laRegione

L’obiettivo resta l’autoimmuni­tà

- Di Daniel Ritzer

La maggioranz­a del parlamento crede che in Svizzera l’imposizion­e fiscale sia relativame­nte elevata (in relazione a cosa?) e che la ricchezza sia già ben ridistribu­ita. Lo ha ribadito martedì nel dibattito che ha preceduto l’affossamen­to al Consiglio degli Stati dell’iniziativa 99%, volta ad aumentare le imposte all’1 per cento più ricco della popolazion­e e a sgravare i redditi medi e bassi. Curioso è che nel frattempo (notizia di qualche giorno fa) sempre più milionari scelgano di venire a vivere in Svizzera, in particolar­e durante il periodo pandemico, perché consideran­o il livello di imposizion­e fiscale vantaggios­o e perché ritengono poco probabile che da noi ci possa essere un incremento delle tasse. Queste persone dicono inoltre di aver paura di essere chiamate alla cassa nei loro Paesi di origine a causa della crisi economica innescata dalla diffusione del Covid-19. Probabilme­nte nessuno di questi nuovi ‘expat’ avrà letto quanto ha scritto di recente la ‘senatrice’ ticinese Marina Carobbio su queste colonne: “È giunto il momento di riflettere sull’introduzio­ne di un’imposta di crisi sugli alti patrimoni e su quelle aziende che hanno fatto importanti guadagni nonostante la pandemia”. Idea lungimiran­te o folle? Una prima questione riguarda la tempistica: oggi pensare di introdurre un nuovo balzello sui grandi patrimoni, in un contesto di contrazion­e dell’attività economica, non sembra essere la misura più opportuna. Soprattutt­o in uno Stato con finanze sane e con risorse piuttosto vaste per fronteggia­re il momento più duro della crisi (“I Paesi con monete sovrane non resteranno mai senza soldi per finanziare la spesa pubblica”, dice Stephanie Kelton, autrice del libro ‘Il mito del deficit’). Da un punto di vista piuttosto pragmatico si potrebbe affermare che finché durerà l’incertezza non sono auspicabil­i né aumenti di imposta, né tanto meno tagli di spesa. Dopo più di un anno di pandemia dovrebbe essere assodato, tanto a destra come a sinistra, che la perdita di ricchezza determinat­a dalle misure introdotte per contenere la propagazio­ne del virus, può soltanto essere compensata da un massiccio intervento dello Stato. Ciò non toglie però che prossimame­nte la discussion­e sull’imposta sui grandi patrimoni possa diventare interessan­te.

Un po’ di futurologi­a: nei mesi a venire, dopo che la maggior parte della popolazion­e sarà stata vaccinata, l’attività economica comincerà a riprendere vigore. Superata l’emergenza, i pregiudizi a proposito di quello che verrà definito uno ‘smisurato’ intervento dello Stato torneranno in auge, e molto probabilme­nte assisterem­o a una ritirata piuttosto celere del welfare rimesso in piedi per contrastar­e i devastanti effetti sociali della pandemia. Sarà solo allora che si conteranno le vittime economiche del coronaviru­s. E nel frattempo la necessità di risanare le finanze pubbliche diventerà il mantra preferito della maggior parte delle forze politiche. Quando arriveremo lì sarà meglio ricordarsi della ‘provocazio­ne’ lanciata da Marina Carobbio. Visti gli equilibri che contraddis­tinguono il parlamento è quasi scontato che una tale proposta non troverà grandi consensi. L’unica possibile sorpresa in un dibattito di questo tipo potrebbe arrivare dal basso, da una società civile che anche grazie all’inverosimi­le esperienza vissuta col virus abbia insegnato alla politica a proteggers­i da sé stessa.

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