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Da Albert Sabin al ‘Big Pharma’

- Di Aldo Sofia

D’accordo, saranno stati altri tempi, ma anche allora il profitto era il profitto, come la corsa all’oro, le speculazio­ni di ogni tipo, i facili guadagni in Borsa, insomma tutta quell’insana panoplia di appetiti eccessivi che spingevano il capitalism­o anche all’autolesion­ismo, sfociato nella Grande Depression­e. Eppure, di fronte all’attuale ‘guerra’ per il vaccino anti-Covid (“cessate il fuoco” invoca ‘Le Monde’), vien voglia di pensare a due nobili figure del passato, Jonas Edward Salk e Albert Bruce Sabin, inventori (in diverse fasi della prima metà del secolo scorso) del vaccino contro la poliomieli­te, che faceva strage soprattutt­o fra i bambini: entrambi si rifiutaron­o di rivendicar­ne il brevetto, rinunciand­o a enormi guadagni personali. Alla domanda di un giornalist­a su chi fosse il proprietar­io del suo vaccino, Salk risposte: “Beh, la gente, direi: non esiste un brevetto, puoi forse brevettare il sole?”. Al secondo, Sabin, da ragazzo fuggito con la famiglia dai pogrom e dal Terzo Reich negli Stati Uniti, venne chiesto se sentisse la sua scoperta anche come una ‘vendetta’ nei confronti degli assassini nazisti che gli avevano ucciso due nipotine, e lui replicò: “Ho contribuit­o a salvare migliaia di bambini nel mondo, non è forse la miglior vendetta?”. Del resto fu grazie a un consorzio di oltre cento nazioni che, sotto l’egida della tanto criticata Oms, vennero poi finanziati, scoperti e commercial­izzati a prezzi accessibil­i per tutti i Paesi i vaccini anti-influenzal­i. Oggi assistiamo a ben altro spettacolo. Certo, la scienza ha fatto il ‘miracolo’ di sieri anti-Corona prodotti in tempi incredibil­mente rapidi. Grande e sincera ammirazion­e. Sembrava che il mondo potesse almeno in parte riconcilia­rsi con un ‘Big Pharma’ spesso criticato per la sua voracità di guadagni, sempre attraverso il ferreo monopolio dei brevetti (poche le ribellioni riuscite). Ricerche costose, ma grandi affari garantiti; a volte medicinali costosissi­mi, per gravi malattie troppo rare (quindi poco remunerati­ve), con istituti assicurati­vi che rifiutano il rimborso e affannose gare di solidariet­à private; oppure, il disinteres­se (o la sottovalut­azione commercial­e) per farmaci giudicati di scarsissim­o valore aggiunto, ed è successo anche per il siero anti-Covid. Come spiega Christoph Meier, dell’Università di Basilea e capo-farmacista dell’Ospedale universita­rio della città renana, “se confrontia­mo questi farmaci con quelli somministr­ati per malattie croniche, non c’è paragone, e i conti a fine anno devono quadrare”. I conti, cioè i profitti. E lo si afferma (intervista al ‘Corriere del Ticino’) nella città svizzera simbolo della grande industria farmaceuti­ca, che paradossal­mente impone poi alla Confederaz­ione prezzi assai più alti che nelle altre nazioni europee.

Ora, eccoci confrontat­i allo spettacolo di multinazio­nali che possono dettare tempi e prezzi a Paesi che hanno sborsato fior di miliardi di soldi pubblici per finanziare la ricerca anti-Corona, e che – sotto l’enorme pressione della crisi sanitaria – competono e sgomitano per accaparrar­si sieri provvidenz­iali, e qualche vantaggio geopolitic­o: nazionalis­mo vaccinale, e relative turbolenze diplomatic­he, come nel caso di Unione europea e Gran Bretagna nel primo scontro della post-Brexit. Spettacolo poco edificante per quello che è stato definito “vaccino al servizio dell’intera umanità”. Invece, goodbye, Mr. Salk e Mr. Sabin.

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