Parità salariale, una differenza spiegabile
Puntuale come un orologio svizzero, l’Ufficio Federale di Statistica (Ust) ha pubblicato i risultati dell’inchiesta salariale per l’anno 2018 secondo la quale, tra il 2014 e il 2018, le disparità salariali tra uomini e donne sono aumentate dal 18,1 al 19,0%. Troppi attori politici strumentalizzano questo “20%” volendolo ricondurre ad una scandalosa discriminazione tra i sessi. Chi le cifre le legge in modo accurato constata innanzitutto che “solo” ca. l’8% di questa differenza non può essere spiegato statisticamente. Una differenza che – secondo le mie esperienze – è dovuta anche ad una ponderazione diversa del salario fra i vari aspetti di valutazione complessiva di un impiego: per gli uomini il fattore prettamente economico ha un valore maggiore rispetto alle donne. Questo porta uomini e donne a contrattare e valutare le condizioni lavorative in modo diverso. Per gli uni il salario è un parametro determinante, per gli altri esso ne è uno su tanti. Su questo, appunto, si può polemizzare a lungo... ma si potrà cambiare? Ritengo molto più utile trovare e implementare soluzioni concrete a quelle differenze salariali sulle quali si può influire, invece di continuare a gestire il problema indignandosene per meri scopi elettorali.
Negli ultimi anni la politica si è adoperata a più riprese a favore di misure per porre un freno alle stimate disparità. Ne è risultata l’imposizione alle imprese di regolari censimenti per misurare eventuali discriminazioni, certificazioni da parte di enti indipendenti o la presentazione dei risultati ai propri collaboratori. Oibò, il futuro ci mostrerà se sarà la burocrazia a risolvere le differenze salariali… Non sono pochi gli economisti che diffidano di questa prassi, poiché vi sono in realtà vari altri fattori che potrebbero influenzare la differenza in modo oggettivo e quindi ridurre il divario. In questo contesto le cifre presentate dall’Ust qualche dubbio lo lasciano: il divario tra i salari delle donne e degli uomini negli ultimi anni è aumentato maggiormente nel settore pubblico rispetto al privato! Sarebbe quindi proprio lo Stato a promuovere questa disparità, malgrado tutta una serie di programmi messi in atto? Forse qualcosa non quadra...
Invece di indignarci su cifre discutibili, ritengo sia più che mai tempo di agire in modo tale da mettere in condizioni entrambi i sessi di approfittare dell’attività lavorativa. Concentrandoci infatti sulla parte spiegabile del divario capiamo ad esempio che le interruzioni di carriera da parte delle donne riducono il loro salario e quindi sono da limitare nel loro interesse. Questo può avvenire ad esempio attraverso l’offerta di servizi di custodia per bambini a prezzi accessibili, strutture diurne nelle scuole che permettano alle famiglie di conciliare le proprie esigenze con quelle professionali e non per ultimo rivedendo il nostro sistema fiscale antiquato. Molti datori di lavoro implementano da tempo vari strumenti efficaci: agevolando l’attività dei genitori con modelli di lavoro flessibili, offrendo il lavoro da casa (anche in tempi nonCovid) e orari di lavoro “su misura” o forme di impiego a beneficio delle mamme che vogliono rientrare nel mercato del lavoro dopo aver avuto figli.
Più promettente di qualsiasi analisi statistica è quindi l’impegno concreto a favore di condizioni quadro che consentano sia alle donne che agli uomini di partecipare alla vita lavorativa. Invece di concentrarci sulle differenze presunte, siamo tutti chiamati a ridurre i fattori che sappiamo limitare il salario delle donne: facendo così andiamo sul sicuro, nell’interesse delle donne, degli uomini e dell’economia nel suo insieme.