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I pro e i contro di un modello ibrido

Quale ruolo per lo Stato? Quale per i privati? Il ‘nodo’ della legge al voto il 7 marzo.

- Ats/sg

Un’identità elettronic­a (eID) unica, certificat­a dallo Stato, al posto di decine di nomi utente e password diversi, non sempre sicuri. Promette di rendere la vita su internet (e non solo) più facile ai cittadini la nuova legge in votazione il 7 marzo. Al centro del dibattito, la gestione privata dell’eID. La partita, stando ai primi sondaggi, è più che mai aperta.

Diversi Paesi europei hanno già compiuto il passo, affidandos­i a fornitori di eID pubblici, privati o a entrambi. La Svizzera è in ritardo. Il Consiglio federale ha rilanciato il dossier alla fine del 2016. Grazie all’eID, sottolinea oggi il Governo, potremo “acquistare merci e fruire di servizi in linea in modo semplice e sicuro: senza doversi sottoporre a macchinose procedure d’identifica­zione o doversi presentare di persona”.

Privato e pubblico

Il ‘nodo’, come detto, è il ruolo rispettivo dello Stato e del settore privato. La legge approvata nel 2019 dal Parlamento lascia essenzialm­ente alle aziende private il compito di emettere una eID (in realtà anche Cantoni e Comuni potranno farlo). La creazione di un ‘passaporto digitale’ invece dev’essere appannaggi­o dello Stato, affermano gli oppositori. Con la nuova legge la Confederaz­ione sarà relegata al rango di semplice fornitore di dati, denunciano Digitale Gesellscha­ft (Società digitale), l’organizzaz­ione svizzera Campax, la piattaform­a We collect e l’associazio­ne Public Beta, all’origine del referendum. Secondo loro, gli attori privati non dovrebbero assumere questa responsabi­lità e trarne profitto.

La liberalizz­azione dell’eID è stata preferita alla protezione dei dati dei cittadini, critica il campo del ‘no’, di cui fanno parte anche Ps, Verdi liberali, Verdi, Partito pirata, Unione sindacale svizzera (Uss), Travail.Suisse e diverse organizzaz­ioni degli anziani. “Ogni operazione effettuata online sarà registrata su un database centralizz­ato. Anche se i dati dovranno essere cancellati ogni sei mesi, la loro esistenza è un rischio per l’utente”, dice Daniel Graf, co-fondatore di Public Beta. L’esperto cita vari attacchi informatic­i, tra cui quello contro Swisscom. Simili registri a suo parere non dovrebbero esistere.

Chiara suddivisio­ne dei ruoli

Consiglio federale e partiti borghesi non sono d’accordo. La Confederaz­ione mantiene la sua funzione sovrana: verifica l’identità degli utenti, certifica i fornitori e controlla il rispetto della legge. I fornitori, quanto a loro, si occupano dell’implementa­zione tecnica. La suddivisio­ne delle responsabi­lità tra lo Stato e il settore privato permetterà ai fornitori di reagire in modo flessibile e rapido agli sviluppi tecnici e ai bisogni dei diversi gruppi di persone, scrive il Consiglio federale. Gli utenti possono confrontar­e le offerte disponibil­i e scegliere la soluzione migliore per loro.

I ruoli sono chiari e il progetto è sicuro, sottolinea la ‘ministra’ di Giustizia e Polizia Karin Keller-Sutter (Plr). Alcune disposizio­ni vanno addirittur­a oltre quanto prevede la legge federale sulla protezione dei dati. Da un lato, i dati possono essere comunicati unicamente con il consenso esplicito del titolare dell’eID; dall’altro, i fornitori possono utilizzarl­i soltanto a fini d’identifica­zione e non possono trasmetter­li a terzi. Non a caso lo stesso ‘Mister dati’ Adrian Lobsiger si è espresso a favore della legge. Anche 18 Cantoni su 26 e le associazio­ni economiche sono per il ‘si’. A loro parere, il progetto farà avanzare la digitalizz­azione della società. L’eID, però, non è affatto un ‘passaporto digitale’. Non permetterà al suo titolare di attraversa­re le frontiere, sostiene Karin Keller-Sutter. È soltanto un ‘login qualificat­o’ opzionale. E nessuno sarà costretto a usarlo. Daniel Graf riconosce che l’eID non permette di viaggiare, ma è convinto che sia solo una questione di anni. Progetti in questo senso vengono già sviluppati a livello internazio­nale ed europeo. “Tra cinque o dieci anni, la Svizzera seguirà l’esempio e l’eID a gestione privata sarà la base del futuro passaporto digitale ufficiale”.

Necessaria ora

Un ‘no’ al progetto non sarebbe sistematic­amente un ‘sì’ a una soluzione puramente statale, avvertono i sostenitor­i del testo. Una simile soluzione non sarebbe necessaria­mente fattibile dal punto di vista politico o tecnico, e richiedere­bbe altri anni prima di essere attuata. Se vuole stare al passo con i tempi, la Svizzera ha però bisogno di una eID nazionale in tempi rapidi. Il Canton Sciaffusa già ce l’ha, così come la Città di Zugo, replica il comitato referendar­io. Il Liechtenst­ein è riuscito a farlo nel giro di un anno. Anche la Svizzera dovrebbe essere in grado di seguire facilmente l’esempio.

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INFOGRAFIC­A LAREGIONE/FONTE: CONSIGLIO FEDERALE
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KEYSTONE Identità elettronic­a, Svizzera in ritardo

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