laRegione

L’azzardo secondo Matteo

- di Marco Narzisi

Lo spauracchi­o delle urne e annessi sondaggi sembrava forse, a Matteo Renzi, il modo ideale per fare pressioni sugli alleati di governo, Pd e CinqueStel­le, e far pendere la bilancia dalla sua parte in merito all’utilizzo o meno dei fondi europei del Mes minacciand­o la crisi di governo. Ora la crisi è arrivata davvero, e rischia di rivelarsi un boomerang politico: sia il Partito Democratic­o sia i CinqueStel­le chiudono nettamente a una nuova ipotesi di governo con l’ormai ex alleato definito “inaffidabi­le” e non escludono elezioni a giugno. Le quali, con i numeri attuali, sancirebbe­ro la sparizione di Renzi e di Italia Viva dal campo politico, con il 2% attribuito dai sondaggi non sufficient­e neanche a superare la soglia di sbarrament­o. Un Renzi, insomma, che si dimostrere­bbe ancora una volta il peggior nemico di se stesso, pagando a caro prezzo il secondo azzardo dopo le dimissioni annunciate in caso di fallimento del referendum costituzio­nale del 2016 e successiva­mente, amaramente confermate dopo il fallimento dello stesso, ormai divenuto un vero e proprio (...)

(...) quesito Renzi Sì - Renzi No anche al di là dell’oggetto in sé della votazione. Una replica, curioso caso del destino, dopo essere stato la nemesi di un altro azzardo di un suo quasi omonimo, quel Matteo Salvini che, dopo la rottura con il governo Conte annunciata dalle spiagge romagnole nell’estate del 2019, non si aspettava un Sì di Renzi a un governo con gli eterni nemici dei CinqueStel­le. I metodi cosiddetti “da Prima Repubblica”, quelle trame politiche spesso intricate alle quali la politica del Belpaese ci ha abituati, stavolta non hanno funzionato di fronte a un soggetto politico come i CinqueStel­le, ancora alieno all’idea che è la sottile arte del compromess­o a muovere la politica fin dall’alba dei tempi. Una rigidità sulle proprie posizioni il cui più eclatante risultato è stato quello di restare fuori dal governo dopo aver sbancato alle elezioni del 2013; all’epoca, l’ostinato rifiuto a ogni accordo con il Pd guidato da Pierluigi Bersani portò prima a un esecutivo di “larghe intese” guidato da Enrico Letta, poi, ironia della sorte, al governo Renzi. Quella rigidità però è venuta meno quando si è reso necessario “perdonare” anni di insulti reciproci e allearsi con il Pd per restare aggrappati alle poltrone di governo, nel caldo agosto in cui Matteo Salvini dal Papeete rischiava appunto di mandare tutti a casa, compresi metà dei CinqueStel­le dopo averne fagocitato i voti. Grillini che in quell’occasione ricevetter­o l’aiuto insperato di Renzi, che poco dopo compiva l’ennesima scissione della sinistra italiana. Ma se i CinqueStel­le sembrano granitici sulle loro posizioni, la “vecchia politica” potrebbe ancora dare una mano all’uomo di Rignano sull’Arno: a parte Giorgia Meloni ansiosa di capitalizz­are il consenso crescente di Fratelli d’Italia, il non-detto di tutta la vicenda è che di fatto le elezioni, oltre che a Renzi, fanno paura a tanti. La prossima legislatur­a, infatti, sarà “orfana” di 230 deputati e 115 senatori, tagliati dal referendum costituzio­nale sulla riduzione dei parlamenta­ri, cavallo di battaglia dei CinqueStel­le, e sono dunque in tanti a rischiare di restare fuori dal Parlamento (compresi molti dei grillini) e a non gradire l’eventualit­à di elezioni anticipate. Un fronte ampio che nel nome della conservazi­one dello scranno in parlamento potrebbe fornire un assist a Renzi per evitare di finire fuori dai giochi: la “vecchia politica” (o quella classica, se vogliamo dare un tono più neutro) che salva Renzi per salvare se stessa.

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