Referendum obbligatorio? Il verdetto ai cittadini
Referendum finanziario obbligatorio, sì alla versione light. Morisoli non ritira l’iniziativa.
Sarà il popolo a decidere se dovrà avere l’ultima parola su spese e investimenti sopra un dato importo. Alle urne sia il controprogetto approvato ieri sia l’iniziativa Morisoli.
Iniziativa secca e controprogetto. Sul referendum finanziario obbligatorio il popolo ticinese sarà chiamato a esprimersi sia sul testo originario, che chiede di sottoporre al voto popolare ogni decisione parlamentare che comporta una spesa unica superiore a 20 milioni di franchi o una spesa annua pari a 5 milioni per almeno quattro anni, ma anche sul controprogetto. Quello uscito dalla commissione parlamentare ‘Costituzione e leggi’ e inserito nel rapporto redatto dalla democentrista Lara Filippini: immediatamente dopo il voto finale su una spesa unica di 30 milioni di franchi, o una spesa annua superiore a 6 milioni per quattro anni, il Gran Consiglio, attraverso la decisione di un terzo dei presenti e con il sì di minimo 25 parlamentari, vota la referendabilità della spesa. Secca o corretta, la proposta insomma resta in piedi. Perché con 42 favorevoli e 38 contrari il parlamento ha dato via libera al rapporto di Filippini. E perché, soprattutto, il capogruppo dell’Udc Sergio Morisoli non ha alcuna intenzione di ritirare l’iniziativa popolare, depositata nel 2017, della quale è il primo dei 12’342 firmatari. Nel suo intervento ricorda che «se allora le premesse finanziarie erano preoccupanti, oggi la situazione è di molto peggiorata: in questa legislatura le spese saranno di 1,6 miliardi di franchi superiori rispetto al quadriennio scorso. Occorre aumentare la disciplina sulla spesa e sul comportamento dei politici che la producono». Ergo, per Morisoli «questo strumento che esiste già in vari Cantoni, non andrebbe a toccare preventivi e spese che hanno base giuridica, ma quelle nuove. Porta parecchi vantaggi come vitalizzare il sano principio di ‘chi paga comanda’, è meglio che non sia tutto deciso solo da governo e parlamento ma anche dai cittadini che, attraverso le imposte, finanziano queste uscite». Il capogruppo Udc aggiunge che «di fronte allo sbandamento delle finanze è giusto che il popolo sia coinvolto e dica come spendere i suoi soldi», contesta «la paura che qualcuno ha di far votare i cittadini» e respinge l’accusa che continui referendum rallentino gli investimenti: «Spesso passano anni e anni tra lo stanziamento di un credito e la consegna, se si votasse una o due volte l’anno non salterebbe la Repubblica». Gli fa eco la relatrice del rapporto di maggioranza Lara Filippini (Udc), che cita Margaret Thatcher: «Sottolineava che non esistono soldi pubblici, ma i soldi dei contribuenti: è fondamentale estendere i diritti politici dei cittadini e stimolare l’autocontrollo del governo per frenare la spesa». A favore dell’iniziativa la leghista Sabrina Aldi: «In un Paese in cui si fa un vanto della democrazia diretta non possono che essere i cittadini ad avere l’ultima parola su alcune spese di rilievo. Si tratta dei soldi dei contribuenti».
Dopo aver incassato, da Sabrina Gendotti, il sì del Ppd al controprogetto di Filippini ma qualche dubbio da parte di alcuni esponenti del gruppo sull’iniziativa, all’indirizzo della proposta di referendum finanziario obbligatorio partono le bordate. A cominciare è il Plr, che con la relatrice del rapporto di minoranza Michela Ris rivendica «il ruolo del parlamento, si privano Gran Consiglio e commissioni di una delle funzioni principali. Sottoporre sistematicamente cifre che non suscitano dibattito è banalizzare le consultazioni popolari, introdurre questi strumenti significherebbe dare in pasto ai comunicatori e agli esperti di marketing temi importanti con lo scopo di indurre i cittadini a un voto».
Gianella (Plr): spesso occorre la maggioranza assoluta A ruota la capogruppo liberale radicale Alessandra Gianella: «La legge prevede già la possibilità di raccogliere le firme per un referendum, e serve la maggioranza assoluta per la stragrande maggioranza dei crediti che votiamo. Noi, come deputati, vogliamo continuare ad assumerci le nostre responsabilità visto che il popolo ci ha dato questo compito. Il controprogetto, poi, è una barriera cerotto: un terzo dei presenti e minimo 25 deputati possono decidere il referendum? Troppo pochi».
La contraerea parte anche dai banchi socialisti. A partire dal relatore, assieme a Ris, del rapporto di minoranza contrario a iniziativa e controprogetto Carlo Lepori: «Il referendum obbligatorio non è necessario e contrario alla tradizione svizzera. L’altro grosso problema è nel controprogetto: limitarlo al solo tema delle spese ci sembra ingiusto». Per il Ps anche Anna Biscossa alza le barricate: «Siamo in Svizzera, e l’uso del referendum e quindi il dare la parola a ‘chi paga’ in modo tale che possa comandare è un’abitudine, una prassi, una possibilità data. Di fronte al fatto che questo strumento esiste ed è accessibile, fatico a capire la necessità di introdurre un ulteriore strumento obbligando il popolo a doversi esprimere anche quando non lo ritiene necessario in maniera da aggravare la tempistica, la macchina del funzionamento delle istituzioni». Di più. Per Biscossa «l’iniziativa secca certifica la nostra incapacità e il popolo deve sorvegliarci, ma noi siamo stati eletti dal popolo: c’è un problema istituzionale. O il popolo ha sbagliato a eleggerci o deve fidarsi del nostro lavoro. Seconda ipotesi, controprogetto: ancora peggio. Un gruppo minoritario di noi, di eletti, stabilisce di non essere capace». Infine, per la parlamentare socialista «è brutto dirlo ma siamo fatti così: se un credito interessa solo il Locarnese, magari il Mendrisiotto non lo sostiene». Contrarie anche Tamara Merlo (Più donne) – «ci preoccupano un Gran Consiglio e un Consiglio di Stato ostaggio delle minoranze» –e Lea Ferrari (Pc): «L’ennesimo tentativo di ingabbiamento del parlamento». Il Movimento per il socialismo, dopo aver appoggiato con Matteo Pronzini la proposta Morisoli perché corrispondente «alla nostra visione di democrazia socialista», si schiera a favore con le due deputate rimaste in aula. Pronzini non ha partecipato al voto.
Durisch (Ps): allora alle urne
anche per gli sgravi fiscali
Da Paolo Ortelli (Plr) una domanda retorica: «Ma non è forse il popolo a eleggere il parlamento, un parlamento che deve essere in grado di assumere e portare in porto decisioni in modo responsabile? Con questa iniziativa siamo in un mondo alla rovescia». Per la collega di partito Diana Tenconi, con la proposta di Morisoli e cofirmatari si corre il rischio di aumentare la «conflittualità tra regioni, tra centri urbani e zone periferiche, con la conseguenza che gli investimenti per quest’ultime regioni non avvengano mai». Non solo: «I cittadini hanno bisogno di tempo per formarsi un’opinione. Se manca il tempo, nella migliore delle ipotesi votano di pancia. Nella peggiore finiscono per provare disaffezione verso la politica per l’accumulo di oggetti da votare». Tattica invece la posizione di Nicola Corti (Ps):«Per evitare che passino gli automatismi dell’iniziativa, sostengo il controprogetto, pur condividendo col mio partito l’avversione per il referendum finanziario obbligatorio». Un sì al controprogetto arriva anche dal popolare democratico Giovanni Berardi, ma con un appello a Morisoli a ritirare l’iniziativa, poiché potrebbe «paralizzare gli investimenti e dunque l’economia a causa di veti incrociati».
Con il rapporto di minoranza Natalia Ferrara. «Il compito dei deputati – rammenta la granconsigliera del Plr – è di assumersi delle responsabilità. Già oggi peraltro le nostre decisioni possono essere impugnate dai cittadini» tramite referendum facoltativo. È a favore del rapporto di minoranza anche Ivo Durisch: «Mi sono chiesto quale sia realmente l’obiettivo dell’Udc: avere finanze sane o ridurre i compiti dello Stato e la sua funzione redistributiva?». Il capogruppo socialista non ha dubbi: «L’obiettivo è chiaro, meno Stato. E non lo Stato migliore. Uno Stato debole e sussidiario. Le spese sono sì aumentate, perché sono aumentate le esigenze della popolazione in ambito formativo e sociosanitario. Gli sgravi fiscali allegramente praticati hanno generato un buco nei conti pubblici e risparmi e tagli che ne sono derivati hanno colpito le fasce più fragili della società». Da qui la proposta o la provocazione: «Introduciamo allora il referendum obbligatorio anche per ogni sgravio fiscale superiore ai cinque milioni». Pro referendum finanziario obbligatorio, il capogruppo della Lega Boris Bignasca: «Ho sentito in quest’aula parlare di cittadini male informati, che voterebbero di pancia. Mancava solo l’aggettivo deplorevoli. Ma questi cittadini sono quelli che ci eleggono, sono i cittadini contribuenti, che cercano di mandare avanti il Paese nonostante la pandemia. E parliamo dei loro soldi, sui quali è giusto che siano loro a decidere». Osservazione condivisa da Omar Balli: «Il popolo è meno ‘bestia’ di quello che si vuol far credere», sentenzia il leghista. Il liberale radicale Alessandro Speziali replica a Bignasca: «Lo rassicuro che non vogliamo relegare i cittadini ad attori distratti. Ci piacciono i cittadini responsabili e impegnati nella raccolta di firme, impegnati nel far valere quei diritti popolari che hanno già».
Mitraglia il democentrista Paolo Pamini: «Il referendum finanziario obbligatorio non arriva da Marte ma è uno strumento già presente e sperimentato nella maggioranza dei Cantoni. E ci sono studi scientifici sui suoi vantaggi: dove è applicato, c’è un minor debito pubblico pro-capite». Andrea Stephani dei Verdi annuncia: «Da noi c’è libertà di voto, io manterrò la mia firma al rapporto di maggioranza, si tratta di un ottimo compromesso». Chiude gli interventi a titolo personale la popolare democratica Maddalena Ermotti-Lepori: «Sono contraria sia all’iniziativa che al controprogetto.Tanto varrebbe allora abolire il parlamento. Il governo propone il popolo decide…».
Vitta: si banalizza il voto popolare Il referendum finanziario obbligatorio «potrebbe moltiplicare votazioni su oggetti che non suscitano interesse e quindi dibattito», afferma il direttore del Dipartimento finanze ed economia Christian Vitta, richiamando quanto scritto a suo tempo dal Consiglio di Stato prendendo posizione sull’iniziativa. «Sottoporre sistematicamente tutte le spese sopra un certo importo al voto popolare che però non suscitano dibattito potrebbe comportare una banalizzazione dello stesso voto popolare con conseguente disaffezione dei cittadini verso la cosa pubblica». Il rischio, poi, è che il referendum obbligatorio possa cancellare investimenti anche importanti: «Gli investimenti sono perlopiù spese nuove e quindi assoggettabili a referendum». Il governo «propone quindi di non aderire all’iniziativa: vi sono già il referendum facoltativo e il freno al disavanzo, strumenti che garantiscono una corretta gestione della spesa, nel rispetto dei diritti popolari». Come referendum e iniziative, tramite i quali già oggi, ricorda Vitta «il cittadino agisce sulle scelte pubbliche».