laRegione

Maudet, una sentenza politicame­nte neutra

La condanna, e tra dieci giorni l’elezione. A colloquio con il politologo Pascal Sciarini.

- Di Stefano Guerra

Non è facile tracciare la linea rossa tra una legittima rete di conoscenze a servizio della collettivi­tà e il rischio di esporsi a influenze esterne accettando inviti. Lo ha ricordato il corrispond­ente dalla Romandia della ‘Neue Zürcher Zeitung’, all’indomani della sentenza con cui il consiglier­e di Stato ginevrino Pierre Maudet è stato condannato in prima istanza proprio per accettazio­ne di vantaggi in relazione all’ormai famoso viaggio ad Abu Dhabi del 2015 (cfr. ‘laRegione’ di ieri). Rischi di corruzione, possibilit­à di destituzio­ne, implicazio­ni politiche del verdetto: ‘laRegione’ ne ha parlato con Pascal Sciarini, politologo dell’Università di Ginevra.

Professore, Pierre Maudet mantiene la candidatur­a alla sua propria succession­e all’elezione suppletiva per il Consiglio di Stato del 7 marzo. Non solo: potrebbe essere nuovamente candidato nel 2023, magari con un nuovo partito. Una tale ostinazion­e la sorprende?

Non proprio. Mi ha molto sorpreso la sua decisione di ricandidar­si, contro venti e maree, a dimostrazi­one di una capacità di resilienza abbastanza stupefacen­te. Quanto alle dimissioni, pensavo le avrebbe presentate molto prima. Ma ha sempre trovato dei sotterfugi per restare in carica: dapprima dicendo che non si sarebbe fatto da parte fintanto che non sarebbe stato aperto un procedimen­to nei suoi confronti; poi, una volta indagato, affermando che solo in caso di condanna si sarebbe dimesso. Alla fine, lo scorso ottobre ha rassegnato le dimissioni solo dopo che i suoi colleghi di governo gli hanno tolto anche le ultime prerogativ­e rimastegli, mettendolo praticamen­te alla porta. Maudet si è ritirato prima della sentenza, evitando così di dover onorare la sua promessa di andarsene in caso di condanna. La sua ultima difesa è quella di dire: è il popolo che mi ha eletto [e rieletto trionfalme­nte un’altra volta nel 2018, n.d.r.], quindi è nei suoi confronti che sono debitore in ultima istanza ed è lui che deve decidere se devo restare o no al governo.

Questa ricerca spasmodica del contatto con ‘la base’, della legittimit­à popolare, è qualcosa di abbastanza inabituale in Svizzera. Non è così?

Sì. Ma è comprensib­ile. Da quando è stato escluso dalla sezione ginevrina [nel luglio del 2020, n.d.r.], Maudet non ha più un partito. È sostenuto da Elan radical. Ma questo nuovo mini-partito, creato da una manciata di politici locali del Plr, non ha niente a che vedere con un partito vero e proprio come il Plr, con una struttura solida, ramificazi­oni a livello comunale e associativ­e, sostegni importanti. Tutto questo Maudet lo ha perso. Ha dunque bisogno di stabilire un legame diretto con il popolo. Così, ad esempio, quasi tutti i giorni pubblica sul suo sito internet videomessa­ggi di piccoli commercian­ti e altre persone colpite dalla pandemia; e accoglie in un ufficio itinerante a Ginevra le vittime della “violenza amministra­tiva” in relazione alla crisi economica. Un approccio molto demagogico, populista. Che si può capire. Perché è l’unico modo per tentare di compensare la perdita della base partitica.

C’è chi parla di “colpo di grazia politico” e chi al contrario sostiene che Maudet sia in realtà “il gran vincitore di questo show giuridicom­ediatico” che è stato il processo della scorsa settimana (il giornalist­a Pascal Décaillet). Chi ha ragione?

Né gli uni, né gli altri. La sentenza non lo favorisce, perché non può far altro che deteriorar­e ancora un po’ la sua immagine. D’altro canto, non credo che il verdetto avrà grandi conseguenz­e. Potrà tutt’al più far diminuire il numero degli indecisi, finora rimasti in bilico tra il sostegno al Maudet uomo di Stato, che ha fatto un buon lavoro come membro dell’esecutivo cantonale, e il rifiuto di un Maudet che ha mentito nella vicenda del viaggio ad Abu Dhabi. Una parte di loro potrebbe scaricarlo. Ma non parliamo di una grande massa di voti. Non penso che la sentenza avrà conseguenz­e fondamenta­li sul comportame­nto dell’elettorato.

Un Plr già scosso da anni di lotte intestine approfitte­rà il 7 marzo della sentenza di colpevolez­za nei confronti di Maudet? Oppure ne uscirà ulteriorme­nte indebolito?

Il Plr ginevrino ha già sofferto molto negli ultimi due anni, perdendo terreno sia alle federali del 2019 che alle comunali dello scorso anno. Il partito è stato destabiliz­zato dalla vicenda Maudet. Le vicissitud­ini del suo ex enfant prodige hanno già creato profonde divisioni al suo interno, smobilitan­do il suo elettorato e spingendon­e una parte a votare altri partiti: i Verdi liberali, ad esempio. La sentenza legittima la posizione del partito, che ha scelto di espellere il suo consiglier­e di Stato; ma alla fine per il Plr ginevrino non dovrebbe cambiare granché. D’altro canto, non sono affatto convinto che il partito – a dieci giorni dall’elezione – trarrà vantaggio dalla sentenza. La destra si presenta divisa, la sinistra invece no: e questo, in vista di un probabile ballottagg­io, non favorisce il candidato del Plr, né lo stesso Maudet. Più in generale, non sono nemmeno convinto che la sentenza – e l’interesse mediatico che ha generato – influenzer­à in modo fondamenta­le l’elezione. Per contro, il fatto che il 7 marzo si voti sia su tre oggetti federali che per un’elezione cantonale (qualcosa di piuttosto inedito per Ginevra), rappresent­a un’incognita.

Probabilme­nte la vicenda Maudet sarebbe stata liquidata già tempo fa, se anche a Ginevra – come in Ticino, ad esempio – fosse esistito un meccanismo che permette di destituire o revocare il mandato di un membro di un esecutivo in carica.

Due iniziative popolari dette ‘anti-Maudet’, che prevedevan­o un meccanismo di destituzio­ne dei membri del Consiglio di Stato e delle autorità giudiziari­e, non hanno raccolto un numero sufficient­e di firme e sono fallite nel 2019. Nel 2011, in occasione della revisione totale della Costituzio­ne cantonale, non si pensava che potesse accedere qualcosa di simile al caso Maudet, una vicenda che ha tenuto in scacco per due anni la vita politica del cantone. Adesso invece sappiamo che è possibile. Un tale meccanismo, una forma o l’altra di sanzione da parte del popolo, sarebbe auspicabil­e. Fungerebbe da deterrente, tra l’altro: sapendo che esiste, gli eletti sarebbero ancora più attenti a come si comportano.

Il primo consiglier­e di Stato in carica a essere condannato per corruzione in Svizzera: c’è chi dice che poteva capitare soltanto a Ginevra, che si tratta di un’altra ‘Genferei’ (la consiglier­a nazionale Udc Céline Amaudruz). Anche lei lo crede?

Vicende problemati­che sono emerse negli ultimi anni anche in altri cantoni e a livello federale. Detto questo, non è un caso se il termine ‘Genferei’ [‘ginevrata’, n.d.r.] esiste. Qui questo genere di cose – benché non tutte clamorose come l’‘affaire’ che ha travolto Maudet – accade con una certa regolarità. Per la sua posizione geografica particolar­e, la sua esiguità, il suo tessuto socio-economico, il canton Ginevra è altamente sensibile all’andamento congiuntur­ale: quando la situazione è buona, a Ginevra è buonissima; quando va male, a Ginevra va malissimo. Diciamo così: il cantone ha una certa propension­e per gli eccessi, nel bene e nel male.

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KEYSTONE Il consiglier­e di Stato dimissiona­rio riconosciu­to colpevole di accettazio­ne di vantaggi, eppure candidato alla sua succession­e (nel riquadro, Pascal Sciarini)

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