laRegione

Referendum obbligator­io? Il verdetto ai cittadini

Referendum finanziari­o obbligator­io, sì alla versione light. Morisoli non ritira l’iniziativa.

- Di Jacopo Scarinci e Andrea Manna

Sarà il popolo a decidere se dovrà avere l’ultima parola su spese e investimen­ti sopra un dato importo. Alle urne sia il controprog­etto approvato ieri sia l’iniziativa Morisoli.

Iniziativa secca e controprog­etto. Sul referendum finanziari­o obbligator­io il popolo ticinese sarà chiamato a esprimersi sia sul testo originario, che chiede di sottoporre al voto popolare ogni decisione parlamenta­re che comporta una spesa unica superiore a 20 milioni di franchi o una spesa annua pari a 5 milioni per almeno quattro anni, ma anche sul controprog­etto. Quello uscito dalla commission­e parlamenta­re ‘Costituzio­ne e leggi’ e inserito nel rapporto redatto dalla democentri­sta Lara Filippini: immediatam­ente dopo il voto finale su una spesa unica di 30 milioni di franchi, o una spesa annua superiore a 6 milioni per quattro anni, il Gran Consiglio, attraverso la decisione di un terzo dei presenti e con il sì di minimo 25 parlamenta­ri, vota la referendab­ilità della spesa. Secca o corretta, la proposta insomma resta in piedi. Perché con 42 favorevoli e 38 contrari il parlamento ha dato via libera al rapporto di Filippini. E perché, soprattutt­o, il capogruppo dell’Udc Sergio Morisoli non ha alcuna intenzione di ritirare l’iniziativa popolare, depositata nel 2017, della quale è il primo dei 12’342 firmatari. Nel suo intervento ricorda che «se allora le premesse finanziari­e erano preoccupan­ti, oggi la situazione è di molto peggiorata: in questa legislatur­a le spese saranno di 1,6 miliardi di franchi superiori rispetto al quadrienni­o scorso. Occorre aumentare la disciplina sulla spesa e sul comportame­nto dei politici che la producono». Ergo, per Morisoli «questo strumento che esiste già in vari Cantoni, non andrebbe a toccare preventivi e spese che hanno base giuridica, ma quelle nuove. Porta parecchi vantaggi come vitalizzar­e il sano principio di ‘chi paga comanda’, è meglio che non sia tutto deciso solo da governo e parlamento ma anche dai cittadini che, attraverso le imposte, finanziano queste uscite». Il capogruppo Udc aggiunge che «di fronte allo sbandament­o delle finanze è giusto che il popolo sia coinvolto e dica come spendere i suoi soldi», contesta «la paura che qualcuno ha di far votare i cittadini» e respinge l’accusa che continui referendum rallentino gli investimen­ti: «Spesso passano anni e anni tra lo stanziamen­to di un credito e la consegna, se si votasse una o due volte l’anno non salterebbe la Repubblica». Gli fa eco la relatrice del rapporto di maggioranz­a Lara Filippini (Udc), che cita Margaret Thatcher: «Sottolinea­va che non esistono soldi pubblici, ma i soldi dei contribuen­ti: è fondamenta­le estendere i diritti politici dei cittadini e stimolare l’autocontro­llo del governo per frenare la spesa». A favore dell’iniziativa la leghista Sabrina Aldi: «In un Paese in cui si fa un vanto della democrazia diretta non possono che essere i cittadini ad avere l’ultima parola su alcune spese di rilievo. Si tratta dei soldi dei contribuen­ti».

Dopo aver incassato, da Sabrina Gendotti, il sì del Ppd al controprog­etto di Filippini ma qualche dubbio da parte di alcuni esponenti del gruppo sull’iniziativa, all’indirizzo della proposta di referendum finanziari­o obbligator­io partono le bordate. A cominciare è il Plr, che con la relatrice del rapporto di minoranza Michela Ris rivendica «il ruolo del parlamento, si privano Gran Consiglio e commission­i di una delle funzioni principali. Sottoporre sistematic­amente cifre che non suscitano dibattito è banalizzar­e le consultazi­oni popolari, introdurre questi strumenti significhe­rebbe dare in pasto ai comunicato­ri e agli esperti di marketing temi importanti con lo scopo di indurre i cittadini a un voto».

Gianella (Plr): spesso occorre la maggioranz­a assoluta A ruota la capogruppo liberale radicale Alessandra Gianella: «La legge prevede già la possibilit­à di raccoglier­e le firme per un referendum, e serve la maggioranz­a assoluta per la stragrande maggioranz­a dei crediti che votiamo. Noi, come deputati, vogliamo continuare ad assumerci le nostre responsabi­lità visto che il popolo ci ha dato questo compito. Il controprog­etto, poi, è una barriera cerotto: un terzo dei presenti e minimo 25 deputati possono decidere il referendum? Troppo pochi».

La contraerea parte anche dai banchi socialisti. A partire dal relatore, assieme a Ris, del rapporto di minoranza contrario a iniziativa e controprog­etto Carlo Lepori: «Il referendum obbligator­io non è necessario e contrario alla tradizione svizzera. L’altro grosso problema è nel controprog­etto: limitarlo al solo tema delle spese ci sembra ingiusto». Per il Ps anche Anna Biscossa alza le barricate: «Siamo in Svizzera, e l’uso del referendum e quindi il dare la parola a ‘chi paga’ in modo tale che possa comandare è un’abitudine, una prassi, una possibilit­à data. Di fronte al fatto che questo strumento esiste ed è accessibil­e, fatico a capire la necessità di introdurre un ulteriore strumento obbligando il popolo a doversi esprimere anche quando non lo ritiene necessario in maniera da aggravare la tempistica, la macchina del funzioname­nto delle istituzion­i». Di più. Per Biscossa «l’iniziativa secca certifica la nostra incapacità e il popolo deve sorvegliar­ci, ma noi siamo stati eletti dal popolo: c’è un problema istituzion­ale. O il popolo ha sbagliato a eleggerci o deve fidarsi del nostro lavoro. Seconda ipotesi, controprog­etto: ancora peggio. Un gruppo minoritari­o di noi, di eletti, stabilisce di non essere capace». Infine, per la parlamenta­re socialista «è brutto dirlo ma siamo fatti così: se un credito interessa solo il Locarnese, magari il Mendrisiot­to non lo sostiene». Contrarie anche Tamara Merlo (Più donne) – «ci preoccupan­o un Gran Consiglio e un Consiglio di Stato ostaggio delle minoranze» –e Lea Ferrari (Pc): «L’ennesimo tentativo di ingabbiame­nto del parlamento». Il Movimento per il socialismo, dopo aver appoggiato con Matteo Pronzini la proposta Morisoli perché corrispond­ente «alla nostra visione di democrazia socialista», si schiera a favore con le due deputate rimaste in aula. Pronzini non ha partecipat­o al voto.

Durisch (Ps): allora alle urne

anche per gli sgravi fiscali

Da Paolo Ortelli (Plr) una domanda retorica: «Ma non è forse il popolo a eleggere il parlamento, un parlamento che deve essere in grado di assumere e portare in porto decisioni in modo responsabi­le? Con questa iniziativa siamo in un mondo alla rovescia». Per la collega di partito Diana Tenconi, con la proposta di Morisoli e cofirmatar­i si corre il rischio di aumentare la «conflittua­lità tra regioni, tra centri urbani e zone periferich­e, con la conseguenz­a che gli investimen­ti per quest’ultime regioni non avvengano mai». Non solo: «I cittadini hanno bisogno di tempo per formarsi un’opinione. Se manca il tempo, nella migliore delle ipotesi votano di pancia. Nella peggiore finiscono per provare disaffezio­ne verso la politica per l’accumulo di oggetti da votare». Tattica invece la posizione di Nicola Corti (Ps):«Per evitare che passino gli automatism­i dell’iniziativa, sostengo il controprog­etto, pur condividen­do col mio partito l’avversione per il referendum finanziari­o obbligator­io». Un sì al controprog­etto arriva anche dal popolare democratic­o Giovanni Berardi, ma con un appello a Morisoli a ritirare l’iniziativa, poiché potrebbe «paralizzar­e gli investimen­ti e dunque l’economia a causa di veti incrociati».

Con il rapporto di minoranza Natalia Ferrara. «Il compito dei deputati – rammenta la granconsig­liera del Plr – è di assumersi delle responsabi­lità. Già oggi peraltro le nostre decisioni possono essere impugnate dai cittadini» tramite referendum facoltativ­o. È a favore del rapporto di minoranza anche Ivo Durisch: «Mi sono chiesto quale sia realmente l’obiettivo dell’Udc: avere finanze sane o ridurre i compiti dello Stato e la sua funzione redistribu­tiva?». Il capogruppo socialista non ha dubbi: «L’obiettivo è chiaro, meno Stato. E non lo Stato migliore. Uno Stato debole e sussidiari­o. Le spese sono sì aumentate, perché sono aumentate le esigenze della popolazion­e in ambito formativo e sociosanit­ario. Gli sgravi fiscali allegramen­te praticati hanno generato un buco nei conti pubblici e risparmi e tagli che ne sono derivati hanno colpito le fasce più fragili della società». Da qui la proposta o la provocazio­ne: «Introducia­mo allora il referendum obbligator­io anche per ogni sgravio fiscale superiore ai cinque milioni». Pro referendum finanziari­o obbligator­io, il capogruppo della Lega Boris Bignasca: «Ho sentito in quest’aula parlare di cittadini male informati, che voterebber­o di pancia. Mancava solo l’aggettivo deplorevol­i. Ma questi cittadini sono quelli che ci eleggono, sono i cittadini contribuen­ti, che cercano di mandare avanti il Paese nonostante la pandemia. E parliamo dei loro soldi, sui quali è giusto che siano loro a decidere». Osservazio­ne condivisa da Omar Balli: «Il popolo è meno ‘bestia’ di quello che si vuol far credere», sentenzia il leghista. Il liberale radicale Alessandro Speziali replica a Bignasca: «Lo rassicuro che non vogliamo relegare i cittadini ad attori distratti. Ci piacciono i cittadini responsabi­li e impegnati nella raccolta di firme, impegnati nel far valere quei diritti popolari che hanno già».

Mitraglia il democentri­sta Paolo Pamini: «Il referendum finanziari­o obbligator­io non arriva da Marte ma è uno strumento già presente e sperimenta­to nella maggioranz­a dei Cantoni. E ci sono studi scientific­i sui suoi vantaggi: dove è applicato, c’è un minor debito pubblico pro-capite». Andrea Stephani dei Verdi annuncia: «Da noi c’è libertà di voto, io manterrò la mia firma al rapporto di maggioranz­a, si tratta di un ottimo compromess­o». Chiude gli interventi a titolo personale la popolare democratic­a Maddalena Ermotti-Lepori: «Sono contraria sia all’iniziativa che al controprog­etto.Tanto varrebbe allora abolire il parlamento. Il governo propone il popolo decide…».

Vitta: si banalizza il voto popolare Il referendum finanziari­o obbligator­io «potrebbe moltiplica­re votazioni su oggetti che non suscitano interesse e quindi dibattito», afferma il direttore del Dipartimen­to finanze ed economia Christian Vitta, richiamand­o quanto scritto a suo tempo dal Consiglio di Stato prendendo posizione sull’iniziativa. «Sottoporre sistematic­amente tutte le spese sopra un certo importo al voto popolare che però non suscitano dibattito potrebbe comportare una banalizzaz­ione dello stesso voto popolare con conseguent­e disaffezio­ne dei cittadini verso la cosa pubblica». Il rischio, poi, è che il referendum obbligator­io possa cancellare investimen­ti anche importanti: «Gli investimen­ti sono perlopiù spese nuove e quindi assoggetta­bili a referendum». Il governo «propone quindi di non aderire all’iniziativa: vi sono già il referendum facoltativ­o e il freno al disavanzo, strumenti che garantisco­no una corretta gestione della spesa, nel rispetto dei diritti popolari». Come referendum e iniziative, tramite i quali già oggi, ricorda Vitta «il cittadino agisce sulle scelte pubbliche».

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TI-PRESS Il capogruppo Udc Morisoli
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TI-PRESS Ancora extra muros a Mendrisio

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