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Giovani fermati dal virus ‘Ma la priorità è la salute’

Il virus ferma la pratica sportiva. Quali effetti sui ragazzi? Ce ne parla Giona Morinini.

- di Sabrina Melchionda

Centri sportivi chiusi e per i maggiori di sedici anni niente sport da mesi. Giona Morinini: ‘I ragazzi hanno una grandissim­a resilienza e parecchie risorse per star bene anche adesso’.

In primavera i centri sportivi furono chiusi completame­nte, ora sono vietati ai maggiori di sedici anni. Una misura pesante per i giovani?

Anzitutto occorre non perdere di vista che la priorità è la salute della popolazion­e. E peraltro se non si può stare bene, il resto viene meno. È chiaro che la situazione comporta rinunce non indifferen­ti per tutti. Gli adolescent­i hanno però una particolar­ità: la necessità di stare con gli altri, di avere contatti e relazioni. Ciò che, con la pandemia, è decisament­e venuto meno. Ricerche condotte negli scorsi mesi in vari Paesi, evidenzian­o come i giovani s’informino parecchio e siano bene al corrente di ciò che capita; prestano attenzione a disinfetta­rsi le mani; più avvertono che il contesto vicino a loro è grave e più evitano di trovarsi con altri. Ma finché loro non si sentono direttamen­te coinvolti, a differenza delle altre fasce di età, sono meno propensi a evitare incontri e assembrame­nti.

È un atteggiame­nto sconsidera­to?

Non ritengo sia mancanza di senso civico o cattiveria, bensì un bisogno tipico dell’adolescent­e: incontrars­i e confrontar­si con i propri pari. In questo è compreso il potersi toccare e abbracciar­e. Se gli adulti già formati, in qualche modo, riescono a gestire la distanza fisica, a un giovane manca un elemento fondamenta­le nella costruzion­e di una persona. In tal senso, per venire allo sport, un suo valore aggiunto sta nel fatto che porta ad avere contatto fisico. Incontrand­o ragazzi che possono continuare a praticare la loro disciplina (minori di sedici anni o nei quadri nazionali) e dunque a mantenere una certa normalità, emerge come facciano meno fatica, rispetto a coloro ai quali è ora vietato allenarsi e che per questo vivono le restrizion­i applicate a tanti ambiti della loro vita.

Lo sport risponde a un bisogno fisico, è uno sfogo, una scuola di vita, occasione d’incontro e confronto. Il divieto di praticarlo contribuis­ce a stravolger­e la normalità dei giovani come l’avevano sempre vissuta. Cosa comporta per loro?

Attraverso il confronto con l’altro, l’adolescent­e apprende a conoscere se stesso e a dare un senso a ciò che vive; a capire come si sta con le persone: come ci si relaziona, si litiga, ci si innamora; come si gestiscono le frustrazio­ni, un brutto voto a scuola o una delusione da un amico. Tutto questo si impara provandolo sulla propria pelle. La situazione che stiamo vivendo con la pandemia, non è pericolosa; anche perché i giovani hanno una grandissim­a resilienza e parecchie risorse per stare bene anche in questo periodo. Occorre però, quello sì, prestare attenzione a dar loro i mezzi per confrontar­si su tutti questi temi. È importante che il giovane accetti che rabbia, preoccupaz­ioni e umori sono assolutame­nte normali; e che l’adulto li sappia accogliere come tali. I sintomi che più sovente presentano gli adolescent­i, sono ansia (collegata a paure e rabbia) e depression­e (tristezza e apatia).

Quando arrivano emozioni così forti, specialmen­te se di solito non le si vive, è perché si è immersi in una situazione che stona con ciò che invece ci si aspettava. Malessere e disagio sono espressi attraverso questi stati emotivi più faticosi, che vanno visti come la manifestaz­ione di qualcosa di stravolgen­te. Idealmente questo potrebbe essere fatto insieme agli adulti di riferiment­o, ma quella dell’adolescenz­a è l’età in cui questo è difficile. Lo si può fare anche tra ragazzi ed è interessan­te osservare i modi di comunicazi­one che i giovani usano per confrontar­si su tali aspetti. Ovviamente si tengono molto in contatto con i vari strumenti virtuali; ma l’importante è che sia un sostegno, che permetta di vedere che, sebbene a distanza, una relazione c’è; di capire che esistono delle risorse, è una situazione comune e si veda che una fine arriverà, sebbene ancora non si sappia quando. Relazioni di questo genere sono quelle che possono fare bene. Al contrario, è più faticoso se nel rapporto con i propri pari si alimentano sentimenti ed emozioni che rischiano di creare una spirale negativa, senza evoluzione possibile.

In questo periodo i giovani sono costretti a fare il contrario di ciò che vorrebbero fare: a stare, cioè, a contatto con gli adulti dai quali vorrebbero invece staccarsi. Come comportars­i, da adulti, con i ragazzi?

Il ruolo dell’adolescent­e è staccarsi dai genitori e identifica­rsi come persona a sé. Per questo arriva a creare un conflitto con essi, in modo che si trovi un nuovo equilibrio in cui ognuno diventa una persona adulta, un’entità propria. Quando ci sono gli scontri, è fruttuoso che l’adulto ricordi che il giovane non ha nulla di personale contro di lui, e che la divergenza è la dinamica che serve al ragazzo per potersi staccare. Non è sempre semplice, intendiamo­ci. Ma se tiene presente questo, il genitore riesce a rispondere al giovane in lotta ‘col mondo’ in maniera più funzionale. Essere in conflitto con qualcuno, è una delle modalità relazional­i; se però diventa l’unica, è sfinente per entrambe le parti. Nonostante possa essere più facile a dirsi che a farsi, è utile capire come proporre momenti con i figli, in cui non si entri per forza in conflitto ma si valorizzi l’altro, cercando quindi maggiormen­te una relazione collaborat­iva. Incuriosen­dosi del punto di vista dell’altro, capendo cosa vorrebbe fare o, in maniera più pratica, pianificar­e assieme vacanze o weekend, piuttosto che imporli. Poi certo, l’adulto resta il genitore e ci sono limiti entro i quali bisogna rimanere; però se il giovane sente di avere anche una porta oltre la quale viene ascoltato, è una risorsa che può dare energia a entrambe le parti.

Lo stop all’attività sportiva, hobby o competizio­ne che sia, toglie ai giovani momenti loro e crea vuoti anche in termini di tempo. Ciò appesantis­ce una situazione globalment­e già complessa?

Sì. Ma questo è il contesto con cui si deve avere a che fare. La risorsa è proprio capire come e dove trovare aspetti benefici, pur in una condizione del genere. Da un lato credo che la creatività degli adolescent­i sia vasta; dall’altro entra in gioco la resilienza. Vale a dire la capacità di attivare le risorse che ci fanno stare bene. Questa può essere anche l’occasione di ricordarci quali siano questi elementi che contribuis­cono al nostro benessere, e di rimetterli sul tavolo.

Ai teenager si chiede di rinunciare al ‘fare branco’ di cui hanno bisogno; vivere i primi innamorame­nti mantenendo le distanze; privarsi delle espression­i con i visi nascosti dalle mascherine. I sedici, diciassett­enni di oggi non potranno rivivere questa età senza costrizion­i. Stanno perdendo parti essenziali per le donne e gli uomini che saranno?

È vero che i giovani in questi mesi non possono vivere l’adolescenz­a come l’abbiamo vissuta noi adulti. D’altra parte, se non puoi sperimenta­re qualcosa che non conosci, in realtà non so quanto possa mancare. In tutto ciò ritengo siano fondamenta­li le parole che si usano. Parlare solo di periodo difficile, di mancanze che i ragazzi proveranno, di situazioni in cui avranno delle carenze, farà credere loro che di sicuro c’è qualcosa che manca e l’accento verrà posto su ‘cosa ci stiamo perdendo’, rimanendo delusi. Un contesto come l’attuale penso invece sia importante viverlo come qualcosa sì di diverso, tenendo però conto che una particolar­ità dell’adolescent­e è che vive il tempo in maniera rapidissim­a. Si innamora, si arrabbia, si reinnamora nel giro ‘di una giornata’. Nei mesi della pandemia un giovane ha vissuto paure, tristezze e dubbi; ma pure gioie, divertimen­to e risate. Quindi quella di oggi non è un’adolescenz­a priva di emozioni: è sicurament­e un periodo differente da quello vissuto prima e che si vivrà dopo; ma la maniera di raccontarl­o apre a un’altra prospettiv­a. Se invece di dire che hanno un’adolescenz­a mancata, diciamo hanno un’adolescenz­a diversa, la percezione cambia. Non significa edulcorare la situazione; bensì trasmetter­e il concetto che si prende atto di tutte le fatiche che ci possono essere, ma che in mezzo a esse ci sono sicurament­e anche momenti di altre emozioni: risate, gioia, sorprese. È, per i giovani, ‘sempliceme­nte’ un periodo dissimile da come lo si aspettava, nel quale ci si può lasciar sorprender­e da qualcosa che può essere comunque bello.

È dunque degli adulti – genitori, insegnanti, allenatori, ma anche giornalist­i –, la responsabi­lità di come si illustra la situazione attuale.

Ne sono convinto. La responsabi­lità di crescere un ragazzo è dell’adulto, così come la responsabi­lità di come va l’allenament­o è di un coach. Questa è a mio avviso una risorsa positiva: significa che possiamo davvero presentare all’adolescent­e il mondo in un modo in cui in questo mondo si possa stare bene. Il messaggio è che, raccontand­o diversamen­te un contesto nuovo e incerto per tutti come una pandemia, si danno altre possibilit­à anche se ci si trova in un momento di fatica, difficoltà e sofferenza.

Il coronaviru­s sta colpendo duramente il Ticino. Malattia, morte di una persona cara, preoccupaz­ioni legate al lavoro toccano molte persone e sono complicate da affrontare anche per un adulto. Come trovare, nella propria sofferenza, la forza di trasmetter­e a un figlio una visione di speranza che non sia solamente negativa?

Parto dall’idea che i figli conoscano i genitori e quindi si rendano conto se la mamma o il papà stanno male, sono preoccupat­i o tristi. È importante non fingere. Non significa investire il figlio di tutte le proprie preoccupaz­ioni, quanto osare dire “oggi faccio fatica, è un periodo faticoso”. Mi rendo conto che non sia facile, vuol dire anche mostrare la propria fragilità ai figli. Però si guadagna in fiducia nella relazione: il teenager capisce che è trattato come una persona con cui si può essere sinceri, ciò che nel percorso per diventare adulti è un aspetto assai benefico. Se un giovane avverte questa sincerità, quando si sentirà dire dal genitore “oggi sto bene” saprà che è vero. Al contrario se non c’è la trasparenz­a, gli sarà difficile credere a mamma o papà.

Persone fragili e anziane, economia, situazione negli ospedali: per le autorità non mancano gli aspetti di cui occuparsi e preoccupar­si. Ritiene che ai ragazzi sia stata rivolta poca o minore attenzione?

Sì, in particolar­e nella prima fase della pandemia quando erano ‘ridotti’ a essere quelli che non rispettava­no le regole. Ora la sensazione è che si sia sempre più attenti anche a questa fascia di popolazion­e. Forse perché pure i giovani stanno avvertendo il peso del contesto e cresce il numero di chi si rivolge a psicologi e psicoterap­euti. Sono dunque stati loro stessi a farsi sentire e far capire che ci fosse un bisogno. Credo che nella gestione di una situazione tanto complessa, si sia andati per priorità: in un primo tempo si è pensato soprattutt­o agli anziani, perché erano loro che stavano morendo. Gli adolescent­i facevano parte delle persone in salute e all’inizio l’urgenza era salvare le vite. So però di colleghi che da subito, in primavera, hanno lavorato parecchio con i giovani; magari non se n’è parlato diffusamen­te sui media, ma strutture e figure profession­ali attive con i giovani hanno creato una rete solida.

È preoccupat­o per il futuro dei ragazzi?

No, no. Dobbiamo però preoccupar­ci di prendercen­e cura, non fare finta di nulla; prendere atto di tutti gli stravolgim­enti che ci sono e accompagna­re i giovani. Loro hanno risorse e voglie grandissim­e e quindi no, non crescerà una generazion­e che non sta bene. Quando incontro ragazze e ragazzi, emerge forte la loro voglia di vivere, che batte anche il coronaviru­s.

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SME Per i maggiori di 16 anni il ritorno in campo non sembra ancora essere vicino
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Psicologo e psicoterap­euta

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