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Il Festival ri-guarda ad Alberto Lattuada

I direttori artistico e operativo parlano della retrospett­iva e delle prospettiv­e per il 2021

- di Ivo Silvestro

Alberto Lattuada: sarà l’eclettico regista con i suoi 40 anni di storia del cinema italiano il protagonis­ta della retrospett­iva di Locarno74. Il neodiretto­re artistico Giona Nazzaro presenta così il primo tassello del suo Locarno film festival, ma subito invita a non considerar­lo un manifesto: «Il cinema italiano è ovviamente un tema al quale tengo in modo particolar­e ma è anche molto amato dal pubblico di Locarno e la storia del festival è intrecciat­a con la storia del cinema italiano. Ma non vorrei che questa scelta venisse letta come un programma. Lattuada è un autore di portata internazio­nale, con una statura anche all’interno del cinema europeo. Se vogliamo indicare nella scelta di Lattuada un elemento programmat­ico, direi che è quello di andare nella direzione di un cinema popolare, colto, aperto al dialogo con il pubblico e mai populista».

Perché quindi Lattuada?

Lattuada lo abbiamo riscoperto grazie ad alcuni suoi film restaurati nella retrospett­iva Titanus. Quei film avevano suscitato una grande curiosità: tra il pubblico non italiano, soprattutt­o, ma anche tra quello italiano che si era trovato di fronte a un regista stranament­e dimenticat­o. La retrospett­iva Titanus è stata uno dei grandi successi del Festival di Locarno e quindi la scelta di Lattuada era in un certo senso “obbligata”.

Cosa lo contraddis­tingue?

Ha lavorato con tutti i più grandi attori italiani, ha attraversa­to la storia del cinema italiano dalle origini alla fine degli anni Ottanta, è stato il fondatore della Cineteca italiana di Milano, un intellettu­ale di spessore, un attento lettore di classici, russi in particolar­e, con uno sguardo molto americano. Uno dei più grandi modernisti del cinema italiano, sempre controcorr­ente, sempre critico e innovativo. Uno dei grandi autori che non si sono mai ripetuti: è molto difficile trovare nel cinema di Lattuada quei manierismi che ogni grande autore dopo un po’ infila nei suoi film in maniera quasi automatica. È stato uno dei registi italiani più innovativi di sempre.

L’elenco delle sue opere lascia in effetti a bocca aperta.

È regista di film importanti­ssimi come ‘Senza pietà’, ‘Il mulino del Po’, ‘Il cappotto’, ‘Il delitto di Giovanni Episcopo’. È il regista di film che se fossero stati realizzati da cineasti non italiani sarebbero stati accolti come epocali, come ‘Dolci inganni’ e ‘Guendalina’. Ha realizzato alcune delle cosiddette commedie all’italiana più importanti di sempre, penso a ‘Mafioso’, a ‘Don Giovanni in Sicilia’. Ha realizzato un film clamoroso e imprendibi­le come ‘Venga a prendere il caffè da noi’ con un Ugo Tognazzi in stato di grazia. Ha diretto Renato Pozzetto in quello che è probabilme­nte il suo miglior film: ‘Oh, Serafina!’. Ha diretto una cosa assolutame­nte innovativa come ‘Cuore di cane’, un melodramma epocale come ‘Anna’ con Silvana Mangano. Film che all’epoca ebbero un enorme successo e, come purtroppo capita, il successo di pubblico diventa uno stigma.

Guardando oltre la retrospett­iva, Cannes e Berlino hanno posticipat­o le proprie edizioni. Questo crea problemi a Locarno?

Io non parlerei di ripercussi­oni: lo svolgiment­o di festival come Cannes è una buona notizia per tutta l’industria del cinema in Europa e nel mondo. Ovviamente si crea un ravvicinam­ento, ma non vedo particolar­i criticità. Il problema che vedo è un altro: riflettere, in questi tempi di pandemia, cosa fare con la cultura, come supportare la cultura. Perché, e mi perdoni se suono un po’ retorico, senza una cultura forte, vigile, diversific­ata, democratic­a non si va molto lontano. operativo Raphaël Brunschwig. Su quali restrizion­i state ragionando? «Non sappiamo quale sarà la situazione il prossimo agosto, ma abbiamo bisogno di alcuni punti di riferiment­o per muoverci. Stiamo quindi lavorando sulla base delle limitazion­i in vigore dal primo ottobre, quando era caduto il limite delle mille persone; quindi più di mille persone, distanziam­ento sociale, mascherina negli spazi chiusi e in fila, sanificazi­one».

Con delle limitazion­i simili sarà possibile tornare in Piazza Grande, grande assente dell’edizione 2020: un ritorno importante anche perché, ci ricorda Brunschwig, «sarà il cinquantes­imo anniversar­io delle proiezioni in piazza». Anche qui, non avendo certezze sul tipo di limitazion­i – capienza dimezzata? pubblico diviso in settori da 300 persone? – si ragiona su più ipotesi. Un punto fermo comunque c’è: «La pandemia ci costringer­à a rinunciare a una delle caratteris­tiche del festival e della piazza: la libera scelta del posto». La prenotazio­ne obbligator­ia del posto è quindi certa. Incertezza, per contro, sugli ospiti internazio­nali: «Un conto è la situazione in Svizzera, un altro la situazione fuori, per quanto come si è visto con i festival di Zurigo e di Venezia, invitare qualcuno per motivi profession­ali è possibile anche se più complicato».

Questo, con tutte le variabili del caso, il primo scenario: un festival in presenza seppur con alcune limitazion­i. C’è poi il secondo scenario «che consideria­mo meno probabile, ma al quale dobbiamo comunque pensare per essere pronti». Un festival ibrido come quello del 2020? «In realtà – risponde Brunschwig – entrambi gli scenari sono ibridi perché il futuro di eventi come il festival è quello e noi ci stiamo preparando tra l’altro anche con la cattedra istituita con l’Università della Svizzera italiana, per la quale dovremmo giungere a una nomina entro l’estate. Ma se il primo scenario ha al centro gli eventi in presenza, il secondo prevede invece un’esperienza fisica molto limitata».

I giochi sono al momento ancora aperti, ma a un certo punto si dovrà prendere una decisione: «Il limite temporale per noi è fine aprile-inizio maggio. Dopo, i costi di un annullamen­to creerebber­o un deficit impossibil­e da gestire». A proposito, quali sono gli aspetti finanziari dei due scenari? «Nel primo caso, stimando un pubblico dimezzato, parliamo di una riduzione del budget di circa un milione e mezzo: 13 milioni, invece dei 14,5 che avremmo se fosse un anno “normale”. Dovremmo rivedere alcune spese, anche per i costi in più per i dispositiv­i di sicurezza». E per il secondo scenario? «La situazione è molto incerta: l’anno scorso i partner sono stati molto comprensiv­i e generosi, quest’anno l’ipotetica rinegoziaz­ione degli accordi sarà certamente più difficile».

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Il cineasta Alberto Lattuada nel 1957

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