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Rileggere oggi Salvatore Quasimodo

- Di Maurizio Cucchi

Rileggere oggi la poesia di Salvatore Quasimodo è necessario per ritrovarne i caratteri e il valore dopo i tempi, non privi di polemiche, seguiti al conferimen­to del premio Nobel. Era il 1959 e quel riconoscim­ento, se da un lato veniva a imporre l’autore nel panorama internazio­nale, dall’altro metteva in moto critiche spesso anche eccessive. Oggi la sua opera riappare con il volume di ‘Tutte le poesie’ negli Oscar Baobab Mondadori (p.620, € 26), curato da Carlangelo Mauro, con una importante appendice di poesie disperse e giovanili, con apparati e commenti, e con prefazione di Gilberto Finzi, e si ha così modo di riappropri­arsi di un poeta di innegabile importanza nel panorama del Novecento. Un dato evidentiss­imo riemerge subito, perfettame­nte intatto pur essendo passati decenni (e per i primi versi più di un secolo) da quando furono scritti, ed è l’eleganza della pronuncia, la raffinata musica dei suoi versi, particolar­mente vitale nelle opere che precedette­ro la guerra e in ogni caso presente anche nella successiva fase dell’impegno civile.

La forza limpida e suggestiva

della sua parola

Insomma, questo poeta nato in Sicilia, a Modica, nel 1901, e poi approdato a Milano (dove morì nel 1968) dopo essere vissuto in varie altre città, ci arriva con l’immutato incanto della sua voce, del suo naturale senso per la parola, ancora più importante oggi, in un tempo, cioè, in cui la nostra lingua è quasi massacrata dal cattivo uso quotidiano. E percorrere di nuovo i versi di Quasimodo è quasi sempre un piacere, per la forza insieme limpida e suggestiva della sua parola. In questo discorso, naturalmen­te, rientrano le splendide traduzioni dei ‘Lirici greci’, apprezzati­ssime anche dai detrattori. Nelle traduzioni si rivede in pieno la naturale virtù del poeta, il dono presente nella sua scrittura, da consigliar­e oggi a molti autori, in versi e in prosa, che nei loro impasti cacofonici sembrano talvolta come afflitti da forme di semisordit­à… Come scriveva Contini, Quasimodo “ambiva a trasferirs­i in una materia verbale incorrutti­bile, lapidea, lucidissim­a”. E in questo agivano varie sue linee tematiche, come il rapporto con la natura e con la terra, il mito dell’infanzia e della cultura greca, la spinta verso l’infinito, sensualità e desiderio di purezza. Il tutto espresso in quella che Finzi definisce “una religione della parola”, con le indimentic­abili uscite, che costellano, ‘Ed è subito sera’ la sua più celebre raccolta riassuntiv­a. Ma l’incanto dei suoi versi si manifesta anche in visioni di impronta più materiale e opacizzata: “Fitta di bianche e di nere radici / di lievito odora e lombrichi / tagliata dall’acque la terra”. Il tono di Quasimodo riappare comunque, benché incupito, anche in testi del dopoguerra, come, nella raccolta ‘Giorno dopo giorno’, quello che inizia così: ”Questo silenzio fermo nelle strade, / questo vento indolente, che ora scivola / basso tra le foglie morte o risale / ai colori delle insegne straniere… / forse l’ansia di dirti una parola / prima che si richiuda ancora il cielo”. E anche qui il suono della sua poesia resta impeccabil­e.

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Una religione della parola

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