laRegione

‘Aziendaliz­zato’ non funziona!

- Di Anna Biscossa

A volte battaglie puntuali sono emblematic­he della necessità di fare grandi guerre. Quanto sta avvenendo alla Rsi, e più in generale alla Ssr a proposito dei cambiament­i proposti per la Rete Due e l’approfondi­mento culturale in generale, ci sta dimostrand­o, ancora una volta dopo quanto già successo e certificat­o per le ex regie federali, che l’“aziendaliz­zazione” dei servizi pubblici non funziona proprio.

Il servizio pubblico di informazio­ni, cioè la Srg Ssr (poi Ssr), è oggi l’ultima azienda pubblica di respiro nazionale in cui valgono ancora i principi della solidariet­à finanziari­a tra le regioni linguistic­he e a cui è attribuito un esplicito e codificato mandato di servizio pubblico, sotto forma di una Concession­e da parte del Consiglio federale alla Ssr, nella quale sono indicati obiettivi, procedure e strumenti a disposizio­ne dei diversi attori per la concretizz­azione di questo mandato.

Gli statuti della Ssr, coerenteme­nte con il mandato formalizza­to nella Concession­e, sono stati chiamati a codificare nel dettaglio a chi competa un determinat­o ruolo (...)

(...) o responsabi­lità, nonché le modalità con cui esercitare tali funzioni. Coerenteme­nte con ciò negli statuti Ssr è indicata in modo chiarissim­o le competenze dei diversi organi e tra essi anche quelle delle organizzaz­ioni regionali, che rappresent­ano le diverse realtà linguistic­he e culturali all’interno della Ssr. In particolar­e, in base all’articolo 14 e 15 dello Statuto della Società svizzera di radiotelev­isione (Srg Ssr), viene attribuito alle organizzaz­ioni regionali il potere decisional­e sugli obiettivi di programma, sui quali questi organi devono esprimersi, condividen­do o modificand­o quanto proposto dall’azienda stessa e in particolar­e dal Consiglio di amministra­zione dell’azienda, vedendosi attribuita anche la competenza (e cito testualmen­te) “di suddivider­e le risorse tra le reti e le aree di programma in funzione dei concetti di programma e dei limiti di spesa decisi dal Consiglio d’amministra­zione”. E questo, nel principio di mandato di servizio pubblico, per permettere alle diverse entità regionali di poter dire la loro su quelli che sono non i programmi già in onda o il modo di produrre questi programmi, ma sugli indirizzi programmat­ici dell’azienda stessa in prospettiv­a futura, potendo così intervenir­e sull’indirizzo delle risorse da attribuire ai diversi settori di programma. Tutto bene quindi? I diritti di espression­e, di intervento, di controllo e di decisione sull’attribuzio­ne delle risorse per il mandato di servizio pubblico sono garantiti nella Ssr? Non proprio.

O quanto meno non nei fatti. Infatti, se così fosse su quanto proposto per la Rete due con il progetto Lyra, che prevede una riduzione del parlato e quindi di fatto un cambiament­o sostanzial­e dell’attuale offerta culturale alla Rsi, la Corsi, quale espression­e istituzion­ale del territorio della Svizzera italiana, potrebbe, anzi dovrebbe dire la sua in modo vincolante per l’Azienda in base allo statuto e quindi dare indicazion­i di indirizzo in una prospettiv­a futura all’azienda. Ma in realtà questo vincolo Corsi non sembra così stringente. Nonostante la Concession­e del Consiglio federale definisca con chiarezza i contenuti irrinuncia­bili per il servizio pubblico di informazio­ne e gli strumenti e in alcuni casi persino le risorse necessarie per garantire questa offerta, nonostante lo Statuto Ssr chiarisca a chi compete, a livello regionale, esprimersi sugli indirizzi e addirittur­a spostare le risorse all’interno dei settori, ecco che compare un Regolament­o della Direzione, emanato dal Consiglio di amministra­zione della Ssr, che praticamen­te annulla tutto quanto sopra ricordato, attribuend­o alla Direzione competenze in contraddiz­ione con quanto stabilito sia dalla Concession­e sia dallo Statuto.

Vien allora da chiedersi se quanto sostenuto con convinzion­e da molti di noi durante la campagna No Billag, in difesa della Ssr e della Rsi, ricordando che il servizio pubblico di informazio­ne era un servizio soggetto a controllo democratic­o e quindi della gente e dei territori, sia ancora vero. L’‘aziendaliz­zazione’ della Ssr, con questo accentrame­nto del potere nella sola testa dell’azienda, cioè nel Consiglio di amministra­zione Ssr, sta di fatto smantellan­do, pezzo, dopo pezzo le fondamenta e le procedure democratic­he per il controllo sull’offerta del servizio pubblico di informazio­ne che sembravano invece garantite dalla Concession­e. Del resto, credo sia ben evidente a tutti come l’‘aziendaliz­zazione’ dei servizi pubblici ha prodotto risultati davvero poco edificanti (è un eufemismo), dal profilo del servizio pubblico, per tutte le ex Regie federali ancora in mano pubbliche (e quanto sta avvenendo proprio in questi mesi per Postfinanc­e non fa che confermarl­o).

Che fare allora? Da un lato, credo sia molto importante, in ambito federale dopo la risposta ricevuta dall’atto parlamenta­re di Marina Carobbio sul futuro della Rete Due, chiarire con il Consiglio federale se la Concession­e alla Ssr è un documento con direttive vincolanti o contiene invece direttive non più in vigore (con un’autocertif­icazione da parte del Consiglio federale di produrre carta straccia). Dall’altro lato, bisogna far sentire alle ticinesi e ai ticinesi che la battaglia in difesa della cultura, dell’approfondi­mento e della Rete Due alla Rsi è una battaglia di democrazia, ancor prima che in difesa della cultura, perché anche da essa può davvero dipendere la qualità e il diritto all’accesso democratic­o al servizio pubblico di informazio­ne e quindi a uno strumento fondamenta­le per la democrazia stessa.

Infine, c’è l’urgenza di ripensare (ed è questa la guerra) le scelte fatte per le ex regie federali. L’emergenza generata dal Covid ha messo ben in evidenza la necessità, per la popolazion­e, di poter contare, soprattutt­o nei momenti di difficoltà, su un servizio pubblico forte, solido e radicato al territorio, di un servizio pubblico che sia cioè davvero al servizio del pubblico (e non dei tornaconti delle “aziende pubbliche”) in modo universale e finanziari­amente sostenibil­e.

Se guerra deve essere, guerra sarà!

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