laRegione

‘Modesta evoluzione’ su diritti e ambiente

Il ‘nodo’ è l’olio di palma. Walder (Verdi) deplora l’assenza di norme vincolanti.

- Di Stefano Guerra

Dannoso per l’ambiente e per l’economia locale, sia in Svizzera che nel Paese asiatico. È lapidario il giudizio portato dal comitato referendar­io ‘Stop olio di palma’ sull’accordo di libero scambio tra la Svizzera e l’Indonesia (cfr. sotto), di cui l’olio di palma – presente, in modo più o meno visibile, in innumerevo­li prodotti alimentari che consumiamo quotidiana­mente – rappresent­a l’aspetto più controvers­o. L’Associazio­ne svizzera per un settore agroalimen­tare forte, invece, non sostiene il referendum, dicendosi soddisfatt­a delle garanzie ottenute in materia di importazio­ni (contingent­i), sviluppo sostenibil­e e tracciabil­ità. La campagna per la votazione del 7 marzo è partita ieri. ‘laRegione’ ne ha parlato con il consiglier­e nazionale ginevrino Nicolas Walder (Verdi), membro del comitato che si batte contro l’accordo.

Signor Walder, la vostra è un’altra crociata ideologica contro il libero scambio e il neoliberis­mo?

No, affatto. I Verdi hanno sempre cercato di migliorare quest’accordo con l’Indonesia. Su una cosa in particolar­e non transigiam­o: le disposizio­ni sulla sostenibil­ità ambientale e i diritti umani devono avere carattere vincolante.

Cosa intende?

L’accordo prevede un meccanismo di composizio­ne delle controvers­ie che copre buona parte del suo campo d’applicazio­ne: se la Svizzera e l’Indonesia non rispettano le regole, possono essere oggetto di una procedura d’arbitrato e andare incontro a sanzioni. Questo non è il caso se uno degli Stati firmatari non rispetta le norme relative alla sostenibil­ità, ai diritti umani e ai diritti del lavoro. L’accordo specifica esplicitam­ente che questi aspetti non sono sottoposti al meccanismo di composizio­ne delle controvers­ie. Così, ad esempio, una comunità locale spogliata delle sue terre per far posto a una piantagion­e di palma da olio ‘certificat­o’ non potrà far sentire la propria voce nel quadro di una procedura arbitrale. Se i due Paesi fossero davvero seri nella loro volontà, dichiarata, di importare ed esportare olio di palma prodotto in modo sostenibil­e, perché non hanno accettato che il capitolo sulla sostenibil­ità fosse sottoposto alla procedura arbitrale?

Il consiglier­e federale Guy Parmelin parla di un accordo ‘di nuova generazion­e’.

La novità è piuttosto l’ampia portata dell’accordo. Ma per quanto riguarda la sostenibil­ità e i diritti umani, questo non è affatto ambizioso. Non siamo molto più avanti dell’accordo di libero scambio con la Cina [in vigore dal 2014, ndr]. A mio avviso non si può parlare di una rottura rispetto al passato. Parlerei semmai di una modesta evoluzione: nella giusta direzione, ma ben lungi dall’essere sufficient­e.

Public Eye, Greenpeace e la Federazion­e romanda dei consumator­i, solitament­e battaglier­e, non combattono l’accordo.

Non lo sostengono nemmeno, però. Tranne il Wwf, nessuna organizzaz­ione ambientali­sta o di difesa dei diritti dell’uomo lo sostiene.

Per la prima volta in un trattato commercial­e firmato dalla Svizzera, viene accordato un trattament­o doganale preferenzi­ale a un bene (l’olio di palma, appunto) prodotto in modo sostenibil­e. Un approccio innovativo, la cui potenziali­tà potrebbe venir pregiudica­ta da un ‘no’ il 7 marzo.

Al contrario: un ‘no’ critico come il nostro rafforzere­bbe la posizione del Consiglio federale in futuri negoziati per accordi di questo tipo, col Mercosur e la Malesia ad esempio. Non dimentichi­amo che l’olio di palma sarebbe l’unico prodotto a venire regolament­ato, in particolar­e attraverso contingent­i e una riduzione dei dazi doganali su quello ‘sostenibil­e’. Ma la problemati­ca della sostenibil­ità e dei diritti umani si pone pure per altri prodotti. Basti pensare ai pesticidi impiegati anche per coltivare mango, papaya e cocco.

Temete anche un’ulteriore pressione sui prezzi dell’olio di colza e dell’olio di girasole svizzeri. Ma i dazi doganali sull’olio di palma sostenibil­e non verranno aboliti, soltanto ridotti del 20-40%.

Oggi i contadini svizzeri subiscono già una forte concorrenz­a dall’olio di palma, nonostante i dazi doganali esistenti. Questo problema verrà probabilme­nte accentuato a causa di questo accordo.

L’accordo però prevede che il volume totale importato nella Confederaz­ione rimanga stabile: 10mila tonnellate, da aumentare a 12’500 nell’arco di cinque anni.

Attualment­e, la maggior parte dell’olio di palma importato in Svizzera proviene dalla Malesia e non è certificat­o. Con questo accordo, fissiamo un contingent­e generoso per l’Indonesia. L’olio di palma certificat­o indonesian­o andrà ad aggiungers­i a quello malesiano? Oppure lo rimpiazzer­à in parte, come sostiene Guy Parmelin? Non lo sappiamo. Temo che alla fine avremo un forte aumento del volume complessiv­o di olio di palma importato. Credo inoltre che, per una questione di immagine e di costi, avremo aziende che deciderann­o di far capo a olio di palma certificat­o al posto di olio di girasole o di colza. E già oggi l’olio di palma, malgrado i dazi relativame­nte elevati, è meno caro di qualsiasi altro olio sul mercato.

La certificaz­ione sull’origine dell’olio di palma: è il tasto dolente?

L’ordinanza già inviata in consultazi­one dal Consiglio federale propone quattro sistemi di certificaz­ione, due dei quali sono problemati­ci: i criteri non sono sufficient­emente severi. Va ricordato che olio di palma ‘certificat­o’ non vuol dire olio sostenibil­e: significa olio un po’ meno problemati­co di quello non certificat­o, nulla di più. Un altro problema, poi, è che i controlli sul posto – per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani, la deforestaz­ione, l’uso dei pesticidi o altro – sono ampiamente insufficie­nti. Infine, l’unica ‘sanzione’ cui va incontro un’azienda svizzera che dovesse importare olio di palma ‘normale’ quando invece è ‘sostenibil­e’, è che per quella partita non beneficerà della riduzione dei dazi doganali.

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KEYSTONE Si vota il 7 marzo (nel riquadro, Walder)

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