‘Una solitudine troppo rumorosa’
Nel XXI secolo la musica classica non è più occidentale, ancor meno europea, e sulla scena meritano attenzione almeno altrettante compositrici che compositori. Se rifletto sull’oriente nella musica del nostro tempo, penso anzitutto alla compositrice sudcoreana Unsuk Chin (classe 1961) che vive e lavora a Berlino. Tanto che mi è sembrato un po’ retrò il programma presentato domenica all’Auditorium Stelio Molo, che ha goduto della diretta di Rete Due, ma purtroppo non dello streaming.
Un oriente immaginario era il tema conduttore del concerto e anche il titolo del brano di apertura, “Tre studi per piccola orchestra” di Gian Francesco Malipiero (1882-1973), rappresentante autorevole di quella generazione dell’Ottanta che affrontò l’impopolarità tentando di togliere la musica italiana dagli eccessi del melodramma e accostarla all’evoluzione della musica sinfonica tedesca. Comunque gli Studi di Malipiero, del 1920, sono di una melodiosità che tiene le distanze dalla rivoluzione armonica scatenata intanto dalla Seconda Scuola di Vienna.
È del 1922 la suite per 14 strumenti e soprano “Die chinesische Flöte” die Ernst Toch (1887-1964) con testi poetici tradotti in tedesco da lingue cinesi antiche. Nonostante mi fossi preparato con esecuzioni scovate in internet, mi è sembrato l’ascolto più difficile del programma. Ho letto che Toch, ebreo costretto a lasciare la Germania all’avvento del nazismo, si è autodefinito “il compositore dimenticato del XX secolo”. Il giapponese Töru Takemitsu (1930-1996) si è acquistato fama in occidente grazie al suo amore per la musica francese di Debussy, di Messiaen, poi anche di Boulez. “Rain Coming”, terzo brano del programma, è del 1982.
L’avevo visto e ascoltato, in una registrazione recente di 14 strumentisti dell’Ensemble Intercontemporain: è una musica ben costruita, con colori timbrici gradevoli, per l’ascoltatore un momento di relax.
Claude Vivier (1948-1983) è un compositore canadese, morto tragicamente a Parigi, che nella sua breve vita ha visitato più volte l’oriente. “Bouchara” per soprano e gruppo di strumenti si serve di un testo scritto su una lingua immaginaria, piuttosto una successione di fonemi colorati. È una composizione del 1981, ma mi sembra collocabile in un altro tempo. Ha chiuso il concerto di domenica, con un’enfasi liturgica che mi sembrava risuonasse nella navata di una cattedrale gotica.
Non ho tra i miei dischi le quattro opere ascoltate domenica su Rete Due, ma le ho trovate facilmente in internet. Nonostante i limiti di un ascolto radiofonico, mi sento perciò di poter fare ogni elogio al direttore Francesco Bossaglia, a tutti gli strumentisti dell’Ensemble 900 (quanti erano?), alla soprano Nicoletta Zappa, interprete di Toch, alla soprano Minji Kim, interprete di Vivier.
Ma questa non può essere che una recensione monca: i rapporti dinamici fra gli strumentisti, fra l’Ensemble e le soliste non erano quelli realmente costruiti nello spazio sonoro della sala, ma quelli filtrati con i microfoni dai tecnici della radio.
Provo a porvi rimedio con un consiglio per una lettura, forse per una rilettura: “Una solitudine troppo rumorosa”, il capolavoro di Bohumil Hrabal, la storia di un dotto suo malgrado, un uomo che in condizioni miserabili riesce a distillare scaglie di arte, di cultura e a salvare moralmente se stesso.
Pensiamo tutti che dopo questa pandemia qualcosa non sarà più come prima. Con un po’ di ottimismo immaginiamo le sale da concerto non più luoghi d’incontri mondani, ma di puro ascolto. Senza mescite nell’atrio, con posti a sedere lontani, dove non sia più possibile chiedere come sta la famiglia, raccontare degli ultimi acquisti o delle prossime vacanze.