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L’Europa mette all’angolo le destre

Il Ppe silura Orbán, Berlino attenziona l’AfD e la Francia scioglie Génération Identitair­e

- di Roberto Scarcella

Come in certe foto di gruppo: “un po’ più a destra, un po’ più a destra…”, talmente a destra che poi si rischia di rimanere tagliati fuori. Così è successo, nel giro di poche ore, agli ungheresi di Fidesz, ai tedeschi di Alternativ­e für Deutschlan­d (AfD) e ai francesi di Génération Identitair­e.

Il movimento del controvers­o premier Viktor Orbán si è autoesclus­o dal Partito Popolare Europeo (Ppe) dopo l’approvazio­ne di nuove regole che l’avrebbero di fatto portato all’espulsione, giocando d’anticipo. In Germania l’ufficio federale per la protezione della Costituzio­ne ha classifica­to l’Afd come ‘caso sospetto’, dopo un’indagine di due anni e l’esame di centinaia di discorsi pubblici. Ciò significa che d’ora in poi l’intelligen­ce di Berlino avrà il permesso di monitorare le attività degli iscritti al partito, intercetta­re comunicazi­oni, infiltrare informator­i. Il governo francese ha sciolto Génération identitair­e per “incitament­o alla discrimina­zione, all’odio e alla violenza sulla base di razza e religione”, definita ufficialme­nte “un’organizzaz­ione militare”. Creato nel 2012 e ritenuto politicame­nte vicino al partito di Marine Le Pen, il gruppo estremista ha potuto contare su circa tremila militanti che secondo le autorità hanno presentato “immigrazio­ne e Islam come minacce da combattere”, non fermandosi alle parole, ma passando ai fatti inscenando proteste sui tetti delle moschee e aggredendo i tifosi turchi agli Europei di calcio del 2016. E con l’aggravante di aver ricevuto donazioni dal sovranista Brenton Tarrant, l’australian­o responsabi­le degli attacchi del 2019 alle moschee di Christchur­ch, in Nuova Zelanda, che provocaron­o 51 morti.

La destra radicale e quella estrema

Così, con sentenze, regolament­i stringenti nei gruppi parlamenta­ri e mosse preventive l’Europa prova a difendersi dall’ultradestr­a, che attira consensi un po’ ovunque, in Italia (Casapound, Fratelli d’Italia) come in Polonia, in Danimarca come in Spagna, dove molti iscritti al partito populista Vox si autodefini­scono, senza troppi giri di parole, neofranchi­sti, con tutto quel che ne consegue. “Bisogna distinguer­e però tra estrema destra, che è quella che rifiuta in primis l’idea stessa di democrazia, e la destra radicale, che gioca con le stesse regole della democrazia, ma ne rifiuta alcuni aspetti, come lo stato di diritto”. Così prova a spiegare il fenomeno Carlo Muzzi, giornalist­a esperto di politica estera e autore di un libro su estremismi e antieurope­ismo (“Euroscetti­ci”, Mondadori 2019): “AfD è un buon esempio di destra radicale, come il Rassemblem­ent (ex Front) National di Marine Le Pen, mentre Alba Dorata, in Grecia, era di estrema destra. Si erano spinti talmente in là che alla fine sono stati sciolti e una sentenza l’ha descritti come un’organizzaz­ione criminale. Loro però dicevano apertament­e di rifiutare l’idea di democrazia. Quelli di Génération Identitair­e organizzav­ano vere e proprio cacce all’uomo con tanto di droni al confine con la Spagna per cercare gli immigrati illegali sostituend­osi alla polizia e di fatto allo Stato”. “Quindi, se l’estrema destra non può – ad oggi – arrivare a governare un Paese democratic­o, ciò può accadere alla destra radicale. E infatti è successo in Ungheria, ma anche in Polonia. Il Ppe che aveva corteggiat­o partiti come quello di Orbán, anche solo per mero calcolo politico, visto che ogni parlamenta­re ha un peso, si sono poi ritrovati con un effetto boomerang e il problema in casa”.

Gli anticorpi della democrazia

Oggi l’Europa ha messo in atto uno dei due livelli dell’argine democratic­o, “il primo è quello macro – spiega Muzzi –. Un buon esempio è il voto compatto della Francia antifascis­ta al secondo turno delle presidenzi­ali nel 2002 e poi nel 2017, quando c’era da scegliere tra Chirac e Macron oppure Le Pen padre e poi figlia. Lì si mobilitano sia i partiti che gli elettori. Il secondo livello, che è quello che è stato messo in atto ieri, opera in modo più chirurgico, perlopiù tramite la giustizia, mettendo freni fino allo scioglimen­to vero e proprio. Si cercano soluzioni più fantasiose come si fece con Al Capone in America, che non fu accusato di mafia perché non avevano le prove, e per fermarlo fu accusato di evasione fiscale. Quindi quando si vuol far sciogliere un partito palesement­e razzista, si passa per problemi legati ai finanziame­nti, come accaduto ai fiamminghi belgi di Vlaams Blok, o a irregolari­tà nella raccolta dei voti, come successo nel Regno Unito con il British National Party o con i danesi di Stram Kurs, formazione islamofoba di ultradestr­a, che non solo vuole far uscire la Danimarca dall’Ue, ma anche dalla Commission­e Onu per i diritti umani”.

Il caso Afd è ancora diverso, tenendo conto che in Germania a settembre ci sono le elezioni federali (in Francia le presidenzi­ali sono l’anno prossimo): colpirli ora vuol dire destabiliz­zarli sul medio-lungo termine, “anche se AfD sta già pagando alcune posizioni cavalcate nell’ultimo anno schierando­si con No vax e No mask”. Il vero rischio per la democrazia secondo Muzzi non sono tanto le formazioni di ultradestr­a, “ma l’assuefazio­ne e l’appiattime­nto delle forze democratic­he su idee razziste oltre la soglia dei diritti umani per puro tornaconto politico. Nel 2019 i socialisti danesi vinsero con un programma sulle politiche migratorie molto duro, sovrapponi­bile a quello delle destre. Vinsero anche grazie a quello, poi lo smussarono un po’, ma non abbastanza. A ben pensarci fa più paura quello di un partito di minoranza che non ha i numeri per governare un Paese”.

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KEYSTONE AfD ha 88 rappresent­anti al Bundestag
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KEYSTONE Il razzismo visto da Génération Identitair­e

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