Un Sanremo di larghe intese
Oscar, Golden Globe e solidarietà di settore. Ospiti (nostri): Shorty e un insospettabile.
‘Prima i nostri’ non è un’invenzione svizzera. ‘Prima i nostri’ l’ha inventato Claudio Villa al Festival di Sanremo del 1964. “Non ho paura degli stranieri, ma perché non ci offrono come contropartita di partecipare a qualche manifestazione in casa loro? Se deve essere Mercato Comune, sia per tutti!”. La storia vuole che il patron Gianni Ravera avesse deciso di far cantare le 24 canzoni in gara da una coppia mista formata da un autoctono e un forestiero. Tutto per far vendere più dischi. Il Reuccio della canzone, com’era soprannominato Villa (oggi bersaglio da rotocalco per qualche figlio di troppo, vero o presunto) non riuscì a fermare la calata di Paul Anka, Frankie Lane, Frankie Avalon (più tardi ‘Grease’), Ben E. King (‘Stand by me’, più tardi ‘Pregherò’). Nel 1972, il Reuccio della canzone guiderà anche uno sciopero dei cantanti, ribellatisi alla decisione di far cantare un solo interprete per canzone, come per sempre sarebbe stato: “Mi hanno esclusa da Sanremo e ce l’hanno tutti con me, magari perché non sono un’intellettuale e canto per la mia gente. Non merito tutto questo perché (...)
(...) ho sempre lavorato seriamente!”, grida l’esclusa Orietta Berti, come da ricordi di Gigi Vesigna in ‘Vox Populi’, il più romantico dei racconti scritti del Festival di Sanremo. I cantanti si oppongono compatti a nomi ritenuti non all’altezza per partecipare alla manifestazione che li aveva visti protagonisti incontrastati.
(Volo pindarico di carattere compatto) Alle 17 di un mercoledì contagioso (ieri), con la faccia da Webex – la piattaforma che a Sanremo tiene tutti uniti; va bene anche “con la faccia da Zoom” – tutta la stampa è nella stanza di Irama, al secolo Filippo Maria Fanti da Carrara, vincitore di Amici 17, vincitore di Amici 2020 Edizione Speciale. Un amicone, insomma. A qualche ora dal suo terzo Sanremo, Irama parla da un letto d’albergo, negativo e asintomatico (lui, non l’albergo), ma col parrucchiere e il fonico positivi al virus. Ammesso che al parrucchiere, a Sanremo, si possa rinunciare, il regolamento dice che il cantante si deve ritirare in quarantena. Come ai tempi del Claudio Villa sindacalista, il mondo della musica si compatta. Per non mandare gambe all’aria il lavoro di qualcuno per virus non suoi, Amadeus ha già proposto di far gareggiare Irama mandando in onda la registrazione delle prove generali. Ma serve un’autorizzazione da parte degli artisti tutti, e delle ‘discografiche’ tutte; serve una decisione collettiva, un accordo senza se e senza ma, una presa di responsabilità extrapartitica; serve un Sanremo di larghe intese, perché in ballo c’è la possibilità che Irama, l’artista italiano più visualizzato di Spotify, a prevalenza femminile e con relativi smartphone votanti, potrebbe anche vincere, battendo colleghi in carne e ossa. «Grazie a tutti, grazie alle altre case discografiche e agli artisti che hanno accettato. Grazie alla Rai, che poteva dire “questo è il regolamento, arrangiatevi”». Ma «siamo in un momento storico particolare, in altre circostanze magari non avremmo agito così, ma questa è una situazione in cui a tutti è giusto sia data una possibilità». Così parlano i vertici di Warner, ‘proprietari’ di Irama, e anche di Annalisa.
Alle 17.30 di un pomeriggio contagioso, in una stanza d’albergo di Sanremo, Italia, scevro da deliri di onnipotenza, bizze da star, gare a chi ce l’ha più lungo (l’acuto), il Sanremo di larghe intese giura davanti alla storia della canzone italia, nel nome della compattezza di settore, dell’orgoglio nazionale, dell’unità d’intenti e dello spettacolo che deve andare avanti. E di Claudio Villa, Reuccio.
NUOVE PROPOSTE ‘Elio mi ha consigliato d’inciampare’
Abbiamo un fiuto per il secondo posto. Intervistammo Mirkoeilcane, che nel 2018 arrivò secondo e poi si prese gli altri premi; e Tecla Insolia nel 2019, data vincente dal sito Rai, poi abbassata di un gradino nessuno sa perché, in luogo di un Gassmann che nessuno sa più chi è e che quest’anno non c’è. E invece Tecla sarà Nada nella fiction Rai. Ci abbiamo provato quest’anno intervistando la Nuova proposta (ma molto più Big di qualche Big) Davide Shorty, che dal sole di Palermo, nell’abbastanza lontano 2012, si trasferì sotto la pioggia di Londra per capire, e forse lui l’avrà capito, come mai le tendenze della musica si decidono tutte lì. La distanza non gl’impedì (a Palermo, del passato remoto si fa ampio uso) di essere terzo a X Factor nel 2015, di registrare ‘Terapia di gruppo’ nel 2018 coi Funk Shui Project (incluso Showcase Rsi) coi quali, un anno dopo, pubblicò ‘La soluzione’. Collaborazioni con Daniele Silvestri, Roy Paci, l’ex giudice e amico Elio, e arriviamo al tempo presente.
Davide Shorty parla dall’albergo, felice del Premio Lunezia, il cui scopo è la valorizzazione musicalletteraria delle canzoni italiane. È «lusingato, perché premio battezzato da Fabrizio De André, uno dei suoi idoli. «Mi sento destabilizzato, non me lo aspettavo, è la prima volta che ricevo un riconoscimento ufficiale». A Sanremo, puntellata di soul, funk e tradizione italiana, Shorty canta ‘Regina’, che poi (Sanremo gossip) è la sua ex Céline Lancini e non per questo non può apparire nel video della canzone: «Nessuno avrebbe potuto fare un lavoro migliore del suo per rappresentare se stessa, esempio di donna forte». L’amore modellato in amicizia, oggi, chiude il cerchio con una collaborazione artistica che include lei, ed è «ispirata da lei». ‘Regina’, canzone, sta su ‘fusion.’, album in minuscolo e col punto, anticipato dal 5 marzo in poi da ‘fusion a metà’, mezzo album in avanscoperta, tanto per gradire: «Fusion inteso non come genere musicale, ma come fusione di culture, sonorità, generi, emozioni. La diversità è una grandissima ricchezza che andrebbe celebrata sempre». Per quel che riguarda il minuscolo, «è il contrario delle frasi urlate col caps lock (maiuscolo, ndr), è lo stare tranquilli, il canalizzare energie, attitudine che serve molto di più alla comunicazione».
Ne ha visti di palchi, lo Shorty, ma che si trova a Sanremo l’ha capito soltanto quando c’è arrivato: «Mi sono detto, ecco, quello è davvero Amadeus. È qualcosa che non so spiegare, è un’emozione bellissima, un’occasione da vivere appieno, specialmente in un momento del genere. Sanremo è anche un messaggio per far capire che si può fare musica in sicurezza». E con tutte le paure del caso: «Non sono una macchina, essere imperfetti consente di trovare l’equilibrio».
Sul divano alle spalle di Shorty c’è una Telecaster. È un tassello della sensazione che si prova quando sul palco dell’Ariston non c’è soltanto l’interprete, ma anche il musicista: «Non ho mai studiato in maniera accademica e così dedita, strimpello un po’ tutto, chitarra, basso e pianoforte, ho nozioni sufficienti che mi vengono dai tanti ascolti di jazz». E quindi tutto passa da lui, quando arriva la musica. Nemmeno Sanremo gli ha fatto perdere il controllo del proprio lavoro. Ma per ‘fusion.’, inteso come disco, s’è messo tutto intero nelle mani di Tommaso Colliva, un Grammy coi Muse e ai comandi tanta musica italiana che conta: «È stata una lezione per me capire di dover lasciare la produzione a Tommaso. Conosco il suo lavoro, mi sono affidato a lui. In questo bisogna lasciarsi portare dal flusso. Prima che esecutori, bisogna essere buoni ascoltatori». E ad ascoltarlo c’era certamente Elio, che su Sanremo poteva dare consigli: «Mi ha detto di divertirmi, innanzitutto. E poi mi ha detto di cadere. Mi ha detto di Gianni Boncompagni, di quando suggerì a Gianni Morandi d’inciampare, così la gente si sarebbe ricordata di lui». Non l’ha fatto Shorty, perché ha paura della scala di Sanremo. E nemmeno si è vestito da Rockets.
CANZON TICINO ‘Commedia dell’arte, all’italiana e opera buffa’
«Sanremo non è solo Sanremo. È commedia dell’arte, commedia all’italiana e opera buffa tutto mixato insieme a misura di pubblico televisivo. Per tastare il polso al Paese, Sanremo è attendibile come Porta a Porta. Ci sono cose bellissime e altre tremende. Il decadente charme transgender di Achille Lauro dal fascino “gloriaswansoniano” alitato sul Paese dal suo cuore nazionalpopolare è un frisson impagabile. Lo psicodramma Morgan-Bugo – con una canzone perfetta come ‘Sincero’ – diventa subito sigillo di un’epoca. E Diodato lo canticchio, male, ogni volta che passa alla radio». Ci avremmo scommesso una Paillard Bolex degli anni 50 (che non possediamo) che Giona A. Nazzaro, direttore artistico del Locarno Film Festival, grande conoscitore di musica, ci avrebbe dato una degna definizione del Festival di Sanremo. Ne approfittiamo:
Giona Nazzaro: perché Sanremo dura da settant’anni? Dove sta il segreto?
Come tutti i segreti, è un segreto aperto, visibile, alla portata di tutti, è pertanto impenetrabile. Di Sanremo, fateci caso, si parla sempre male, ma poi tutti davanti alla tv. Il segreto di Sanremo è il segreto dell’evidenza. Che per definizione è misteriosa. Quindi accessibile a tutti.
I suoi primi ricordi televisivi?
In tv la prima cosa che ricordo è un vecchio film con effetti speciali di Ray Harryhausen. In bianco e nero. Emozione indelebile. Quando vivevo a Dübendorf, aspettavo il sabato sera per vedere Scacciapensieri sulla Rsi, cui seguiva il film. ‘Il ritorno di Ringo’ di Duccio Tessari, con il magnifico tema di Morricone cantato da Maurizio Graf, che porto inciso nella memoria.
Se invece di Marco Solari l’avesse chiamata la Rai, Giona Nazzaro libero da vincoli storici e di mercato che tipo di manifestazione avrebbe creato?
Prima di tutto avrei chiamato a coadiuvarmi nella missione Rossano Lo Mele, direttore di Rumore e batterista dei Perturbazione, Alessandro Marenga, compositore tecno, Tommaso Colliva responsabile del successo di Diodato, James Senese, Nino D’Angelo, Speranza, i Fratelli Malibu, Il quadro di Troisi e Steve Sylvester. Avrei provato a fare di Sanremo un Be-In intrecciato con una Canzone per l’estate e il Festival di Fuorigrotta. E un po’ di Festivalbar.
Si è mai immaginato su quel palco? Quale canzone avrebbe voluto cantare?
Non canto nemmeno sotto la doccia, figuriamoci sul palco di Sanremo. Se dovessi cantare una canzone, mi piacerebbe essere autentico come Nino D’Angelo con ‘Senza giacca e cravatta’, Battiato con ‘La cura’, Alberto Camerini con ‘Alberto’, Alan Sorrenti con ‘Vorrei incontrarti’, Ivan Graziani con ‘Lugano addio’. E se proprio mi devo vedere sul palco dell’Ariston, allora vorrei essere Antonella Ruggiero che canta ‘Elettrochoc’.