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I soldi dei Kirchner e i segreti di Caslano

Ventidue condanne per riciclaggi­o. Ma l’indagine in Svizzera non fa passi avanti.

- Di Roberto Scarcella

In Argentina la chiamano “La Ruta del Dinero K.”, un guaio intitolato come se fosse un film. Ovviamente gli accusati, gli amici del signor K., sostengono che la sceneggiat­ura sia stata scritta da una mano vendicativ­a e pesante con qualche conto in sospeso con lui. Lui, K., è – o meglio, era – Néstor Carlos Kirchner, morto nel 2010, ex presidente argentino e poi marito del presidente argentino, anzi della Presidenta, Cristina Fernández Kirchner, oggi vicepresid­ente. Complicato e facilissim­o allo stesso tempo, soprattutt­o in Sudamerica.

La “ruta” porta dritta in Svizzera, in Ticino, per essere precisi a Caslano e a Lugano. E il “dinero” chissà dov’è. Di sicuro all’origine era tanto per i giudici che hanno preso in mano il caso: 55 milioni di dollari (quasi 51 milioni di franchi), tutti sfilati da appalti di opere pubbliche e poi gestiti, per conto del presidente Kirchner, dall’amico e prestanome Lázaro Báez.

Nel 2003, l’anno in cui Kirchner entra nella Casa Rosada, Báez fonda senza alcuna esperienza nel ramo, la Austral Construcci­ones, che dal 2005 inizia a ottenere commesse statali. Nel giro di cinque anni, la Austral firmerà contratti federali (vale a dire gestiti più o meno direttamen­te da Kirchner) per 4 miliardi di dollari, un altro miliardo arriva per gare d’appalto in Patagonia, dove Kirchner è nato e dove i due si sono conosciuti. Proprio nella città natale del presidente, Rio Gallegos, Báez compra e costruisce palazzi su palazzi, alcuni su terreni di proprietà dello stesso Kirchner. E fin qui sembra una normale storia di due buoni conoscenti che fanno fortuna insieme – uno in politica, l’altro in affari – incrociand­o le loro strade.

Nel 2007 arrivano i primi guai per Báez, riciclaggi­o in Liechtenst­ein. Ma l’onda che lo travolge ha un nome e una data: “Periodismo para todos”, programma d’approfondi­mento andato in onda il 14 aprile 2013 su Canal 13. Dalle testimonia­nze di due uomini d’affari, Federico Elaskar e Leonardo Fariña, viene fuori un giro di denaro dirottato in alcuni paradisi fiscali che coinvolge Báez e Kirchner: è la prima volta che si parla dei 55 milioni e della Svizzera.

Il caso Helvetic

Secondo l’accusa, per la cospicua fetta di torta arrivata nella Confederaz­ione, il prestanome del prestanome è un altro argentino – di passaporto italiano – Néstor Marcelo Ramos, 57 anni, all’epoca titolare della fiduciaria Helvetic, con sede a Lugano.

Anche la Svizzera – stando all’accusa – avrebbe funzionato da lavatrice per i fondi neri poi tornati in mano ai Kirchner. Ma la parte ticinese del processo a Báez non è mai partita davvero: alla richiesta di estradizio­ne da parte dei giudici sudamerica­ni, arrivò un primo sì da parte dell’Ufficio federale di giustizia, ma Ramos si appellò tramite il suo avvocato John Dell’Oro, che racconta ciò che è accaduto dopo: “Abbiamo fatto ricorso al Tribunale penale federale poggiando in particolar­e su due cose: lo stato di salute del mio assistito, che andava peggiorand­o, e le condizioni delle carceri argentine, poco compatibil­i con il quadro clinico di Ramos”. Alla fine la Svizzera negò l’estradizio­ne. “Non siamo scappati e non ci siamo nascosti. Ci siamo sempre dati disponibil­i, fin dall’inizio, a un interrogat­orio in via rogatorial­e, ma stiamo ancora aspettando una risposta”, continua Dell’Oro. Le strade sono tre: un interrogat­orio in videoconfe­renza, l’arrivo dei giudici argentini in Svizzera o l’invio delle domande da Buenos Aires con un interrogat­orio tenuto da un procurator­e locale. “A noi vanno bene tutte le soluzioni, compatibil­mente con la malattia di Ramos”. L’italo-argentino, che vive a Caslano, entra ed esce da una clinica di Zurigo per curarsi ed è “spesso provato. Un viaggio in Argentina non sarebbe sostenibil­e”, insiste l’avvocato, che ricorda anche come non ci sia mai stato alcun legame diretto tra Ramos e Báez. Il titolare della Helvetic avrebbe sempre trattato con emissari dell’amico di Kirchner, senza però essere a conoscenza dei vari passaggi e dei vari legami che portano all’ex inquilino della Casa Rosada.

La sentenza

La questione è arrivata anche sui banchi del Consiglio nazionale con un’interpella­nza depositata da Carlo Sommaruga del Partito Socialista. In quell’occasione il politico chiese conto delle lungaggini giudiziari­e e del perché quei soldi di dubbia provenienz­a non fossero rimasti bloccati, ma avessero fatto ritorno in Argentina. La discussion­e in aula si è poi arenata nel dicembre scorso, ma il processo – ramo svizzero a parte – è andato avanti fino alla condanna, pochi giorni fa, di Báez e dei suoi collaborat­ori, figli compresi: 12 anni di prigione per lui, da due a nove (per il figlio Martin) per altri 21 dei 27 imputati. Insomma, un sistema allargato che aveva bisogno di trasferime­nti temporanei di denaro all’estero. A questo proposito, il portale argentino Infobae ricorda come la Helvetic di Ramos, fosse diventata, nel 2011, socio di maggioranz­a della Sgi, la finanziari­a di Elaskar (uno dei due incastrati nel programma tv del 2013). Sgi veniva chiamata la Rosadita, perché lì andavano e venivano funzionari della Casa Rosada. Una triangolaz­ione di denaro datata 2012, include Helvetic, la Austral Construcci­ones di Báez e la sede del Banco Nación di Plaza de Mayo, letteralme­nte a due passi dal palazzo presidenzi­ale, all’epoca occupato da Cristina Kirchner. Mandatario della Helvetic era Jorge Chueco, avvocato di Báez e considerat­o il cervello delle operazioni del suo gruppo. Fu lui – secondo Infobae – ad approvare il rientro in Argentina di denaro “lavato”: circa due milioni di franchi. Chueco è uno dei 21 condannati insieme a Báez: dovrà scontare otto anni. Ma le strade del “dinero K.” erano più d’una. E non tutte portano in un carcere argentino.

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KEYSTONE Cristina e Nestor Kirchner

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