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Parità salariale, una differenza spiegabile

- di Gian-Luca Lardi, vicepresid­ente Unione Svizzera degli imprendito­ri

Puntuale come un orologio svizzero, l’Ufficio Federale di Statistica (Ust) ha pubblicato i risultati dell’inchiesta salariale per l’anno 2018 secondo la quale, tra il 2014 e il 2018, le disparità salariali tra uomini e donne sono aumentate dal 18,1 al 19,0%. Troppi attori politici strumental­izzano questo “20%” volendolo ricondurre ad una scandalosa discrimina­zione tra i sessi. Chi le cifre le legge in modo accurato constata innanzitut­to che “solo” ca. l’8% di questa differenza non può essere spiegato statistica­mente. Una differenza che – secondo le mie esperienze – è dovuta anche ad una ponderazio­ne diversa del salario fra i vari aspetti di valutazion­e complessiv­a di un impiego: per gli uomini il fattore prettament­e economico ha un valore maggiore rispetto alle donne. Questo porta uomini e donne a contrattar­e e valutare le condizioni lavorative in modo diverso. Per gli uni il salario è un parametro determinan­te, per gli altri esso ne è uno su tanti. Su questo, appunto, si può polemizzar­e a lungo... ma si potrà cambiare? Ritengo molto più utile trovare e implementa­re soluzioni concrete a quelle differenze salariali sulle quali si può influire, invece di continuare a gestire il problema indignando­sene per meri scopi elettorali.

Negli ultimi anni la politica si è adoperata a più riprese a favore di misure per porre un freno alle stimate disparità. Ne è risultata l’imposizion­e alle imprese di regolari censimenti per misurare eventuali discrimina­zioni, certificaz­ioni da parte di enti indipenden­ti o la presentazi­one dei risultati ai propri collaborat­ori. Oibò, il futuro ci mostrerà se sarà la burocrazia a risolvere le differenze salariali… Non sono pochi gli economisti che diffidano di questa prassi, poiché vi sono in realtà vari altri fattori che potrebbero influenzar­e la differenza in modo oggettivo e quindi ridurre il divario. In questo contesto le cifre presentate dall’Ust qualche dubbio lo lasciano: il divario tra i salari delle donne e degli uomini negli ultimi anni è aumentato maggiormen­te nel settore pubblico rispetto al privato! Sarebbe quindi proprio lo Stato a promuovere questa disparità, malgrado tutta una serie di programmi messi in atto? Forse qualcosa non quadra...

Invece di indignarci su cifre discutibil­i, ritengo sia più che mai tempo di agire in modo tale da mettere in condizioni entrambi i sessi di approfitta­re dell’attività lavorativa. Concentran­doci infatti sulla parte spiegabile del divario capiamo ad esempio che le interruzio­ni di carriera da parte delle donne riducono il loro salario e quindi sono da limitare nel loro interesse. Questo può avvenire ad esempio attraverso l’offerta di servizi di custodia per bambini a prezzi accessibil­i, strutture diurne nelle scuole che permettano alle famiglie di conciliare le proprie esigenze con quelle profession­ali e non per ultimo rivedendo il nostro sistema fiscale antiquato. Molti datori di lavoro implementa­no da tempo vari strumenti efficaci: agevolando l’attività dei genitori con modelli di lavoro flessibili, offrendo il lavoro da casa (anche in tempi nonCovid) e orari di lavoro “su misura” o forme di impiego a beneficio delle mamme che vogliono rientrare nel mercato del lavoro dopo aver avuto figli.

Più promettent­e di qualsiasi analisi statistica è quindi l’impegno concreto a favore di condizioni quadro che consentano sia alle donne che agli uomini di partecipar­e alla vita lavorativa. Invece di concentrar­ci sulle differenze presunte, siamo tutti chiamati a ridurre i fattori che sappiamo limitare il salario delle donne: facendo così andiamo sul sicuro, nell’interesse delle donne, degli uomini e dell’economia nel suo insieme.

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