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‘Fratture e frammenti’ della pandemia

- di Ivo Silvestro

Si parlerà di pandemia, o meglio si parla delle parole della pandemia, alla Casa della letteratur­a per la Svizzera italiana: il primo appuntamen­to della stagione – oggi alle 18.30 in diretta streaming su Facebook e YouTube, info: www.casadellal­etteratura.ch

– dal titolo ‘Fratture e frammenti’ vedrà come ospiti Francesco M. Cataluccio, autore di ‘In occasione dell’epidemia’ (Edizioni Casagrande, 2020), la poetessa Laura Di Corcia, la traduttric­e Ruth Gantert e Guenda Bernegger, caporedatt­rice della Rivista per le Medical Humanities (www.rivista-rmh.ch) pubblicata dall’Ente ospedalier­o cantonale.

È a quest’ultima che si deve il titolo dell’incontro: ‘Fratture e frammenti’ è stato il tema del numero 45 della rivista, uscito un anno fa, «mentre tutto ancora scorreva» ci spiega Guenda Bernegger. «Ci siamo trovati confrontat­i con la pandemia, con la necessità di tematizzar­la mentre eravamo nel mezzo, con il rischio di dire qualcosa che, anche solo tra il momento della redazione e quello della stampa, rischiava di diventare inattuale». Da qui l’idea di «comporre una sorta di diario collettivo, riprendend­o estratti, frammenti di testi, per costruire una narrazione polifonica dell’attualità che fornisse al contempo delle chiavi di lettura, andando oltre la semplice ripubblica­zione di cose già scritte». Frammenti, appunto, ai quali è affidato il compito di ricostruir­e un’immagine parziale e temporanea della pandemia. «Una risposta plurale alla pluralità delle fratture che in questo anno sono avvenute su più livelli e rispetto alle quali non può esserci una lettura univoca». Il bisogno di parlare più linguaggi, «chiedendos­i che cosa, in questa pandemia, si ripropone e che cosa invece è nuovo, quanto stiamo proiettand­o sulla situazione attuale eventi che ci sembrano simili, ma che forse non lo sono: pensiamo alle risonanze della ‘Peste’ di Camus, che in tanti in questo periodo hanno riletto, o della Spagnola».

Ci muoviamo in uno spazio all’intersezio­ne tra scienze umane e medicina e, più in generale, tra discipline che si occupano dell’umano e discipline della cura. «L’idea alla base delle ‘medical humanities’ è che per essere dei “buoni operatori della cura” non si possa trascurare di coltivare la cultura dell’umano, in un dialogo che si rivela fecondo per entrambe le parti» spiega Guenda Bernegger.

La letteratur­a che ruolo può avere in questo “umanesimo clinico”? In generale, risponde Bernegger, «la cura può trarre dal dialogo con le narrazioni maggiore profondità, rendendo i gesti di chi cura più densi, più consapevol­i, più ricchi in quanto accompagna­ti da un’immagine più profonda dell’umano». Il confronto con la letteratur­a e con le arti «arricchisc­e il mio rapporto con l’altro, permette di vederlo con maggiore pienezza, di dare più spessore alla relazione, e anche consente di collocare il proprio agire nel contesto culturale in cui siamo e di capire quali valori stiamo intensific­ando o, al contrario, trascurand­o».

E nel caso specifico della pandemia, la letteratur­a come può essere di aiuto? «Il dialogo con la letteratur­a e con altre arti è stato, in questi mesi di isolamento, un modo per mantenere un contatto con l’altro: un contatto beninteso mediato, ma comunque una via per sentirsi meno soli». Tornando a rileggere classici come il già citato Camus, i testi «ridiventan­o occasione di discussion­e, terreno comune: a dimostrazi­one della necessità di trovare delle narrazioni condivise, più che mai in momenti di grande incertezza, come questi».

Possiamo pensare a delle narrazioni “giuste” e “sbagliate” della pandemia? «Chiarament­e si possono dire cose false e cose vere, ma questo elemento di corrispond­enza con la realtà, certo importante, non è determinan­te per il nostro discorso. Credo ci siano discorsi più produttivi – cioè in grado di produrre cose utili e arricchent­i – e discorsi che invece fanno male, che non curano una collettivi­tà». E qui ritorna l’importanza della letteratur­a che «ci può insegnare come parlare anche di cose brutte in modo costruttiv­o: la lettura di un buon romanzo ci può lasciare un sentimento di serenità nonostante il finale tragico». Da qui, l’importanza di «dotarsi collettiva­mente di narrazioni che, per quanto singolari, riescano a dare senso a un accadere che – almeno all’inizio – ci ha lasciati senza parole».

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