Vaccinazioni, tocca agli over 75
Il pot-pourri e la giusta dieta
Chi non prova disagio al cospetto di una donna col velo integrale? A chi in quel momento non balena l’immagine di una Svizzera ‘islamizzata’? Dall’episodio al presunto fenomeno il passo è breve. Velo integrale o no, minareti, jihadisti, moschee finanziate dall’estero, strette di mano negate da allievi musulmani alle loro docenti: tutto allora finisce in un unico calderone. Un pot-pourri.
Il gran rimestatore si chiama Comitato di Egerkingen. Dopo i minareti (2009), questo manipolo di politici dell’Udc e dell’Unione democratica federale (c’è anche l’ex consigliere nazionale Ulrich Schlüer, già segretario di un certo James Schwarzenbach: ricordate, le iniziative contro l’‘inforestierimento’?) tenta il bis. Nel 2015 annunciò il lancio dell’iniziativa detta ‘anti-burqa’ scrivendo che “strutture parallele che si basano sulla sharia non devono avere spazio in Svizzera”. L’anno seguente suoi figuranti si fecero immortalare sulla Piazza federale con pastrani neri addosso, sotto i quali spuntavano finte cinture esplosive. Oggi a trainare il carro del ‘sì’ è anche il consigliere nazionale vallesano Jean-Luc Addor (Udc), condannato nel 2020 dal Tribunale federale per discriminazione razziale. Le donne col niqab? Già viste, sui cartelloni per il ‘no’ alla naturalizzazione agevolata degli stranieri di terza generazione.
Sì: quest’iniziativa (lanciata poco prima delle ‘federali’ 2015) è strumentale, pretestuosa (punta il dito contro il burqa per screditare l’islam), ‘fuori scala’ (una norma costituzionale per due dozzine di donne col niqab?). Ma solleva questioni finora “bagatellizzate” anche da “coloro che si dicono progressisti” (Etienne Piguet, vicepresidente della Commissione federale della migrazione). Come quella del ruolo delle donne musulmane in società pluraliste e secolarizzate. “Non possiamo negare che abbiamo problemi con l’uguaglianza dei sessi nell’Islam. L’iniziativa ci provoca. Ma questo non significa che oggi dobbiamo difendere il burqa”, dice l’imam di Berna Mustafa Memeti, già ‘Svizzero dell’anno’ per il suo impegno a favore della pacifica convivenza.
In realtà nessuno difende burqa e niqab. Non lo fa la stragrande maggioranza dei musulmani (Memeti: “Niente a che vedere con la nostra religione”); né le femministe contrarie al divieto, che si battono per “l’autodeterminazione” delle donne, nella fattispecie di quelle poche convertite che avrebbero scelto (così è, a quanto pare) di andare in giro velate da capo a piedi. E tantomeno lo fanno coloro (alcune femministe, anche di sinistra, ma pure Addor & co., pronti ora a riempirsi la bocca di parole come “civilizzazione” e “dignità della donna”) che vorrebbero liberarle con la forza di un divieto dalle loro ‘prigioni’, vestimentarie e non. Buone intenzioni, in tutti i casi. Ma in un senso (laissez-faire) come in un altro (proibizione), i rischi – per le donne interessate, per la società intera – sono dietro l’angolo.
La convivenza civile passa anche dal guardarsi in faccia, giusto ricordarlo. Ma già oggi è reato forzare qualcuno a dissimulare il proprio viso. E si può negare il passaporto o revocare il permesso di soggiorno a chi dimostra di non essersi integrato, ad esempio indossando il niqab. Maggior rigore a questo livello serve “sicuramente di più contro l’islamizzazione [sic, ndr] che non un simbolico divieto del burqa nella Costituzione” (‘Die Weltwoche’). Con il controprogetto del Consiglio federale, l’uguaglianza tra uomo e donna in questo Paese non farà chissà quale passo avanti. Ma è pur sempre meglio di niente. Quanto al divieto del niqab, un giorno se ne potrà riparlare. Casomai.
La macchina organizzativa è ormai rodata. La scarsità dei vaccini non ha però permesso di mantenere il ritmo di dosi inoculate immaginato dalle autorità sanitarie all’inizio della campagna, ma ora è stato dato un tempo certo per immunizzare tutte le persone che lo vorranno: entro la fine di luglio dovrebbe quindi concludersi il quarto punto – ‘vaccinare’ – della strategia cantonale anticoronavirus. I primi tre punti, ancora attuali, sono ‘limitare’, ‘testare’ e ‘proteggere’. La prima fase, che ha riguardato 10mila persone residenti nelle case per anziani, è conclusa. È ora in corso la seconda fase che dovrebbe terminare entro la fine di marzo e che riguarda gli over 80 (24mila persone, con una media di 600 vaccinazioni al giorno). Contemporaneamente sono state aperte le liste di prenotazione per gli over 75 anni compiuti o più. Si tratta di circa 17mila persone residenti che riceveranno informazioni dettagliate via lettera direttamente dall’Ufficio del medico cantonale. Le possibilità di accesso al vaccino per questa fascia della popolazione rimangono le due già conosciute: il centro di vaccinazione cantonale oppure la vaccinazione di prossimità organizzata dai Comuni.
Quattro centri dedicati
Il centro cantonale dedicato a questa fase è stato allestito presso il Mercato coperto di Giubiasco e inizierà a vaccinare a partire da mercoledì 3 marzo. Seguiranno i centri di Lugano (Conza), Locarno (Fevi), e Mendrisio (Mercato coperto).
Chi ha 75 anni o più e vuole optare per questa modalità può iscriversi da subito al sito La procedura guidata permette di prendere posto sulla lista d’attesa; l’avvenuta iscrizione viene confermata via Sms. Man mano che saranno disponibili i vaccini, il sistema provvederà settimanalmente a fissare gli appuntamenti degli iscritti, sempre con comunicazione via Sms. Quando il sistema assegna l’appuntamento, la persona viene informata dello stesso sia per la prima dose, sia per la seconda. Globalmente, dal 3 marzo al 4 aprile a Giubiasco ci saranno 10mila posti a disposizione. Al momento in cui la lista d’attesa raggiungerà le 10mila iscrizioni verrà sospesa. Tutti coloro che risultano annunciati sulla piattaforma web dovranno quindi attendere il proprio turno, che potrà arrivare fino a quattro settimane dopo l’iscrizione. È sempre possibile chiamare il numero verde 0800 128 128 per avere supporto in caso di problemi tecnici durante la procedura di registrazione.
Per chi non può o non intende recarsi a Giubiasco e preferisce attendere la possibilità di vaccinarsi nel proprio comprensorio sarà possibile annunciarsi al proprio Comune, ma solo a partire da lunedì 8 marzo. La vaccinazione di prossimità verrà poi organizzata dalla metà di marzo in avanti, grazie alla collaborazione dei medici del territorio, secondo le modalità già adottate per la vaccinazione delle persone over 80.
«Il Ticino ha messo in campo un’organizzazione flessibile e capillare in ogni fase. La velocità della ‘macchina’ dipende dalle dosi a disposizione e non dalla nostra volontà», ha sottolineato durante la conferenza stampa il consigliere di Stato Norman Gobbi, presidente del governo, il quale ha ricordato che la campagna di vaccinazione «prosegue seguendo le priorità di accesso definite dalla Confederazione». L’invito alla cittadinanza è sempre quello di portare pazienza e di «rimanere vigili e prudenti». «Vediamo il traguardo all’orizzonte, ma non sappiamo ancora quanto vicino sia», ha aggiunto. Il consigliere di Stato Raffaele De Rosa, responsabile del Dipartimento della sanità e della socialità, ha invece ricordato che la campagna di vaccinazione continua con i vaccini di Pfizer e Moderna che si stanno dimostrando «ben tollerati». La fornitura della Confederazione è pari a 12’800 dosi (8’900 di Moderna e 3’900 di Pfizer). «L’efficacia è buona», ha continuato De Rosa. «Nelle case per anziani il numero di positivi al coronavirus è letteralmente crollato e questo lascia aperta la possibilità di ulteriori allentamenti per quanto riguarda le visite», ha spiegato ancora De Rosa che ha anticipato che entro la fine di febbraio l’Ufficio del medico cantonale emanerà direttive in tal senso.
Le fasi della campagna di vaccinazione successive, condizionate dalla disponibilità dei vaccini, coinvolgeranno sempre più persone: 25mila, da marzo a maggio, affette da malattie croniche; poi gli over 65 (35mila) da aprile a metà giugno; il personale sanitario (12mila) da maggio a giugno e infine tutta la popolazione adulta over 16 (160mila) da fine maggio a fine luglio.
«L’obiettivo prioritario è quello di evitare i morti», spiega il farmacista cantonale Giovan Maria Zanini. «La fascia più a rischio è quella degli over 65 anni e ci sono ancora 4’400 persone over 80 nelle liste di attesa dei Comuni», continua il dottor Zanini che chiarisce che le conseguenze delle riduzioni di forniture per il Canton Ticino «ammontano a circa 18mila vaccinazioni di differenza fra quelle previste e quelle effettuate». Nelle ultime settimane sono state effettuate solo duemila vaccinazioni a nuove persone, perché sono state utilizzate le dosi per la seconda iniezione. Quindi sono state vaccinate 16mila persone in meno, che hanno dovuto attendere e che ora legittimamente hanno la priorità su tutti gli altri.
Per quanto riguarda le persone più giovani ma a rischio, si sta progressivamente procedendo alle vaccinazioni: «È stata offerta la disponibilità a persone in attesa di trapianto, e si sta dando il vaccino anche ai malati oncologici e in generale a chi rischia maggiormente dal punto di vista dei decessi. A partire dalla seconda metà di marzo potranno essere considerate altre categorie», ha spiegato ancora il farmacista cantonale. Che il preparato di AstraZeneca (utilizzato in Gran Bretagna, ndr) non sia ancora omologato, per il farmacista cantonale è «una buona notizia». «Protegge solo al 60%, quindi per le persone a rischio è preferibile usare i vaccini di Pfizer e Moderna, più efficaci».