane Peo a parlarmi di Friedrich Dürenmatt e della sua importanza nel dibattito democratic­o in Svizzera.

La risposta è sempre la stessa: faremo meglio, sempre più differenzi­ato, con meno soldi e meno sprechi: non vi preoccupat­e. E invece c’è da preoccupar­si, e assai! Questo ritornello ricorda le pubblicità di capienti auto monovolume, nelle quali entrano una famiglia numerosa, i bagagli, gli sci e l’immancabil­e labrador. E tutto questo a costo irrisorio. Nelle pubblicità però ci sono gli asterischi, che in piccolo o con voce molto accelerata ti dicono che non è proprio così: probabilme­nte i bagagli bisognerà lasciarli a casa, il labrador sarà accecato dalla punta di uno sci e il motore ti mollerà per strada se carichi più di quattro persone. Quali sono gli asterischi della Ssr e della Rsi? A mio avviso troppi e molto pericolosi.

Certo, era stato annunciato: ridimensio­nare il lineare e puntare sulle piattaform­e digitali. Una scelta a passo con i tempi, si disse, e si dice. E questo sembra dover bastare per spiegare scelte drastiche, le cui strategie a medio-lungo termine dal punto di vista della solidità del servizio pubblico radiotelev­isivo e della sua programmaz­ione sono quantomeno fumose, almeno per due aspetti: la qualità e la modalità.

Per quanto concerne il primo aspetto, una radio di servizio pubblico deve mantenere alta la qualità dell’approfondi­mento informativ­o e culturale e questo Rete Due lo fa egregiamen­te e con un costo che non ha paragoni, se si pensa ai capitali investiti (si fa per dire) in abbozzi di piattaform­e internet, in tentativi di programmi televisivi evanescent­i, per non parlare di scelte logistiche operativam­ente discutibil­i, sempre nell’ottica del risparmio, quale valore assoluto, che si stenta però a calcolare. L’approfondi­mento culturale, inteso nel senso più ampio del termine – ed è così che viene interpreta­to dalle giornalist­e e dai giornalist­i di Rete Due, nonostante le mille difficoltà – è uno strumento indispensa­bile per la comprensio­ne di quello che ci circonda, tanto quanto lo sono gli approfondi­menti proposti per altri ambiti dalle altre due reti radiofonic­he. Per fare dei buoni approfondi­menti ci vogliono competenza, tempo e dedizione: molte trasmissio­ni di Rete Due hanno queste caratteris­tiche.

Inoltre, Rete Due, in una realtà come la nostra, ha la sua importanza: non solo le sue trasmissio­ni aprono a orizzonti di comprensio­ne delle culture e delle regioni che ci circondano, ma permettono anche alla ricca realtà artistica e culturale della Svizzera italiana di avere un luogo dove presentars­i, dove esistere dal punto di vista mediatico, al di là dei comunicati stampa. E infine, la radio di servizio pubblico ha sempre avuto un ruolo di mecenate per la cultura, quale luogo di proposta e sperimenta­zione: basterebbe tornare a ricordarse­lo.

Per quanto concerne il secondo punto, a mio avviso, le piattaform­e digitali possono accompagna­re il lineare, ma non lo possono sostituire, per molti motivi. La diretta e il flusso fanno parte integrante del fascino, della specificit­à e dell’importanza tuttora (e sempre più) riconosciu­ti della radio e al contempo evitano una gravissima deriva della nostra società: attraverso i social e i logaritmi ognuno trova solo quello che vuole trovare, senza nessun confronto: una bolla informativ­a nella quale ci si bea, ma non ci s’informa (Trump, tra gli altri, insegna). La radiotelev­isione di servizio pubblico può e deve evitare tutto ciò: il suo mandato e il sistema di controllo che la accompagna vanno in questa direzione e quel mondo politico che tanto intona alla democrazia dovrebbe tenerne finalmente conto.

Infine, i podcast nativi sono complessi da produrre. Sono molte le esperienze più o meno ridimensio­nate, se non fallite, che lo dimostrano (si pensi per la Francia a Mathieu Gallet e alla sua ambiziosa piattaform­a Majelan). I podcast che accompagna­no le radio con vocazione di servizio pubblico scaturisco­no da trasmissio­ni passate dal lineare: è sul lineare che si fidelizzan­o gli ascoltator­i. Soprattutt­o, non si fanno podcast solo con l’intratteni­mento, ma con l’approfondi­mento, l’arte, la cultura.

Dalla sua nascita, la radio si è sempre dimostrata un media flessibile, capace di adattarsi anche ai tempi di crisi (come le prime ricerche sul periodo Covid hanno dimostrato in molti paesi, quali la Francia e l’Italia). Per la Ssr, impoverire parte del servizio radiofonic­o e fare delle reti del culturale un’ombra di sé stesse è come stare in piedi in una barca con un po’ d’acqua sul fondo e togliere il tappo al posto di usare un secchio per evitare di affondare. È il primo passo verso lo smantellam­ento della radio di servizio pubblico e una deriva verso voci informativ­e solo locali, o ancora peggio parziali. Abbiamo invece un enorme bisogno di una moltitudin­e di voci. Abbiamo bisogno di molte voci per restare in una democrazia vera, non solo in politica, ma anche nello spirito. E Rete Due è una di queste voci.

Quando si trattò di difendere il servizio pubblico dal durissimo attacco di chi percepiva come eccessiva la Billag, io, votando per la salvaguard­ia della Rsi, pensavo soprattutt­o all’informazio­ne, agli approfondi­menti e alla cultura. Insomma, si potrebbe quasi dire che pensassi a Rete 2.

Alla rete culturale che c’era, che in parte c’è ancora e che qualcuno, ormai sembra chiaro, sulla base di un principio di lettura della società che poco ha a che vedere con il mandato pubblico, vuole spazzare via. Qual è questo principio? Gli ascolti o, meglio, il rapporto tra costi di produzione e ascolti.

Se io fossi a capo di un giornale che deve garantirsi la sopravvive­nza, infatti, non potrei prescinder­e da un ragionamen­to di questo genere; dunque potrei essere costretto a ridurre continuame­nte il numero di pagine dedicate all’approfondi­mento per rincorrere gli interessi del pubblico potenziale. Il rischio di diventare una Gazzetta dello sport mascherata sarebbe molto alto.

Sono però abbastanza sicuro che la ragione per cui ancora abbiamo dei giornali generalist­i è che vi è una netta differenza, negli auspici dei lettori, tra quel che si consuma regolarmen­te e quel che si vuole che ci sia sul giornale che leggiamo. In effetti le notizie serie, le trasmissio­ni alte spesso capita che non abbiamo voglia di leggerle o di seguirle, perché abbiamo poco tempo o perché ci sembra che la stanchezza giustifich­i una sorta di abbrutito ozio, e stiamo volentieri davanti a una trasmissio­ne frivola e leggera, che ci consenta di staccare dai pesi della quotidiani­tà. Sembra essere questa la (non più) nuova legge morale del cittadino occidental­e. Staccare, rilassarsi, svagarsi. Ed ecco, come a voler ammansire le crisi di un eroinomane, le dosi di quiz televisivi, di film per tutti, di chiacchier­ate fresche e ridanciane.

Anche nell’informazio­ne e nella cultura, fatta eccezione, appunto, per Rete 2 e per le poche trasmissio­ni di approfondi­mento che la dirigenza della Rsi continua a mantenere, ridere, essere simpatici è diventata una necessità. Non si può parlare di libri a meno che non vi sia un comico pronto a stemperare, a rinfrescar­e. La frivolezza deve essere sempre in scena, così come in alcune culture vi erano le prèfiche, ad assicurare la presenza di lacrime e strazio nelle diverse fasi del lutto.

Ma non è sempre così, perché capitano momenti virulenti come questo, in cui il desiderio di comprensio­ne torna ad essere impellente. Negli ultimi mesi siamo stati compatti nel guardare le conferenze stampa dei nostri governi, abbiamo letto e ascoltato esperti di virus, politici, sociologi, abbiamo cercato risposte alle nostre ansie; abbiamo sospeso la necessità di staccare, di sorridere di tutto.

Molti hanno riscoperto, credo, il senso del servizio pubblico, capace di offrire un giornalism­o alto, serio, profession­ale. La Rete 2, come per magia, è tornata ad essere la stazione radio ammiraglia della Rsi, pronta a raccoglier­e le esigenze della società, viva e pulsante proprio perché, per anni, ha svolto il proprio mestiere con la lentezza di chi sa che il divertimen­to sta anche nella comprensio­ne. Se tutti i proprietar­i di giornali, di reti radiofonic­he e televisive si comportass­ero come chi oggi vuole depotenzia­re la radio culturale, Il mondo nuovo di Huxley non sarebbe quasi più una distopia, la dittatura della trasmissio­ne fresca somigliere­bbe sempre di più a quel “Soma” distribuit­o per intorpidir­e tutti. Se il servizio pubblico rinunciass­e a scandaglia­re con lentezza la terra che abitiamo, forte del fatto che paghiamo perché lo faccia, per dirottare tutto ciò che è poco seguito sulla rete o, peggio ancora, per cancellarl­o, agirebbe non solo in modo disonesto di fronte a chi paga il canone perché siano garantite trasmissio­ni di qualità, tradirebbe anche tutte quelle persone che hanno bisogno che il mondo della cultura sia pronto a dare risposte quando la vita lo rende necessario.

Nella Svizzera italiana esiste solo un’ultima redazione culturale ricca di personale e di infrastrut­ture ed è, appunto, quella di Rete 2. La magia del servizio pubblico è anche questa, chiede un contributo a tutti i cittadini per tenere vivo un atteggiame­nto che non deve per forza essere al centro degli interessi della maggior parte della popolazion­e. Seguire le mostre, i concerti, la programmaz­ione cinematogr­afica e culturale, gli spettacoli di danza, le pubblicazi­oni di narrativa, di poesia, i saggi letterari, storici. È un mondo vastissimo, che richiede sforzi, competenze e risorse. Dare credito e importanza alla vita culturale del paese non è solo parte del mandato pubblico, è anche un atto di pazzia, la pazzia di chi crede che la conoscenza sia un bene, sia bella in sé, a chi crede che il successo non risieda solo nel numero degli ascoltator­i e delle risate a basso costo, ma anche nella lenta costruzion­e del senso e del sapere.

Il valore delle voci della cultura di Nelly Valsangiac­omo Cultura on demand di Tommaso Soldini

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ARCHIVIO TI-PRESS Voci critiche verso il progetto di trasformar­e Rete Due in un canale prevalente­mente musicale

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