laRegione

La lunga clausura di chi è autistico

Secondo lockdown e prolungars­i delle restrizion­i mettono a dura prova intere famiglie

- Di Lorenzo Erroi

«Il secondo lockdown è più difficile del primo: per Stefano sono saltate tutte le piccole abitudini alle quali tiene di più, come il caffè al bar, e non riuscendo a portare la mascherina non può neppure accompagna­rmi a fare la spesa. Le crisi sono aumentate». Stefano è un uomo autistico di 49 anni e a parlarcene è sua sorella Manuela Corti Chiesa, che se ne occupa tutto il giorno insieme a suo marito, alla sua famiglia e a un’assistente: l’avevamo sentita ad aprile per capire come stesse andando la prima clausura (laRegione del 3.4.2020), ora siamo tornati per fare il punto su una situazione sempre più estenuante. Perché l’ultimo anno ha sconvolto qualsiasi routine, ogni ritualità spicciola così importante per la stabilità di molte persone autistiche.

«La condizione di Stefano è peggiorata, gli eccessi di ansia e angoscia si sono fatti più frequenti. Confinamen­to in casa, riduzione delle possibilit­à di svago e di socializza­zione: ci siamo dovuti reinventar­e e diventare terapisti. Per fortuna siamo seguiti da un ottimo psichiatra». Le giornate di Manuela «spesso sono di 24 ore o anche di più. Quella che in primavera sembrava una bolla destinata a scoppiare è diventata una situazione che continua a trascinars­i». Ci si è messo anche il contagio: «Mia madre è stata molto male ed è stata ricoverata, Stefano ha preso il virus ed è dovuto restare in quarantena. Due settimane chiusi in casa, con lui che non parla e non ti fa capire se e dove ha male. Ho chiesto al Cantone un’autorizzaz­ione per poter almeno uscire un po’ in auto quando è guarito, ma è da novembre che attendo risposta». Ecco, in generale «ci siamo sentiti soli, un po’ dimenticat­i non dalle associazio­ni che aiutano i disabili – sopraffatt­e anche loro dalle difficoltà dell’emergenza – quanto dalle autorità, che forse in estate avrebbero potuto prevedere protocolli più efficaci. Aiuterebbe moltissimo se qualcuno ci chiedesse anche solo come va, di cosa abbiamo bisogno». Ma Manuela vede anche il bicchiere mezzo pieno: «Quest’anno ci ha legati ancora di più, con Stefano ho imparato a parlare rimanendo in silenzio. Vedo che percepisce che noi ci siamo, e poi ci sono i momenti belli: come quando mi abbraccia forte dopo una giornata no».

Che poi la situazione resti delicata ce lo conferma anche Patrizia Berger, presidente dell’associazio­ne Autismo Svizzera italiana (Asi) e madre di Sara: “Ci siamo dovuti reinventar­e la vita. Sono aumentate di molto le paure, l’ansia, la diffidenza. È faticoso cercare di rassicurar­e mia figlia quando io stessa vivo queste emozioni». Per Patrizia «la seconda ondata invernale ha esacerbato il sentimento di isolamento, la fatica di vivere rinchiusi, senza poter frequentar­e altre persone. Per mantenere i rapporti e le attività ci siamo inventati gli incontri Skype domenicali: cantiamo insieme, per ritrovare momenti di allegria».

Poi, «per non perdere le abilità acquisite negli anni con tanta fatica, con Sara abbiamo cercato di mantenere un’agenda giornalier­a con ritmi e attività che potessero rassicurar­la e permetterl­e di socializza­re, di non vedere sempre e solo me, data la chiusura e apertura a singhiozzo dei centri diurni. Un toccasana sono i corsi di chitarra online, le videochiam­ate – persino con il terapeuta quando non era possibile incontrarc­i in presenza –, le attività di cucina con un’assistente di cura, il corso di yoga alla television­e, le passeggiat­e…». È stato fondamenta­le anche «rafforzare i legami con le altre famiglie che vivono la stessa condizione per non sentirsi persi e per darci una mano a vicenda». Anche per Patrizia «ci sono stati momenti di gioia, un vero dono, quali la festa per i 40 anni di Sara», effettuata pur con tutte le restrizion­i imposte dal coronaviru­s, e poi le vacanze Asi a San Bernardino, «mai così frequentat­e e apprezzate». Di più: «Proprio questo periodo ci ha dimostrato l’urgenza di dar vita alla fondazione ‘Oltre noi’, alla quale stavamo lavorando da anni, per accompagna­re e sostenere i familiari confrontat­i con la preoccupaz­ione dell’invecchiam­ento e del ‘dopo di noi’, ma anche per assistere gli orfani e le persone che vivono una condizione di solitudine affettiva». Grazie a volontari e collaborat­ori di Asi «abbiamo potuto offrire conforto e accompagna­mento in alcune situazioni di crisi anche a persone ricoverate, collaboran­do con i curanti affinché potessero ritrovare le loro routine, mantenere l’autonomia acquisita e beneficiar­e di momenti di normalità con persone conosciute». A volte basta poco: «Una passeggiat­a, una merenda, un gioco, un momento di ascolto». Per chi infine ha figli autistici ancora piccoli, un grande aiuto è venuto dal ritorno in aula: «Ci ha salvato la scuola, te lo dico sinceramen­te», commenta ridendo Samanta Ierace, che ad aprile si era trovata a dover gestire a casa gli studi e le terapie del figlio Alessandro, 8 anni. «Quelli del primo lockdown sono stati mesi tostissimi, e anche alla riapertura Alessandro ci ha messo un po’ a riadeguars­i a tutti i ritmi delle lezioni, a recuperare i progressi fatti con la logopedia e l’ergoterapi­a. Ma adesso è tutto tornato più regolare, e anche lui ha potuto riprendere la sua vita e le sue abitudini». Ogni persona è fatta a modo suo, ogni situazione è diversa. Ma forse una sintesi la si trova sul diario di Sara, quando scrive: “Temo che tutto può diventare invisibile, che non riesco a stare calma e sentirmi sicura”. Ma aggiunge: “Il mio cuore ha registrato la parola: non avere paura”.

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M.C.C. Manuela e suo fratello Stefano
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(P.B.) Sara

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