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Pandemia: qualche riflession­e sulle scelte strategich­e della Svizzera

Tempi e modalità di acquisizio­ne dei vaccini, priorità nella somministr­azione, divieti e permessi non sempre comprensib­ili. Il nostro Paese ha fatto scelte che sollevano molte domande. E perché non produrre autonomame­nte i vaccini?

- Matteo Denti*

La situazione pandemica e di vaccinazio­ne in Svizzera suggerisce alcune rif lessioni, soprattutt­o se facciamo il confronto con quello che avviene negli altri Paesi. La nostra è sicurament­e una delle nazioni più ricche al mondo, ma nella acquisizio­ne dei vaccini purtroppo forse non si è comportata come tale. Infatti se guardiamo le nazioni che hanno vaccinato di più la popolazion­e possiamo osservare come gli USA, UK ed Israele si sono comportati in maniera differente. In particolar­e la Svizzera ha una popolazion­e quasi uguale ad Israele, ma il governo israeliano ha acquistato in anticipo un numero importante di vaccini e tra poco riuscirà ad immunizzar­e l’intera popolazion­e.

Inoltre fornirà in maniera anonima i dati post vaccinazio­ne, che da un punto di vista scientific­o avranno un valore rilevante per il mondo intero. Questo tipo di vantaggio poteva essere sfruttato anche dalla nostra Confederaz­ione, in quanto non legata a vincoli quali ad esempio quelli della UE (situazione che ha sfruttato la Gran Bretagna).

Per contro il quantitati­vo di vaccini acquisito è stato simile a quello della Unione europea e quindi si è proceduto sicurament­e molto più a rilento ad una vaccinazio­ne di massa. Un’altra rif lessione va fatta sulla strategia che è stata utilizzata nella scelta di chi vaccinare. In quasi tutti i Paesi del mondo, se non nella totalità, i primi ad essere vaccinati sono stati il personale medico e paramedico, soprattutt­o quelli che si erano trovati in prima linea nella battaglia contro la COVID. Da noi invece la strategia è stata differente e sono state vaccinate dapprima le persone più anziane ed il personale medico esclusivam­ente delle case anziani. Una scelta che può essere comprensib­ile. Resta il fatto che essa non è stata applicata in quasi nessun altro Paese. Basta fare il confronto con la strategia adottata dalla vicina Italia e la differenza balza all’occhio immediatam­ente. In Italia infatti è stato vaccinato dapprima tutto il personale medico e paramedico e solo successiva­mente è toccato alle persone anziane, sicurament­e deboli ed esposte, ma anche facilmente isolabili. In questa strategia forse bastava isolare momentanea­mente le case anziani e vaccinare esclusivam­ente il personale che poteva essere la fonte di trasmissio­ne del virus, utilizzand­o il grosso dei vaccini per il personale ospedalier­o, soprattutt­o quello in prima linea. Gli infermieri ed i medici dei centri COVID invece non sono stati vaccinati. E neppure lo sono stati i medici di famiglia, che devono curare i pazienti affetti dal virus a domicilio o il personale delle ambulanze, che pure trasporta i pazienti da casa ai centri COVID. Un’altra consideraz­ione merita l’economia ed in particolar modo l’economia turistica dei centri invernali. Siamo stati l’unica nazione a tenere aperti gli impianti sciistici, a differenza di quanto è avvenuto in Italia, in Francia, in Germania e soprattutt­o in Austria. Questa scelta è stata fondamenta­lmente di tipo economico. Ma anche in questo caso non si è provveduto a vaccinare. Se si pensa al personale che sta quotidiana­mente per tutta la giornata su una funivia, è stata una vera fortuna se non si è verificata una maggior diffusione dei casi (considerat­o anche che il personale delle stazioni sciistiche ha effettuato, come in Engadina, un solo tampone di controllo alla settimana). Tenere aperte le stazioni sciistiche senza aver fatto una vaccinazio­ne di massa ha voluto dire assumersi un rischio grave. La fortuna ci ha aiutati e le ricadute sono state minime (vedi il caso di Wengen). Ma allora bisogna anche osservare che un ristorante, con le dovute misure, è sicurament­e a rischio minore rispetto alla cabina di una funivia. Ma questo non è stato considerat­o, quando si è trattato di adottare le restrizion­i.

La speranza è che la Confederaz­ione possa acquisire sul mercato un numero di vaccini tale da poter creare una immunizzaz­ione di massa, in particolar­e acquistand­o a breve anche altri vaccini, che al momento attuale diversi Paesi hanno approvato e noi no. Questa è la strada per ritornare tutti ad una vita normale e alla ripresa economica del Paese. Un’indicazion­e in proposito ci viene dalla vicina penisola, dove è stato calcolato che da una spesa di 1 miliardo e 200 milioni di euro per vaccinare la popolazion­e si potranno ricavare 100 miliardi esclusivam­ente con il ripristino delle attività turistiche. Una cosa è certa: dovremo imparare a convivere in futuro con questo virus così come abbiamo imparato a convivere con quello del morbillo. E dovremo probabilme­nte prepararci a effettuare richiami magari annuali, così come facciamo con il vaccino antinf luenzale. Ciò implica però essere pronti come nazione ad una acquisizio­ne sistematic­a o, meglio ancora, ad una produzione indipenden­te di vaccini. Con una strategia quindi assai differente da quella attuale. Il che permettere­bbe anche di fornire vaccini ad altri Paesi che ne hanno bisogno (magari anche donandoli).

* dott. med.

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