De Maistre, il filosofo della Controrivoluzione
Il 26 febbraio 1821 moriva il filosofo, scrittore e diplomatico francese Joseph de Maistre. A Torino, dove il filosofo della Controrivoluzione aveva trovato rifugio dopo diverse traversie che lo portarono anche in Svizzera, dove scrisse le ‘Considerazioni sulla Francia’. Feroce critico dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese, con il Regime del Terrore interpretato come ineluttabile conseguenza dello spirito ateo e fanatico oltre che quale castigo inviato dalla Provvidenza, fu tra i più noti polemisti dell’epoca. Nato a Chambéry, in Savoia, il 1° aprile 1753, Joseph de Maistre fu educato dai gesuiti e si laureò in diritto all’Università di Torino; entrò nel 1774 nella magistratura e giunse nel 1788 alla dignità di senatore. A Chambéry si iscrisse prima alla loggia massonica di rito inglese dei Trois Mortiers (1774), poi passò alla loggia scozzese della Sincérité, di cui divenne uno dei capi (1778).
Con la Savoia invasa dai francesi, de Maistre si rifugiò in Svizzera (1793). Tornato a Torino (1797), ma costretto a lasciare di nuovo la città, fu nominato (1799) reggente della cancelleria di Sardegna; a Cagliari entrò tuttavia in urto col viceré Carlo Felice, e allora fu da Vittorio Emanuele I inviato (1802) come ministro plenipotenziario in Russia, dove lo zar gli offrì di passare al suo servizio. Qui scrisse le sue opere maggiori: ‘Le serate di Pietroburgo o Colloqui sul governo temporale della Provvidenza’ (uscito postumo nel 1821) e ‘Del Papa’ (1819). Fu proprio la sua teorizzazione dell’assolutismo pontificio e la sua critica accanita rivolta contro il pensiero liberale a spingere Alessandro I, allora incline alle idee di progresso e di libertà, a chiedere il suo richiamo. De Maistre passò a Torino i suoi ultimi anni, dove scrisse la ‘Lettera sullo stato del Cristianesimo in Europa’ (1819), in cui riconfermò la sua fede nell’avvento di un’unica Chiesa cattolica capace di riunire in sé tutte le Chiese
‘Al mondo non esiste l’uomo’ Joseph de Maistre guardò inizialmente con un certo favore alla Rivoluzione francese. A fargli cambiare idea furono la repressione del Terrore – quel disordine che anni dopo Alexis de Tocqueville considerò un aspetto temporaneo della transizione alla democrazia – e l’influenza del filosofo britannico Edmund Burke. Ma mentre Burke criticò la Rivoluzione in nome delle libertà tradizionali, de Maistre lo fece in nome dell’autorità tradizionale. A unire i due pensatori, il rifiuto del razionalismo astratto quale base della società: “La costituzione del 1795 è fatta per l’uomo, ma al mondo non esiste l’uomo. Nella mia vita ho visto dei francesi, degli italiani, dei russi; so anche, grazie a Montesquieu, che si può essere persiani. Ma, in quanto all’uomo, dichiaro di non averlo mai incontrato in vita mia” si legge nelle già ricordate ‘Considerazioni sulla Francia’.
L’uomo astratto non esiste, ma soprattutto non esiste un uomo separato dalla società: non è l’individuo a creare la comunità tramite il contratto sociale immaginato dai pensatori legati all’Illuminismo, ma al contrario è il potere e l’autorità a dare forma al singolo. La legittimità dell’autorità non è quindi da cercare nella ragione umana: l’essere umano è corrotto e da solo può solo distruggere la società come, secondo de Maistre, accadde appunto con la Rivoluzione. Fonte dell’ordinamento è la Provvidenza divina che agisce tramite il suo inviato, il monarca. La monarchia, o meglio ancora il potere politico del papato, è espressione della volontà organizzatrice e ordinatrice di Dio nella particolare visione teocratica di de Maistre che ancora oggi raccoglie consensi tra le frange più tradizionaliste del cattolicesimo (la Rivoluzione sarebbe stata, oltre che ispirata dall’Illuminismo, anche dal protestantesimo).
Come visto, già nell’Europa della Restaurazione
le idee di teocrazia papale di de Maistre gli procurarono qualche difficoltà; l’affermarsi del pensiero liberale porterà a un ulteriore declino del suo pensiero. Ma di lui non si salva soltanto il notevole talento di polemicista: se il suo giusnaturalismo cristiano era inattuale già nel Settecento, le sue critiche al positivismo giuridico e le sue analisi dei limiti di ogni diritto creato dall’uomo non hanno perso d’importanza.