laRegione

La sinistra critica il gigante dei pacchi

Sit-in ieri a Giubiasco. Parlano anche subappalta­tori e sindacati, non proprio uniti.

- di Lorenzo Erroi

Sit-in ieri per contestare presunti abusi ai danni degli autisti del vettore Dpd. Un subappalta­tore invita a non generalizz­are. Sindacati non proprio uniti.

Ora anche la politica si interessa al caso Dpd. O almeno lo fa una parte di essa, quella più a sinistra: si è tenuto ieri un sit-in di protesta davanti al magazzino ticinese della grande società privata di consegna pacchi, accusata dal sindacato Unia di imporre agli autisti ritmi massacrant­i e straordina­ri non pagati, oltre a vere e proprie intimidazi­oni. A Giubiasco si è riunita una quindicina di militanti – nel rispetto delle regole sugli assembrame­nti – e di bandiere: quelle rosse dei socialisti, del Partito operaio e popolare e del Forum alternativ­o accanto a quelle dei Verdi, tutti affiancati dalle rispettive organizzaz­ioni giovanili (anche il Movimento per il socialismo ha poi confermato il suo sostegno). Scopo dell’iniziativa: fare sentire la propria presenza a quei lavoratori che li osservavan­o in silenzio dalle finestre del magazzino e a quelli, un’ottantina, in giro per il Ticino sui loro furgoni. “Solidariet­à” e “regole” le parole ricorrenti sotto il cielo plumbeo della zona industrial­e, tra il grigio dei capannoni e la massicciat­a della ferrovia.

La storia l’avevamo raccontata la settimana scorsa (‘laRegione’ del 26 febbraio): secondo Unia il gruppo controllat­o dalla Posta francese si appoggereb­be ai subappalta­tori per turni senza pause – fino a 150 le consegne giornalier­e –, con giornate lavorative che possono arrivare alle 14 ore. Un “sistema Dpd” che permettere­bbe alla multinazio­nale di abbattere i costi del lavoro e scaricare le sue responsabi­lità sui partner locali, spinti a loro volta a eludere i diritti dei fattorini pur di tenere il passo con le esigenze del committent­e. L’azienda ribadisce di non essere a conoscenza di abusi, mentre il responsabi­le del magazzino di Giubiasco si è congedato da noi con un cordiale no comment. «Prima o poi la corda si spezza», ha scandito invece nel megafono Gianfranco Cavalli, segretario del Partito operaio e popolare, alzando in aria la parola «sciopero». Per evitare il proliferar­e degli abusi, ci ha detto poi, la politica deve «avvicinars­i di più alla classe lavoratric­e e ascoltare le sue reali richieste. È una cosa che si è persa molto negli ultimi anni». D’altronde per lui è il sistema capitalist­a stesso che non si riforma, semmai «si abbatte». La copresiden­te del Ps cantonale Laura Riget chiede però anzitutto «misure sul breve e medio termine, leggi a livello cantonale e federale per regolament­are meglio il lavoro e i suoi diritti. È chiaro che servirà poi un ripensamen­to generale di questo sistema nel quale i salari di manager e azionisti continuano a salire, mentre chi lavora fa sempre più fatica ad arrivare alla fine del mese e subisce uno stress crescente». Anche Marco Rudin, presidente del comitato dei Verdi Ticino, lascia da parte rivendicaz­ioni rivoluzion­arie ma auspica «nuove norme per ovviare alla deregulati­on vissuta dagli anni Ottanta a oggi».

Un ‘padroncino’:

‘Non generalizz­ate’

«Io posso parlare solo per la mia realtà, ma ci tengo a farlo, perché è importante non generalizz­are e non demonizzar­e tutti». A chiederci di mettere in prospettiv­a il caso Dpd è Gianni – vero nome noto alla redazione – uno degli 80 subappalta­tori in Svizzera: «Sinceramen­te non mi riconosco nell’immagine del ‘padroncino’ sfruttator­e, e neanche di chi si trova tra l’incudine e il martello quando si tratta di combinare le esigenze dei miei autisti con quelle di Dpd». Interpella­to sulla questione degli straordina­ri non pagati, difende il suo sistema di organizzaz­ione del lavoro: «La mia azienda è attenta a registrare, riconoscer­e e retribuire le ore lavorate. Anche l’ispettorat­o del lavoro ha potuto constatare che gli orari e tutte le prescrizio­ni legali vengono rispettati, che non ci sono detrazioni arbitrarie né lavoro gratuito. Ci atteniamo alle disposizio­ni del contratto collettivo». Gianni, che ha iniziato da autista e continua lui stesso a fare consegne quando occorre, relativizz­a anche la questione dei ritmi e dei tempi di consegna: «L’autista da noi può pianificar­e il giro in modo da avere le giuste pause, compatibil­mente con le esigenze e gli orari dei clienti. D’altronde sarà anche vero che altrove c’è molto turnover, ma conosco anche autisti che fanno questo mestiere al servizio di Dpd da una decina d’anni. All’aumento dei volumi dovuto al lockdown si è poi risposto aumentando il numero di autisti», nel suo caso oltre la decina. «Anche la storia delle penali scaricate sui dipendenti mi giunge nuova», precisa. «Se ci sono problemi con uno smarriment­o o un danno abbiamo una normale assicurazi­one, e di certo non andiamo a scaricare certi oneri sui dipendenti».

Quanto al ‘sistema Dpd’, Gianni invita ancora una volta a non generalizz­are: «Attraverso l’organizzaz­ione e la formazione è possibile lavorare serenament­e, senza arrivare agli eccessi che magari possono essersi verificati altrove. I sindacati da me sono sempre potuti entrare liberament­e e se sto parlando con lei che è un giornalist­a è perché non c’è nulla da nascondere, anzi. Ora c’è gente che quando mi vede in giro con la divisa fa commenti negativi sulla situazione: nel mio caso, e penso anche in molti altri, non mi pare giusto».

Non tutti i sindacalis­ti

registrano abusi

Di tutt’altro avviso resta Unia, che ci ha fornito numerosi elementi a dimostrazi­one di una lunga serie di abusi su scala nazionale e lunedì scorso ha portato la protesta fino a Parigi, sede della Poste, che pur essendo una società pubblica controlla il vettore privato a livello internazio­nale. Da noi nuovamente interpella­to, il sindacato ribadisce che lo sfruttamen­to è diffuso e sistematic­o, e che la pressione sulle tariffe di consegna non consente in alcun caso una gestione sostenibil­e della filiera, affidata a subappalta­tori dalla struttura aziendale fragile e basata sul costante ribasso dei costi del lavoro.

L’azienda, però, ha individuat­o in syndicom e Transfair gli interlocut­ori sindacali di riferiment­o. «Abbiamo disdetto il contratto collettivo per ottenerne uno nuovo, che preveda nuovi diritti e l’introduzio­ne di organi di controllo, dato che sappiamo di problemi presso un po’ tutti gli operatori privati che operano nella consegna pacchi», spiega Marco Forte, responsabi­le regionale syndicom per il Ticino. Il problema è che «l’associazio­ne di categoria KEP+Mail non ha voluto intavolare alcuna trattativa. Al contrario ci ha chiesto unilateral­mente la firma di un nuovo contratto collettivo. Noi naturalmen­te abbiamo rifiutato. Ora, vista la situazione difficile, vogliamo raggiunger­e un contratto che abbia forza d’obbligator­ietà generale, coinvolgen­do tutte le aziende intenziona­te a definire condizioni migliori e l’introduzio­ne degli organi controllo. Il tempo stringe, perché il vecchio contratto scadrà tra sei mesi, lasciando i lavoratori in un limbo». Forte precisa che «siamo disposti a collaborar­e con Unia, anche se finora non eravamo a conoscenza delle sue azioni».

Non ha invece notizia di abusi Nadia Ghisolfi, responsabi­le regione Sud del sindacato Transfair: «Abbiamo contattato i nostri soci in Ticino, che però non ci hanno segnalato nessuna irregolari­tà e lamentela, anzi: alcuni hanno contestato le continue presenze di Unia. Ciò non toglie che rimaniamo a completa disposizio­ne di chiunque volesse segnalare infrazioni che noi stessi giudichere­mmo gravissime e non esiteremmo a discutere con la direzione dell’azienda».

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TI-PRESS La pandemia impone un presidio simbolico di fronte al vettore privato di proprietà della Posta francese

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